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OLI Osservatorio Ligure
sull'Informazione
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Newsletter n. 94, 22 marzo 2006
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L'Osservatorio Ligure
sull'Informazione è nato per contrastare l'omologazione
del sistema informativo, la riduzione progressiva delle
voci di dissenso, il conformismo degli operatori di
giornali, radio e tv. L'osservatorio segnala gli episodi
di distorsione e occultamento delle notizie, di mancanza
di contraddittorio e di trasparenza, di uso privato
degli organi di informazione, di omertà e servilismo nei
confronti di gruppi o esponenti del mondo politico o
economico.
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invitiamo a farlo e ad aprire in questo modo un dialogo
tra redazione e lettori.
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Mandateci le vostre osservazioni:
newsletter-oli@olinews.it
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In redazione:
Camillo Arcuri, Manlio
Calegari, Oscar Itzcovich, Tania Del Sordo, Vittorio
Flick, Eleana Marullo, Giulia Parodi, Paola Pierantoni.
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In questo numero:
•
Urbanistica
- I furbetti del quartierino abitano anche qui
(P. Cosentino)
•
Acquasola
- Che scheletri nasconde il ventre del parco?
(m.c.)
•
5 per mille
- I fondi per l’Università? Speriamo nella lotteria
(o.i.)
•
Finanza creativa
- Anche l’8 per mille lascia perplessi
(v.f.)
•
Storie antiche
- Servono a distrarre i grandi duelli
(p.c.)
•
Proposta di legge
(g.p.)
•
Radiorai
- Le prediche esemplari della sacerdotessa
(B. Arcuri)
•
Memoria G8
- La corte europea chiede chiarezza
(G. Giuliani)
•
Società
- Donne discriminate dal sano buon senso
(g.p.)
•
Quote d’ingresso
- Anche manager extra, ma senza coda
(t.d.s.)
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Urbanistica
I FURBETTI DEL QUARTIERINO
ABITANO ANCHE QUI
Qualcosa sta accadendo a
Genova (e forse anche altrove...). Negli ultimi giorni
sono rimbalzate sui giornali cittadini insistenti
notizie e polemiche su importanti operazioni
immobiliari.
I parcheggi: quelli dell'Acquasola, di Ponte Caffaro,
della Meridiana..., con numerosi interventi di tecnici e
politici. Sabato è esplosa la bomba: "Erzelli, l'addio
di Piano". Perché? "Troppo cemento, l'architetto
rinuncia al progetto".
Il lettore può facilmente restare frastornato:
l'Affresco, Cornigliano, gli Erzelli, i parcheggi, la
metropolitana, coinvolgono una pluralità di soggetti a
diverso titolo. Quali vanno considerate opere pubbliche,
quali operazioni private a valenza puramente
commerciale?
C'è una mescolanza di interessi, capitali, competenze
pubbliche e private. I privati investono ovviamente per
realizzare un guadagno, il pubblico per realizzare
finalità generali. Inoltre gli enti locali svolgono
funzioni di regia per modellare il territorio, in
termini di costruzioni e infrastrutture, in maniera
razionale e attenta alle esigenze funzionali ed
estetiche.
In questa situazione è fondamentale la trasparenza con
cui vengono perseguite finalità così differenziate,
mentre le scelte del soggetto pubblico possono aprire o
chiudere, ingigantire o ridurre il flusso di quattrini
proveniente dalle varie iniziative.
In un altro articolo si legge: "(Il Progetto Leonardo
agli Erzelli) si potrà chiamare ancora "technology
village" ora che gli immobiliaristi entrati a
controllare "Genova High-tech" vogliono farne un
paradiso di villette ed edilizia residenziale?". Che
interesse ha la collettività di vedere una collina
ricoprirsi di edifici, con le spese di urbanizzazione
connesse, se viene a mancare la fondamentale premessa di
utilità pubblica?
Nei due articoli che occupano tutta la pagina si dà
molto risalto ai conti fatti dagli immobiliaristi.
Questi, attraverso le società Euromilano e Prometeo, con
l'appoggio finanziario di Banca Intesa, hanno ottenuto
il controllo della società che gestisce l'operazione, la
"Genova High tech", prima controllata dalla Dixet,
consorzio genovese di aziende ad alta tecnologia.
