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La basilica ipogea di Porta Maggiore in Roma 

 Basilica Ipogea di Porta Maggiore in Roma 

Se non ricordo male, fu un cedimento del suolo della ferrovia da Roma a Pisa che permise la fortunata scoperta della basilica ipogea di Porta Maggiore, uno dei relitti più affascinanti di quel lontano passato che noi vanamente inseguiamo. Il grande stucco dell’abside rappresenta Saffo che, spinta da un erote, sta per gettarsi dalla rupe di Leucade nelle braccia della dea marina Leucotea, assistita da un tritone ed in presenza del crudele amante che fu causa del suicidio.

 

 Basilica Ipogea di Porta Maggiore in Roma, stucco dell’abside, Saffo si getta dalla rupe di Leucade 

Donde sia nata questa favola senza fondamento non si saprebbe dire, ma quando si legge presso Ateneo che Cratino descriveva in una commedia la trasformazione di Faone in cespo di lattuga, si capisce almeno che siamo di fronte allo stravolgimento narrativo di un primordiale rito della fertilità. La fantasia antica identificò pure il luogo dove Saffo si tolse la vita: Capo Lefkáta nell’isola ionia di Leucade, che noi chiamavamo Santa Maura e i Veneziani al tempo della lotta coi Turchi Ducato.

 

Capo Lefkáta nell’isola di Leucade nell’Arcipelago delle Ionie 

Ma anche qui la lettura della seconda Nekyia nel XXIV dell’Odissea, quando Ermete accompagna nell’Ade le anime dei Proci “oltre la Bianca Rupe”, rivela che si trattava in origine di un’espressione topica della soglia dell’inferno. A parer mio fu Ovidio, o chi per lui se l’epistola non è autentica come taluni ancora credono, che diffuse l’idea della bruttezza di Saffo nella sedicesima Eroide, poi ripresa da Leopardi, il quale aggiunse l’infelicità dell’intelligenza costretta in un corpo deforme. Ma il mito nel Cinquecento era già servito di canovaccio ad un play cortigianesco di John Lily, Sapho and Phao, che cala Elisabetta nei panni a lei poco adatti della poetessa, e Leichester in quelli altrettanto poco adatti dell’amante fuggitivo. Poi vennero i due articoli di Addison sullo “Spectator”, il Child Harold di Byron e il bel dramma di Grillparzer, che termina colla celebre frase: So zahle ich meine letzte Schuld des Lebens.

Ma che ci fa Saffo nella basilica di Porta maggiore? Qual è il significato profondo della sua presenza fra gli stucchi? Fu il Carcopino, credo, che per primo propose d’interpretare l’edificio come luogo di culto di una setta neopitagorica. Forse neopitagorica in senso stretto non lo sarà stata, anche perchè sorgerebbero in tal caso problemi di cronologia, ma esoterica certo la conventicola dei frequentatori lo fu. Il Ditirambo XVII di Bacchilide, che descrive il tuffo di Teseo negli abissi marini alla ricerca del padre, e l’affresco dell’insigne tomba pestana ci confortano: la morte non è dunque l’ultimo traguardo, bensì un salto nell’ignoto che ci attende.  

 Il tuffatore, lastra laterale lunga della tomba del Tuffatore a Paestum, 480-470 a. C., Museo Archeologico Nazionale, Paestum 

Così sulle pareti della basilica, rimasta vuota e silente per quasi venti secoli, torna dinnanzi ai nostri occhi in vita il convincimento che animò gli adepti e li persuase a scavare nel tufo l’edificio della suprema illusione.   

MISERRIMUS