Mi piacerebbe ci fossero comitati trasversali, convinti, attivi, numerosi, informati, non strumentalizzati,  per riunire chi con ragioni legittime ha da ridire su certi progetti, per fare proposte e per chiedere conto agli amministratori del loro operato
Astor e bombe

                                      di Nonna Abelarda      versione stampabile

Cos’hanno in comune questi due argomenti? Apparentemente niente, a parte voragini e macerie.

Vorrei però cercare di dimostrare che un legame c’è, almeno nel mio ragionamento.

So che ormai sembra una storia archiviata, ma come tanti altri savonesi anch’io ho sostato perplessa accanto alla ferita aperta dell’ex-Astor, spiando tra le assi che a malapena la nascondono, e come tanti ne ho tratto considerazioni negative, un po’ di malinconia e una certa dose di rabbia. Ora la città è più povera.

Sì, lo so, non era poi esteticamente il massimo quell’ edificio di traverso all’entrata di via Pia, ma intanto bisogna ancora vedere con cosa lo sostituiranno (al peggio non c’è limite,e  le premesse non sono buone) e poi, quel grigio un po’ passatello, un po’ sbiadito, ormai faceva parte del paesaggio, e poi… si trattava pur sempre di un cinema-teatro, un luogo di cultura, buona o cattiva che fosse.

Che ora non c’è più. E non lo sostituiscono le multisale del cinema pop-corn e del divertimento predigerito, non lo possono sostituire,  a dispetto della buona volontà, altri luoghi di spettacolo più angusti che per fortuna e per ora ci rimangono, meno che mai lo sostituisce il Chiabrera restaurato. Per non parlare del sostanziale fallimento dell’esperimento teatro tenda, un buco ventoso e gelido in riva al Letimbro.

Un attore comico tornato di recente a Savona per uno spettacolo, forse uno di quegli stessi che ai tempi del festival di primavera incoraggiavano la protesta contro la chiusura dell’Astor, in una intervista tv ha avuto ora parole di elogio per lo splendore del restauro del Chiabrera e di irrisione per il cinema cadente in cui si era esibito la volta precedente. Sic transit gloria mundi. Forse l’attore aveva ricevuto qualche opportuna imbeccata, ma intanto non dimentichiamo che un teatro solo, tra l’altro con diversi scopi e temi, per quanto abbellito e restaurato, ma ridotto nella capienza e ormai praticamente ostaggio degli abbonati,  non ne vale due!

Da quanto si sapeva del triste destino di quella sala? In quanti non erano, non eravamo d’accordo? Ma nessuno ha mosso un dito, almeno che io sappia, non c’è stato il clamore di protesta che l’argomento avrebbe meritato. Si è sentito mormorare di una fantomatica “legge Veltroni” che impedirebbe il cambio di destinazione d’uso di un locale adibito a scopi culturali, ma la cosa è morta lì, prima ancora di nascere. Né associazioni, né comitati di cittadini. Niente. Magari non sarebbe servito, ma intanto non si è neanche tentato. Ormai dovremmo aver imparato che non ci si deve arrendere di fronte alla concessione di regolare licenza edilizia, c’è sempre modo di dare battaglia, di andare a fondo se non altro per chiarire, in altri posti e situazioni lo si è dimostrato. E a volte è proprio dalle battaglie con significato culturale, civile, meno legate a interessi di parte, che si trae uno slancio maggiore.

E ora, mi collego alla stagione delle bombe di Savona. Un episodio oscuro e brutto, su cui ora dopo tanto tempo si cerca di fare chiarezza aprendo forse uno dei soliti armadi della vergogna. Non so se si arriverà a qualcosa, non so se si rivelerà la mano disgraziata di pochi esaltati o un complotto più vasto, ma so che ricordo quel periodo, e  qualcosa di buono ci fu: la straordinaria, composta, civile e capillare attivazione della cittadinanza. Un episodio forse unico. Qualcuno, a torto, strillava di “vigilantes rossi” : l’Italia era spaccata anche allora, sia pure in modo diverso. Ma di “rosso” e di “vigilantes”, quei padri di famiglia che si organizzavano in riunioni condominiali e decidevano i turni di guardia nei quartieri, una guardia passiva, civile e disarmata, non avevano proprio niente. Noi studenti sorvegliavamo le scuole, al mattino insieme con le forze dell’ordine, al pomeriggio da soli, e c’era chi dormiva nelle aule. Cittadini e negozianti intorno prima ci guardavano diffidenti, poi capivano che eravamo lì anche per loro, e offrivano qualche sedia, un bicchiere d’acqua. Non so se quella mobilitazione abbia fermato le bombe, ma certo è stata una bella risposta popolare. Non so neppure se adesso, in una società molto meno sociale e molto più indifferente e individualista, sapremmo ripeterci. Né ci tengo a scoprirlo.

Però mi piacerebbe che noi savonesi sapessimo ritrovare questa compattezza, questo spirito attivo e propositivo non solo nei momenti di grave pericolo, ma anche di fronte alle molte situazioni critiche che abbiamo intorno. Pensiamoci un attimo, c’è di che preoccuparsi davvero: piano rifiuti, problema automobile, speculazioni immobiliari, dilagare dei centri commerciali, crisi del lavoro, degrado del verde e dell’ambiente, pesanti minacce carbonifere. Mi permetto sommessamente di suggerire che se dimenticassimo per un attimo le appartenenze politiche, che ci spingono o a tacere  e subire per lealtà e aderenza a un’idea, spesso mal riposta,  o a protestare solo per partito preso, per fare proseliti e danneggiare l’avversario, potremmo uscire dalla “nebbia” dell’inconsistente e ottenere più vantaggi per la comunità. Se almeno a livello locale, dove è più importante partecipare e dove più si può fare, cercassimo spunti comuni nella logica e nel buon senso, faremmo più strada.  Mi piacerebbe ci fossero comitati trasversali, convinti, attivi, numerosi, informati, non strumentalizzati,  per riunire chi con ragioni legittime ha da ridire su certi progetti, per fare proposte e per chiedere conto agli amministratori del loro operato.  Ma io, lo so bene, sono un’inguaribile utopista. E i fatti, purtroppo, finora lo dimostrano.   

 
Nonna Abelarda