In questa storia il ruolo dei cattivi spetta dunque
chiaramente agli immobiliaristi e alla loro brama di
profitto. Bisogna leggere tutto con molta attenzione per
accorgersi che nella storia c'è un protagonista
assolutamente decisivo, che preferisce starsene
defilato: il Comune di Genova.
Esso ha modificato le destinazioni d'uso nel senso
desiderato dagli immobiliaristi. Senza di ciò, l'intera
operazione di stravolgimento del progetto e di
emarginazione della sua componente industriale e
tecnologica non sarebbe potuta avvenire.
Perché questo favore, che rimette in discussione anche
la scelta della facoltà di Ingegneria di trasferirsi
agli Erzelli? Cosa resta dell'intera operazione? Una
colossale speculazione immobiliare, che genererebbe un
altrettanto colossale flusso di danaro. Come dai
parcheggi.
Si discute molto sui mass media locali di estetica, di
vivibilità..., forse sarebbe meglio tenere d'occhio i
conti. Correnti. Perché di "furbetti del quartierino",
con annesse complicità politiche, l'Italia è piena, non
ci sono brevetti, e il know how, facilmente disponibile,
dilaga.
(Pino Cosentino)
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Acquasola
CHE SCHELETRI NASCONDE
IL VENTRE DEL PARCO?
Dai primi di marzo il caso
Acquasola, tenuto vivo per più di due anni solo da un
plotone di eroici e fantasiosi cittadini, è entrato in
un nuovo gioco. Già nel gennaio scorso, in un dibattito
presso la Facoltà di Scienze della Formazione, Annalisa
Maniglio Calcagno, ex preside di Architettura, influente
membro della Fondazione Carige e tra i più ascoltati
esperti a livello europeo, aveva contestato duramente il
progetto chiedendo alla città di reagire contro i
misfatti che, appunto all'Acquasola, si stavano
compiendo.
I genovesi, che "solitamente dormono sul verde pubblico,
rendendo inetti con la loro indifferenza anche gli
stessi amministratori comunali", questa volta, diceva
Maniglio Calcagno, avrebbero fatto bene a svegliarsi.
Ricordando che in occasione del 2004 nessun parco era
stato restaurato per segnalarlo ai visitatori della
città. Un attacco in piena regola che ha reso quasi
patetico l'appello di Cristina Morelli, leader locale
dei verdi liguri che, su Repubblica del 16 marzo ("Smog
& schizofrenia sulla pelle dei cittadini") affrontava la
questione come se si trattasse solo di verde e di aria
pura. Una posizione forse non casuale avendo i Verdi
evitato accuratamente di dare battaglia sulla delibera
presa a suo tempo - 28 settembre 2004 - dal Consiglio
comunale che decideva lo stupro dell'Acquasola. Ma non
solo la frangia verde è apparsa in difficoltà.
Il 15 marzo sempre su Repubblica ("Acquasola doppio
blitz tra parco e cantieri") l'assessore alle
Infrastrutture Margini, (a proposito, a quando un
assessorato "alla verità e al buon senso"?) si dichiara
sorpreso di fronte alla "espansione indebita del
cantiere oltre i confini concordati" e di essere venuto
a conoscenza "di come sarà il parcheggio" solo dalla
pubblicità prodotta dalla Sistema Parcheggi, scavo e
alberini compresi. Una affermazione imbarazzante - non è
lui l'assessore? - e preoccupata che Sistema Parcheggi
punti ad assumere direttamente il confronto coi
cittadini tagliando fuori l'amministrazione.
Il 18 marzo la risposta di Ansaldo Trasporti che suona
pressapoco così: non rompeteci le scatole; noi siamo in
regola e andremo avanti. Piuttosto voi (politici)
imparate a fare il vostro mestiere: dovevate darci il
via a ottobre del 2005 e siamo a cominciare (per colpa
vostra) a marzo del 2006, in ritardo di 6 mesi. Non è
finita perché il 17 marzo (Repubblica, "Il sigillo di
Pericu") e poi il 20 ("Il centro più verde e i silos in
periferia per vivere meglio") l'Acquasola conquista
definitivamente la prima pagina: interrogativi
angoscianti, crisi di coscienza del genere "oh mio dio
cosa stiamo facendo". Paterno e rassicurante ha risposto
a tutti (Repubblica 20 marzo "Il parking è necessario ma
le auto diminuiranno) l'assessore al traffico. Noto per
la rudezza con cui in passato ha respinto ogni critica
sull'opportunità del park, l'assessore, dopo che anche
il mitico Piero Ottone è stato travolto dalla tempesta
del dubbio, ha scelto i toni flautati. Lui è il primo,
ha scritto , a capire le ragioni dei dubbiosi ma
l'amministrazione sa quello che fa. Ecco, questo è il
punto su cui anche i dubbiosi più recenti farebbero bene
a documentarsi. (OLI n. 35, novembre 2004,
www.olinews.it). A distanza di due anni la delibera che
decise il park dell'Acquasola non ha avuto ancora le
spiegazioni che invece avrebbe meritato. Cosa sa
l'amministrazione che invece i cittadini non sanno?
