“Altolà!” “Sono un bambino.” “Cosa vuoi?” “Un fucilino” “E il coraggio?” “L’ho con me. Per la Patria e per il Re!”

                                      di Sergio Giuliani      versione stampabile

Forse sul sillabario, o forse su uno dei coloratissimi “giornalini”, c’era questa filastrocca. I disegni saran stati di Rubino e le rime o di Sto (Sergio Tofano) o di Alberto Cavaliere, come altre amenità per bambini del tipo “Se vedi un greco e un lupo, spara al greco e lascia il lupo” “Malta è un cannone puntato contro di noi” o Bilbulbul, ragazzo africano, quindi cretino. Ma peggio i versetti di Cavaliere che si fingeva astrologo e dava felicità e vittoria per tutti esclusi (1943!) gli alleati,per i quali “Me la cavo, in generale/col predir: ”Finisce male!”.

Ma la mia grande maestra, Maria Frumento, evitava di farci cantilenare certe cose: poco sillabario, perché non ci sarebbe stato di che scegliere, e molta, molta matematica, almeno quella non fascista e non guerraiola. Raro esempio, Maria Frumento, di resistenza magistrale all’innamoramento per il duce, cui non era sfuggita la maestra dell’aula accanto, Maria Benvenuti, che mi aveva assalito perché non retoricavo e “mi mettevo il cuore di italiano sotto i piedi!”. Maria Frumento mi lasciò solo un attimo sotto il temporale; subito intervenne dicendo “Ha diritto di dire ciò che pensa, il ragazzino!” e si beccarono alla grande.

Purtroppo, alla Befana del dopolavoro fascista dovetti andarci, per mano a mio padre, a disagio come poche altre volte. Forse si sperava in un giocattolo o, meglio, in qualche dolcetto (spariti!). Invece, nell’atrio del palazzo del Comune, un certo semigerarca Ghersi mi chiamò al bancone e mi diede un inconfondibile scatolotto piatto e lungo: un fucilino a fulminanti.

Zitti tutti e due, mio padre ed io, rifacemmo la strada fino alle Fornaci. Io per mano e con lo scatolotto sottobraccio, scomodo e che mi scivolava. Nessuno dei due parlò; cosa del tutto insolita. A casa, mi chiesero: “Ci vuoi giocare?” Io dissi subito di no, ed era vero. Per nulla al mondo mi sarei bardato di fucile: gli unici che ho usato sono quelli dei lunapark, per sparare, come diceva Govi, ”alle pipe”.

Lo scatolotto, neppure aperto, finì al volo sul tetto dell’armadio grande, per scenderne soltanto quando mia madre cambiava i giornali antipolvere. Per qualche tempo; poi (allora non c’erano pattumiere per oggetti grandi; c’era solo una canna ai piani, e stretta) scomparve in cantina e finalmente, alla prima pulita energica, trovò la giusta strada della discarica.

Non è soltanto ricordo, il mio, ma rimpianto per una formazione che ho avuto e che vorrei, certamente mutata ed adeguata, fosse data anche oggi ai giovani. Ci sono valori che vanno insegnati e diffusi anche in maniera contrastiva, anche rischiando di tagliare le unghie a qualche malintesa “libertà” [senza una motivazione, libertà può trasformarsi nel suo rovescio, arbitrio] e curando, curandoci dall’”angoscia continua” di dover inseguire gli altri, più che rapportarci pianamente con essi.

A chi spetta, questo ripristino dell’”educazione”? Alle agenzie formative, in primo luogo la famiglia e la scuola (che non è certo deposito-parcheggio e diplomificio!) e, se altre ne comparissero (centri culturali, sportivi-senza-ultras, ricreativi) ben vengano!

E’ fondamentale rompere, per i giovani, il silenzio di casa e il ciondolamento e la frenesia fuori di essa. Tocca alla famiglia; vorrei dire, tocca al condominio. La scuola c’è e, malgrado il brutto momento che passa, per scarsità di investimenti e di considerazione, fa la sua parte con gli insegnanti (e sono tanti, ma si notano poco, come le virtù nella società del clamore sguaiato) attivi e padroni del proprio mestiere, reso, certo, difficile, ma mai impossibile perché la materia prima, i giovani, sono vivi e li richiedono.                                                                                 

Sergio Giuliani