BIOPOLITICA
L’immortale

Le grandi religioni sono estremamente conservatrici, si sa, e quella cattolica non fa eccezione.

                          di GIULIO MAGNO    versione stampabile

 

La recente notizia della prossima pubblicazione, a traduzione avvenuta, durata quarant’anni, del “vangelo secondo Giuda”, manoscritto ritrovato negli anni sessanta nel deserto presso  El Minya, in Egitto, e risalente al III secolo d.c., pone degli interrogativi di non poco conto sull’atteggiamento corretto da assumere, da parte dell’uomo moderno, nei confronti di risultati scientifici potenzialmente rivoluzionari per la cultura dominante.

Prima di tutto, i fatti.

Si tratta di una serie di papiri che sono stati ritrovati nel deserto egiziano, fatti risalire dagli studiosi al terzo secolo dopo Cristo, la cui paternità è stata ascritta nientemeno che a Giuda Iscariota, apostolo di Gesù, quindi, in buona sostanza, il vangelo più antico in  nostro possesso, visto che gli altri vangeli sono copie degli originali, decisamente posteriori.

Dalle prime indiscrezioni, sembrerebbe che il documento offra un’interpretazione diversa degli eventi che portarono al tradimento e alla morte di Cristo, con Giuda che viene invitato a consegnare il suo maestro ai Romani da quest’ultimo. Una bella rivoluzione, non c’è che dire.

La cautela si impone, in questi casi, direte voi. E infatti è proprio di questo che intendo parlare.

La comunità scientifica, di fronte ad una scoperta “rivoluzionaria”, potenzialmente produttiva di effetti dirompenti sulle conoscenze sino a quel momento condivise,  adotta, solitamente e, aggiungo, correttamente, una linea prudente, in attesa di ulteriori conferme di quella validità reputata indispensabile (l’attesa è di solito proporzionale al grado di  “dirompenza” della scoperta) per consegnare alla nuova teoria il carattere della scientificità, (che dovrebbe resistere, più o meno a lungo, ai vari tentativi di falsificazione che successive verifiche o contrastanti scoperte  inevitabilmente metterebbero in atto).

Questo deve valere per tutte le scoperte scientifiche, che ci piacciano oppure no.

E la Chiesa? Come ha reagito alla notizia?

In questo caso, stupefacentemente, abbiamo di fronte la prova che il Papa è infallibile e che, fatto ancora più stupefacente, egli è immortale.

Questo perché, da subito, Benedetto XVI ha dichiarato, senza ombra di dubbio, che il vangelo di Giuda è un falso, che in realtà Giuda tradì per amore del denaro, e perché non volle seguire Dio, condannandosi alla distruzione della propria vita.

Un rifiuto a priori, direi quasi del tutto slegato dal normale percorso logico che guida la pur grande curiosità dell’animo umano.

 

Ora, sull’infallibilità del Papa cattolico (decisa dalla stessa Chiesa) ci sarebbe molto da dire, anche solo ricordando ciò che scrisse Galileo Galilei in propria discolpa, quando le sue teorie furono messe all’indice dalla Chiesa, mezzo millennio or sono: la fede non può mai entrare in contrasto con la ragione, e tali parole, ripescate dal Papa Giovanni Paolo II nel 1992 (!) a tardiva riabilitazione dello scienziato italiano, ci ammoniscono a non permettere che l’una delle due sfere dell’animo umano possa travalicare l’altra. In altre parole, se mettiamo la fede innanzi la ragione, ci condanniamo a non vedere gli errori nei quali i vari teologi, succedutisi nei secoli, sono caduti. Allo stesso modo, e questo vale per un credente, la mancanza di un oggettivo dato scientifico nei confronti di un fenomeno naturale non ci deve autorizzare ad escludere la presenza del divino. (per chi non crede, è più difficile accettare una presenza divina oltre il limite della scienza, trattandosi per lo più di un limite, e quindi, per ciò stesso, valicabile, prima o poi, grazie al progresso).

Quel mettere il carro davanti ai buoi, cioè anteporre la fede alla ragione e ai suoi dubbi, è tipico di chi teme di dover intervenire a fondo sulle radici della propria costruzione, sia essa filosofica o religiosa,  qualora qualche evidenza dovesse scardinarne le fondamenta logiche.

Le grandi religioni sono estremamente conservatrici, si sa, e quella cattolica non fa eccezione. 

Sull’immortalità del capo della Chiesa, vale una battuta, di fronte a tanto recisa affermazione sulla falsità del documento: lui c’era, all’ultima cena, anche se non ne abbiamo le prove.

Del resto, paradossalmente, non abbiamo neanche le prove che non ci fosse davvero…

Forse, più in là, tra qualche anno, scopriremo che gli apostoli erano tredici!

A parte tutto, dispiace che si sia persa un’occasione, e lo affermo serenamente, senza alcun astio anticlericale. Si sarebbe potuto  fare un passo in avanti verso l’accettazione della complessità dell’animo umano, smettendola di considerare le cose in termini assoluti, come “il cattivo è cattivo e il buono è buono”. Se fosse stato Gesù stesso a spingere Giuda a consegnarlo ai Romani (meglio: ai capi religiosi del Tempio), non vi sarebbe stato nulla di strano ed incomprensibile: la vita di Gesù, ammesso che sia esistito, sarebbe rimasta connotata di altro significato qualora egli avesse evitato il proprio supplizio. E questo perché il concetto stesso di “dono di sé”, di sacrificio per togliere i peccati del mondo, non avrebbe avuto il necessario suggello

Se anche Gesù, quindi, avesse impartito quell’ordine all’Iscariota, non ne sarebbe uscito sminuito. Anzi, probabilmente lo sarebbe stato se la sua fine fosse stata quella di uno delle centinaia di santoni che in ogni età affollano il nostro pianeta, con miracoli annessi.

Contemporaneamente, agli occhi attenti dei fedeli moderni, un Giuda più umano, più vero, non dissimile dai compagni nella scelta di rimanere fedele al Maestro, riuscirebbe forse più accettabile e verosimile della “pecora nera”, ricettacolo di ogni deteriore qualità dell’animo umano, che ci è stata tramandata nei secoli. Un Giuda più credibile, insomma, diverso dal personaggio quasi hollywoodiano che siamo abituati a leggere negli opuscoli del catechismo.

Il problema è che l’intera storia di Gesù andrebbe riscritta, pare, poiché la seconda parte del testo coincide con altri testi antichi, non cristiani, che parlano di un Cristo morto di vecchiaia e non sulla croce.

Stiamo in attesa di poter leggere quello che ci verrà sottoposto, a partire dal 21 aprile, data di pubblicazione della traduzione in questione, ma al di là delle notizie più o meno rivoluzionarie che leggeremo, resta la certezza del fatto che un’organizzazione come la Chiesa non permetterà mai di aprire un dibattito sulle fonti della religione, vale a dire un serio esame sui vangeli apocrifi e sulle ragioni del loro rifiuto ufficiale da parte dei vertici ecclesiastici.

I dibattiti sono pericolosi, a partire dalle sfide televisive in su.

Meglio allora, saggiamente, sostenere la falsità di tutti i documenti “scomodi” che la scienza dovesse scoprire, magari addirittura prima della loro traduzione (almeno risparmieremmo la fatica immane agli scienziati).

Alla prossima settimana

Giulio Magno