(Manlio Calegari)
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5 per mille
I FONDI PER L’UNIVERSITA’?SPERIAMO NELLA LOTTERIA
In Italia, sono 29.164 gli
enti che si sono candidati alla ripartizione del 5 per
mille dell`imposta sul reddito. Appartengono ai settori
del volontariato, della ricerca scientifica e
dell’università e si sono iscritti nella speranza di
raddrizzare un po’ i loro sempre più esili conti. In
attesa della scadenza del termine delle dichiarazioni,
bisogna darsi da fare. Conquistare il maggior numero
possibile di sostenitori. Perché il meccanismo per
l’assegnazione dei fondi è un po’ diverso da quello del
8 per mille (finanziamento della Chiesa cattolica e di
altre confessioni religiose) che è distribuito
integralmente tra i beneficiari in proporzione al
numero delle preferenze espresse. Chi non esprime
nessuna scelta, manifesta solo indifferenza su come
ripartire i fondi. Con il 5 per mille, invece, il
contribuente decide se destinare o meno questa quota del
gettito Irpef ai settori prescelti. La sua scelta
incide quindi non solo sulla ripartizio ne ma anche
sull’ammontare delle risorse da distribuire.
Per accaparrarsi il maggior numero di preferenze quindi
via alla pubblicità, alla propaganda ad ogni costo. Su
Google, alla voce “5 per mille” troverete più di 390.000
pagine. Ma la cifra si accresce continuamente. Per fare
proselitismo, una Onlus, con notevole tempestività, ha
comprato con pochi euro nientemeno che il dominio
“www.5xmille.it”. Un panorama non molto edificante che
bene rappresenta la superficialità e l’intento solo
propagandistico di questa iniziativa del governo. Una
trovata che distribuisce finanziamenti a pioggia, che
non distingue tra i diversi enti e tra ricerca
scientifica, cultura e volontariato e che non tiene
alcun conto della loro diversa natura, delle loro
diverse esigenze (programmazione, continuità). Un gioco
del lotto in cui vince chi fa più pubblicità.
Anche l’Università di Genova (insieme a quelle di tutta
l’Italia) si è iscritta alla corsa. I finanziamenti alle
università si sono ormai ridotti in misura allarmante.
Il rettore Gaetano Bignardi ha annunciato la decisione
di partecipare a questo gioco perché, spiega, “il
provvedimento contenuto nella Finanziaria potrebbe
risolvere almeno una parte dei problemi della ricerca”.
Un passo forse obbligato, date le condizioni in cui è
stata lasciata in Italia la ricerca scientifica di base.
Ma anche problematico, perché - come ha osservato Luca
Gandullia (www.lavoce.info) - “i finanziamenti versati
dai cittadini con questo meccanismo potranno integrare
ma anche sostituire quelli pubblici… Nulla garantisce
che le decisioni di spesa espresse dai contribuenti non
siano spiazzate da decisioni di segno opposto dello
Stato”.
La stima ufficiale è che il 40% dei contribuenti
esprimerà una preferenza e che, quindi, potranno essere
distribuiti 264 milioni di euro. Se invece, come è più
realistico pensare, sarà espresso solo il 10% di
preferenze, l’ammontare si ridurrà a 66 milioni:
decisamente pochi, tra tante migliaia di candidati. In
Liguria la quantità raggiungerà nell’ipotesi più
ottimistica 2 milioni di euro, da distribuire tra circa
600 enti. Quanti ne arriveranno all’Università di
Genova? Non molti se si pensa che dipenderà dalla
proporzione di preferenze espresse tra le centinaia di
enti candidati (università, fondazioni per la ricerca
oncologica, sclerosi multipla, teatri, conservatori di
musica, asili infantili, associazioni di volontariato,
ecc. ecc). Vale la pena di mettersi in gara per cercare
finanziamenti “aggiuntivi” che un governo distratto può
fare diventare facilmente “sostitutivi”?
