FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi 

I BAMBINI E LE GRINFIE DELL’ORCO

“Quando una specie perde l’affetto globale per i propri cuccioli, l’effetto è l’avvio verso la sua globale estinzione”

(Sergio Angeletti) 

Le grinfie dell’orco richiamano mani pelose e ungulate, potenti, prepotenti e crudeli, pronte a fare scempio e divorare piccole vittime indifese, per lo più bambini.

Sono convinta che la proposta di questa immagine come metafora della situazione dei bambini di oggi apparirà a molti forzata, fino a fare rabbia. 

A voler credere all’immagine che ci restituisce di noi stessi e del nostro contesto lo specchio conformante e confortante della superficialità, potremmo credere di vivere in una società puerocentrica, dove il bambino, lungi dall’essere negato è piuttosto elevato a piccolo tiranno.

Il commercio rivolto all’infanzia è in rapida moltiplicazione, in ogni dove fioriscono negozi di abbigliamento per bambini, giocattolerie letteralmente traboccanti, persino parrucchieri specializzati. Nelle profumerie imperversano linee cosmetiche, bagnoschiuma, profumi ormai competitivi coi famosi “balocchi” all’interno dello stesso target. Che dire poi delle librerie e dei negozi di audiovisivi? Delle produzioni cinematografiche? Della  programmazione teatrale? Che dire del piccolo schermo, che nella propria preistoria ci riservava la tivù dei ragazzi, “tutti per uno-uno per tutti”, mentre ora dove giri giri compare un cartone, un film, un bravobravissimo, un talkshow per under 12.

Se il bambino non fosse tanto importante, perché il commercio, l’industria, il terziario e la loro grande anima pubblicitaria lo porrebbero al centro del messaggio, persino quando non c’entra, quando si tratta di un detersivo per lavatrice o un disinfettante per pavimenti?

Il bambino e il suo corpo.

Eppure mai è esistita epoca della storia in cui l’infanzia è stata più sistematicamente e scientemente negata, come questa nella quale ci troviamo a vivere. Maria Rita Parsi parla di “rimozione dell’infanzia”, o di “pedofobia”, come tratto dominante della nostra epoca, che cela nei propri retrobottega l’ “olocausto dei bambini”.

Don Fortunato Di Noto parla di  “pedocidio”, Sergio Angeletti di “sindrome di Erode”

L’orco non è, purtroppo, un animale estinto.  

Occorre rintracciare, e subito, i luoghi dove esso nidifica, e fornire tutte le indicazioni relative al percorso che vi conduce, perché si attivino le corde della responsabilizzazione personale e si consolidi il proposito di stanarlo. 

Anche e soprattutto quando si presenta sotto mentite spoglie, accattivanti e benevole.  

Anche e soprattutto quando ce lo ritroviamo dentro, se non altro per ciò che siamo disposti a tollerare, e non sapevamo di incubarlo. 

Partiamo da una prima connotazione dell’orco: la potenza.  

L’orco è il potere, inteso nella sua incarnazione perversa, quello dal volto cattivo, anche se seducente, agente di negazione per chi vi si trova sottoposto.    

Il potere che ghermisce, che usa, che sbrana.

Il potere come abuso. 

Ma il potere non è di per sé male.

Ne  esiste anche un’altra accezione, per cui esso è forza necessaria e benevola che dà protezione a chi è fragile.

A tutte le fragilità del mondo, tra cui e in primo luogo quella del bambino. 

Il corpo dell’adulto è già di per sé, nella sua somaticità, potere rispetto a quello infantile: che questo potere sia buono o cattivo dipende da chi l’esercita e dal contesto, affettivo famigliare sociale istituzionale culturale, in cui tale potere viene esercitato. 

E nel corpo dell’adulto rientrano i corpi sociali che “organizzano” il potere e che si differenziano essi stessi in forme buone (volontariato a tutela, scuola, istituzioni preposte) o cattive (reti pedofile, organizzazioni a delinquere ecc.), che organizzano la protezione o l’abuso. 

Ma il potere positivo si esercita a una condizione: sa di non possedere, si istituisce anzi sulla preliminare rinuncia a possedere.

La parola responsabilità vi sta al posto della parola possesso.

Nessuno possiede nessuno e il sistema che porta a credere che le cose stiano diversamente e lo ribadisce, ad esempio, attraverso la mercificazione costante dei corpi genera una società ad alto rischio pedofobo, anche dove non si tratta di bambini ma certo pur sempre di persone in situazione di debolezza: donne, ragazze dell’est sfruttate, povertà umiliate, perfino animali.

Il potere come abuso, come mobbing, è onnipresente, fa parte del tessuto stesso delle relazioni, al punto da generare assuefazione.

Politicamente significa l’umiliazione e la riduzione al silenzio della minoranza o di chiunque sia in posizioni antagonistiche.

O significa la prepotenza delle ideologie dominanti.

Significa la prepotenza del nord del mondo verso il sud.

Lo scempio della sofferenza, ovunque sia rintracciabile. 

Tutto questo è il potere come “possesso”, il mondo dove ciascun genitore responsabile vorrebbe chiamare a nascere un figlio è tutt’altro e comunque occorre sforzarsi di farlo essere tutt’altro, altrimenti già il fatto di chiamarvi a nascere qualcuno è violenza.

L’etica della genitorialità  comporta l’impegno verso il miglioramento del mondo. 

L’antropologia dell’uomo consumatore, caratterizzato dal possedere, ha segnato la chiave di lettura e di scrittura della nostra realtà, rappresenta la deriva dell’antropologia contemporanea dell’ “homo oeconomicus”, non mi stanco di ripetere che essa va cambiata in radice, per essere sostituita dall’antropologia del riconoscimento, o da quello che mi piace chiamare “homo narrativus”, dove a ciascuno sia riconosciuta la dignità della sua storia e nessuno sia riducibile ad una comparsata di storie altrui. 

E  chi più di un bambino ha diritto a una storia da vivere?

 Gloria Bardi

   www.gloriabardi.blogspot.com