Vale per la scuola, vale per la sanità! Non vogliamo, da nessuna parte “uomini morti” nei servizi essenziali!
No agli “Uomini morti”!

                                      di Sergio Giuliani      versione stampabile

  A mio padre Oscar Giuliani   e a tutti i macchinisti di allora!
In tempi come questi di corsa al risparmio, bisogna saper distinguere da quella che è una lodevole tendenza sia ad economizzare le risorse, sia a meglio impiegare il capitale umano dai “tagli” sic et simpliciter, spinti fino alla rovina dei servizi.

Come per una pianta, bisogna certo saper potare (e far nuove talee del potato), ma attenzione a non tagliarla del tutto.

Si deve, certo, aver cura del costo e del rendimento ottimali di aziende di pubblico interesse. Ora che le nuove tecnologie sono irrimandabili, nessuno, razionalmente, si oppone a un diverso utilizzo e reperimento del personale: ma c’è un limite!  Non bisogna, infatti, distruggere i servizi per troppa foga tagliatrice.

Per limitarci al settore dei trasporti pubblici (ma lo stesso parametro vale per altri settori-ganglio come la sanità e la scuola) è evidente, dalle cronache quotidiane, che si è proceduto con  criteri scarsamente o per nulla rispettosi delle esigenze. Mi chiedo come mai Trenitalia, che ha locomotori bellissimi ed armamento non ottimale, ma assai migliorato nel tempo, non riesca a garantire il servizio come avveniva cinquant’anni fa con motrici (le vecchie 550, 551, 428, 626 etc) che ora ci appaiono da far west e con un armamento disastrato e, a dir poco, arcaico.

Tanti e tanti anni, decenni fa, qualcuno propose l’istituzione dell’ ”uomo morto”, ovvero il solo macchinista a bordo del locomotore, senza l’indispensabile “aiuto”, ovvero il secondo di bordo. Era nato il locomotore “leggero”, la 333, il primo senza gli avancorpi (oggi si chiamerebbe monovolume contro tre volumi) che piacevano tanto al personale di macchina perché, in caso di scontro, offrivano un naturale e potente scudo. Sulla 333 il macchinista guidava a filo di fronte, praticamente al riparo di una sola lamiera. Ma non era questo che inquietò il personale viaggiante: fu il tentativo di lasciare il conducente da solo alla guida, senza alternative per l’arresto del treno in caso di malore.

Si era in anni “fascisti”, ma il tentativo non passò. Ci furono scioperi “totali”, perché, giustamente, i ferrovieri si preoccuparono di se stessi, ma, soprattutto, dei trasportati e capirono che l’incolumità degli utenti è un dato assolutamente prioritario per ogni scelta, sia pur allettante dal punto di vista dello sgravio economico. Non ci furono né flessioni né compromessi e “l’uomo morto” battè in ritirata.

“A volte ritornano…” rieccoci a proporlo, oggi, confortati dalle nuove tecnologie elettroniche per cui c’è il telefono a bordo e si può schiacciare periodicamente un qualche pulsante per confermare...che si è vivi!

Ma su mezzi ultraveloci, con turni pesanti su linee sovraffollate dove i ritardi (e gli incidenti,purtroppo)sono ormai la regola, non c’è telefono né pulsante che tenga. A duecento chilometri all’ora, quanto cammino percorre un treno prima che un uomo,  accortosi (se pur s’accorge) d’ essere in sofferenza possa fermarlo?  Quanti scambi e segnali supera?

Ora come allora, vale la massima di mio padre “Per noi macchinisti, in caso d’incidente, la scelta è fra il cimitero e la galera”

Fu una pesante (solo oggi la definiremmo bella!) battaglia, con lo Sfi (Sindacato Ferrovieri Italiani) che respirava, e se ne nutriva, la stessa aria decisa dei lavoratori, senza strologare  coi “vertici” e senza convincere a ragionevoli, spesso troppo ragionevoli, accordi i propri aderenti; anzi, facendo pienamente sue le loro richieste.

Fu battaglia anche contro chi (e qualcuno c’era!) cominciava a razzolare nei distinguo e nelle primazie di categoria sventolando un fantomatico Sma (Sindacato macchinisti autonomi) che finì quasi prima di nascere, travolto dalle risate. Era chiaro, allora, a tutti che il servizio ferroviario non conosce funzioni di privilegio e non, ma che tutti collaborano, con diversi mezzi e con uguale impegno, al buon andamento del sistema dei trasporti su rotaia.

Leggo dai giornali, adesso, di disservizi che hanno dell’incredibile e di continue croci addosso all’”errore umano”, subito sulla bocca dei massmedia prima ancora dei risultati di ogni ragionevole inchiesta. Sull’onda di un malcontento sia reale, sia ad arte suscitato, ecco riapparire dalla tomba dove si sperava serrato per sempre “l’uomo morto”.

Ovvio; in clima di tagli al sociale, al welfare, al “protetto” (?) di stato si plaude, da parte dei soliti screanzati, al vistoso taglio di personale che andrebbe a risanare chissà cosa ed a facilitare il bottino dei “furbetti”. Quelli vanno rispettati: fanno i soldi!  Non certo il personale di macchina che tra locomotori iperveloci e quindi fragili e spesso legati ai capricci elettronici, tra velocità a rischio imposte [sfido chiunque a riconoscere un segnale passato, nella nebbia, magari a 150 km all’ora!] e lunghe percorrenze, ha di che diventar nevrotico, ed a ragione.

Ma possibile che questi politici benpensanti non si pongano il problema di come si affronta un viaggio sapendo che il conducente è solo alla guida e che la salute (magari lo fosse!) non è certo un dato continuativo ed eterno?

Penso al carattere, alla serietà dei ferrovieri di allora che combatterono per una giusta causa. Abituati com’erano a rischiare (scendere da Sella era sempre un’avventura, con motrici antiquate e cariche di chilometri e con percentuale di frenatura sempre aleatoria) ed a riparare di mano propria i quotidiani guasti del locomotore (altrimenti si usciva di turno e, senza percorrenze, non si guadagnava!). E penso ai loro eredi di oggi, su veicoli molto, molto più belli ed attrezzati, ma delicati e non sempre affidabili. Come non è, purtroppo, sempre affidabile la salute. Ed a loro (alcuni sono stati miei allievi all’Itis) va tutta la mia solidarietà e quella di coloro che rettamente intendono la differenza tra riduzione di eventuali “sprechi” e garanzia del trattamento dei trasportati.

Vale per la scuola, vale per la sanità!  Non vogliamo, da nessuna parte “uomini morti” nei servizi essenziali!                                                                                   

Sergio Giuliani