(Oscar Itzcovich)
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Finanza creativa ANCHE L’8 PER MILLE
LASCIA PERPLESSI
“I tagli creativi di Tremonti
hanno ridotto eccellenze culturali e scientifiche a
poveri questuanti che si contendono le briciole.” Scrive
Enzo Costa nel suo Lanternino (La Repubblica-Il Lavoro,
17/3/06). Itzcovich chiarisce ai lettori, su questo
numero, il meccanismo e come la scelta del contribuente
influisca sulla ripartizione , ciò che forse è stato
fatto dalla stampa specializzata ma non da quella a
grande tiratura.
Ci si trova di fronte ad un nuovo marchingegno poco
chiaro, elusivo. La delega al contribuente insospettisce
per diverse ragioni: a) perché mal spiegata; b) per la
guerra scatenata tra poveri, indotti a sostenere costi
in pubblicità che potrebbero annullare, se non superare,
gli introiti (vedi inserzioni a pagamento sui quotidiani
locali del Carlo Felice, dell’Università ecc.); c)
perché giustifica, agli occhi del legislatore, ulteriori
tagli ai capitoli di spesa ricerca, cultura, assistenza.
Ma anche “l’otto per mille”, decima obbligatoria e
preesistente, lascia perplessi in termini sia di
imposizione (in quanto il carico fiscale nel nostro
paese è già molto alto) che di utilizzo (perché spesso è
accompagnato da una notevole mancanza di trasparenza).
Due esempi. Il disinvolto utilizzo da parte della
diocesi napoletana, anni fa in attività non proprio
evangeliche, che ha causato amarezza in molti fedeli e
preferenza verso altre confessioni . Più recentemente la
destinazione, a Genova, della quota destinata allo
stato, per due anni consecutivi, e precisamente all’IST,
in quanto ente pubblico, ma a favore di enti che non ne
avevano titolo. Avrebbe dovuto servire al restauro del
Forte Santa Tecla. II contributo del secondo anno, dopo
il cambio ai vertici all’Istituto di ricerca, fu
dirottato sul Comune per non “far perdere alla città un
significativo contributo” (protocollo d’intesa Comune -
Ist e delibera comunale 28/5/2001). Vedendo lo stato del
manufatto viene più di un dubbio sull’efficace utilizzo
di questi contributi.
Tutto il capitolo del “per mille” va rivisto eliminando
false deleghe demagogiche e l’obbligatorietà di
oblazioni che tali non dovrebbero essere.
(Vittorio Flick)
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Storie antiche
SERVONO A DISTRARRE
I GRANDI DUELLI
Dopo il ciclone Sanremo, si
sta abbattendo sui giornali lo tsunami "confronti
elettorali". Da almeno una settimana la stampa dedica la
maggior parte dello spazio riservato alla politica
italiana a quanto avviene in tv. Prima è imperversato il
"caso" Berlusconi vs. Annunziata (o viceversa), poi lo
scontro Berlusconi - Prodi davanti a Mimun. Ora lo
spettacolo inscenato in Confindustria. Il confronto
elettorale si risolve in un torneo, come nel medioevo,
quando i campioni si affrontavano lancia in resta per
decidere la sorte della bella di turno.
Già nell'antichità Omero era apprezzato e letto più di
Tucidide. Il mito diverte e distrae (etimologicamente
sono la stessa parola), la storia impegna e stanca.
La carta stampata appare incapace di resistere alla
potenza della rappresentazione televisiva. Ciò che
appare in tv si abbatte sui giornali, che nel tentativo
di recuperare un ruolo che gli sfugge, trattano quella
che è già un'elaborazione altamente sofisticata e
artefatta come se fosse realtà primaria, una materia
grezza da ordinare, vagliare, valutare, interpretare.
Evitano così di essere piallati dallo tsunami
televisivo? Sì, no, non so. La politica del giunco che
si piega al vento forse salva il giunco, ma poi tornerà
dritto come prima?
C'è un altro aspetto che val la pena di evidenziare: più
si innalzano i livelli di rimozione della realtà e di
elaborazione mitica della stessa, più aumenta la
resistenza e il fastidio in settori crescenti della
popolazione. C'è chi pensa che si possa arrivare al
dominio perfetto, che non ci sia limite alla capacità
dell'uomo di illudersi e di farsi ingannare. Si sbaglia.
La rimozione salva dal dolore, ma poi la realtà si
vendica, e azzanna dove non te l'aspetteresti.
Lo stesso sistema che appare preordinato in maniera
perfetta per perpetuare il dominio dei pochi sui molti
secerne il veleno che lo distruggerà. Questo sistema
elettorale permetteva, non rendeva obbligatorio, quello
che è successo. La partitocrazia ci si è buttata a
pesce. Ma così facendo ha cancellato ogni mediazione: il
prossimo parlamento (lo scrivo minuscolo a ragion
veduta) è stato già ora deciso dalle segreterie dei
partiti. E' caduto ogni diaframma, ogni finzione.
Un'oligarchia di qualche centinaia di persone (a dir
tanto), di destra e di sinistra, esercita
privatisticamente la sovranità al posto del popolo, al
di fuori di ogni regola e controllo pubblico. Ora è
evidente, dichiarato e certificato.
I "duelli" televisivi e tutto il contorno sono gran
parte di questo gioco. A poco a poco questa verità si
farà strada, e forse tangentopoli verrà ricordata, in
futuro, come una semplice scossa di avvertimento, prima
del terremoto vero.
(Pino Cosentino)
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Proposta di legge
CHI VUOLE DAVVERO
UN’ALTRA TV
“L’opposizione di sinistra –
ds, margherita, rifondazione comunista, comunisti
italiani, verdi, oltre ai molti altri entusiasti del
progetto – ha depositato una proposta di legge per la
modifica del servizio pubblico televisivo. Dopo anni di
reti lottizzate, di nomine politiche, di informazione di
parte, la sinistra unita ha deciso che inaugurerà il
proprio governo con una legge progressista, tanto più
necessaria dopo i cinque anni passati, in cui il
soffocamento dell’informazione e della satira hanno
spento il sorriso dei telespettatori. Questa legge è il
frutto di un percorso di crescita che ha reso i partiti
consapevoli delle loro vere competenze ed ha permesso di
fare un passo indietro rispetto al controllo politico
sulla tv pubblica del paese.
Di ispirazione europeista, questo progetto di legge
vuole restituire agli italiani che pagano il canone ciò
che è loro. Come in Spagna, in Germania e in Inghilterra
un consiglio di 21 tecnici a maggioranza provenienti
dalla società civile (11) e in minoranza provenienti
dalle istituzioni (10) nominerà un cda RAI di cinque
consiglieri selezionati attraverso concorsi pubblici
sulla base di criteri di professionalità e di
indipendenza, con funzioni esclusivamente gestionali,
per restituire ai cittadini un servizio televisivo
davvero obiettivo. Adesso passiamo ad un altro
servizio…”
“Ma che hai detto?”
“Come che ho detto? Ho detto quello che mi hai passato…”
“Ma non è vero che la proposta di legge è presentata da
tutta la sinistra …”
“Ah no? Non è di tutta l’opposizione?”
“No! No! Hai detto una sciocchezza! E’ una proposta di
legge popolare del Comitato Per Un’altra TV che sta
raccogliendo in tutto il paese le firme…Minimo
cinquantamila!”
“E gli altri non l’hanno sottoscritta…?”
“No. L’hanno sottoscritta solo i Verdi. Beh anche
artisti, attori, giornalisti…”
“Ma io pensavo che ci fosse un refuso…”
“Infatti tu pensi e aggiungi! Ed io devo rettificare…”
Ipotesi di un dialogo possibile per una proposta di
legge che fa molta fatica a trovare adesione nei partiti
e spazio su quotidiani e TV.
A Palazzo Ducale, venerdì 17, insieme a Cristina Morelli
e Tana De Zulueta dei Verdi e presidente del Comitato
Per Un’altra TV, la piccola sala era piena di gente.
Chiunque avesse il desiderio, seppur minino, di cambiare
le cose firmando, è invitato ad andare sul sito
www.perunaltratv.it per mettersi in contatto con i
referente della propria città.
(Giulia Parodi) |
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Radiorai
LE PREDICHE ESEMPLARI
DELLA SACERDOTESSA
I pensierini della neo
direttrice di Grazia si diffondono via radio alle otto
del mattino: “In Italia mancano uomini politici che
forniscano esempi!” tuona con voce da sacerdotessa
liberal. “Prendiamo due paesi europei diversi per
cultura e tradizioni: la Spagna e la Gran Bretagna”, lì
sì che fioriscono vite esemplari. Maria Latella si
spreme ancora un po’ e con tono trionfante scova due
modelli dai nomi altisonanti: Tony Blair e la regina
Sofia. L’uno meritevole di aver preso un congedo di
paternità di quindici giorni alla nascita del
terzogenito, come un comune ma premuroso padre di
famiglia; l’altra di aver risposto, durante
un’intervista sul senso della monarchia, oggi, che i
sovrani hanno soprattutto il compito di dare l’esempio.
Ecco spiegata la ragione della nostra crisi di valori,
dello stato di degrado in cui ci arrovelliamo. La causa
è che dall’alto non vengono comportamenti edificanti,
tali da fare scuola, da guidarci. Grazie per averci
illuminato: proprio vero che non si diventa direttrici
per caso. Ma in un paese come il nostro non pretendiamo
tanto dai nostri politici! Ci basta e avanza che il
nostro premier, scendendo nel privato, si vanti di
accogliere ancora nel lettone i figli adolescenti.
Sono fioretti, petali di preclare virtù che monarchi e
potenti d’oggigiorno lasciano cadere verso il basso, e
non è certo colpa loro se le masse sono incapaci di
apprezzare. Come giustificare, dopo siffatti esempi
rotocalcheschi, le operaie o le commesse che continuano
a rinviare la maternità quasi rischiassero di perdere il
lavoro; e i più o meno giovani precari che non ci
pensano nemmeno a mettere al mondo un figlio? Campioni
di egoismo, edonisti sono.
(Bettina Arcuri)
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Memoria G8
LA CORTE EUROPEA
CHIEDE CHIAREZZA
“Chi non vuole ricordare
il passato è condannato a riviverlo.” E allora bando
alla pigrizia e sforziamoci di ricordare, anche se fa
male o dà fastidio.
Nelle dieci puntate precedenti ho cercato di raccontare
su piazza Alimonda quello che in troppi hanno voluto
nascondere. La Corte europea di Strasburgo, invece, ha
accolto il nostro ricorso perché ha riscontrato lacune e
contraddizioni nell’archiviazione e nella organizzazione
dell’ordine pubblico che ha generato i fatti che hanno
portato anche all’omicidio di Carlo. La Corte ha posto
una serie di quesiti al governo italiano, chiedendo una
risposta entro il 9 febbraio. Come era da attendersi, il
governo, questo governo (nostro non riesco proprio a
scriverlo, e anche ripetere italiano mi fa specie), ha
chiesto una proroga e tutto lascia prevedere che ne
chiederà ancora. Poi, come è nelle aspettative delle
persone oneste di questo paese, il “peggior governo
della storia repubblicana” (l’espressione è di
quell’impenitente estremista no global di Oscar Luigi
Scalfaro) toglierà il disturbo. E il nuovo governo
italiano (questa è una fiduciosa apertura di credito) si
preparerà a rispondere. Lo farà anche il nuovo
Parlamento italiano (qui ci sta anche la maiuscola, dal
momento che sarà stato liberato dall’incongrua
presidenza dei Pera e dei Casini), che avrà avviato i
lavori di una autorevole Commissione parlamentare
d’inchiesta (autorevole perché sarà d’inchiesta e non
sarà presieduta da un insolente avvocaticchio che
confonde gli assassinati con i vacanzieri).
La ricerca della verità negata si accompagnerà con il
rispetto della memoria. Chissà, forse riusciremo anche a
superare le banali osservazioni toponomastiche di un
prefetto che si rimpalla la responsabilità con il
ministro dell’interno, e a collocare nell’aiuola
centrale di piazza Alimonda un pezzo di marmo con la
scritta “Carlo Giuliani, ragazzo, 20 luglio 2001”. Non
essendo sulla cancellata di una chiesa, non offrirà a
suscettibili parrocchiani più timorosi della verità che
di un peccato di superbia, l’occasione di ricadere
nell’errore.
(11 - continua)
(Giuliano Giuliani) |
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Società
DONNE DISCRIMINATE
DAL SANO BUON SENSO
Perché non era stata curiosa
di conoscere il sesso dei bambini che aveva portato in
pancia? Perché il genere era così distante da lei?
Perché diceva che sarebbe stata una sorpresa? Non aveva
forse aspettative? Se fosse stata femmina la poteva
sentire più sua. Certo: un tassello di sé. Se fosse
stato maschio poteva sentirlo più suo. Certo: del suo
compagno. Pelle di lui. Ed era una di una vastità così
intesa, di una potenza così grande ciò che accadeva
dentro di lei, che le parole mancavano. Inafferrabili a
spiegare. Non poteva raccontare la grandezza. “E’ la
sola cosa che dà il senso del miracolo”, le venne
spiegato. Lei rinasceva con i sui figli. E sapeva, dopo
averli messi al mondo, che sicuramente un creatore
c’era, anche se non agli indirizzi conosciuti.
Voleva che i suoi figli diventassero persone. Poteva
essere un progetto? Chi li educava alla religione, chi
alla competizione, chi allo studio. Lei sognava che
diventassero solo persone. I contorni erano precisi: nel
rispetto delle specificità, se non addirittura
nell’esaltazione delle specificità di genere, li avrebbe
condotti sulla strada dell’eguaglianza. Era
l’uguaglianza davanti alla legge. Era il diritto di
voto. E alla rappresentanza. Il diritto all’aborto. Al
divorzio. Allo studio. Al lavoro. Era la tutela del più
debole.
Era quel sacco di roba lì, per il quale non aveva
combattuto, ma che le era stato consegnato e tanto
bastava. Alle soglie del terzo millennio lei, come
donna, aveva solo vantaggi. Ed era scontato, a fronte di
una semina così ricca, il raccolto sarebbe stato
eccezionale.
Ma sul lavoro accadevano cose strane: a parità di
mansioni il collega maschio guadagnava di più, cresceva.
E il sindacato taceva. A casa gli spazi per sé non
venivano negati. Ma andavano spiegati. Giustificati.
Quanto poteva sacrificare per la “carriera”? Fino a che
prezzo? Non che avesse arretrato. Ma il sano buon senso
le aveva indicato la strada: lasciarsi alle spalle
qualcosa.
Con gli anni il sano buon senso si era insediato un po’
ovunque. Aveva impregnato lei e le donne che la
circondavano, capaci di clonarsi fino a richieste
esaurite. Le straniere spesso venivano in Italia sole. I
figli di cui raccontavano erano rimasti lontani, pezzi
di un trasloco infinito, disumano. Il sano buon senso
proponeva loro l’accettazione di uno strappo lacerante.
I livelli del sano buon senso si erano stratificati
plasmandosi alle storie personali di ognuna a seconda
della provenienza. Del raccolto rimanevano storie che
poco avevano a che vedere con quanto era stato seminato.
La politica continuava ad alimentare l’inganno:
rivendicava parità di diritti per le donne, ma negava
loro rappresentanza. Solo il trenta percento. Ci
sarebbero voluti minimo cinquanta anni per sperare in
qualcosa di più. Il sano buon senso del suo leader era
inquadrato in TV. E azzerava tutto.
E per le persone? Due secoli. Almeno.
(Giulia Parodi)
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Quote d’ingresso ANCHE MANAGER EXTRA
MA SENZA LA CODA
Li abbiamo visti fare code
dall’alba, rifocillati da volontari. Autorganizzarsi,
stabilendo il numero d’ingresso nell’ufficio postale
prescelto. Così in centro come in periferia.
I nostri politici si sono premurati d’avvisare: non di
sanatoria si tratta, ma di quote di forza-lavoro
prestabilite. Chi perde, perché non ha raggiunto lo
sportello per tempo (i primi otto minuti dopo le 14.30),
sarà ricacciato ai margini, nascosto alle luci della
ribalta, clandestino.
Numeri al ribasso rispetto alle braccia necessarie per
mandare avanti la 7a potenza occidentale, come lamenta
l’assessore al lavoro e alle politiche migratorie della
Liguria Enrico Vesco, intervistato da Cinzia Gubbini (Il
Manifesto, 14 marzo): “Io ne avevo chiesto 7.500
(lavoratori stranieri). Il numero esatto era 9 mila, ma
mi rendevo conto che erano troppi. Quindi ho un po’
diminuito.” “Risultato?”, chiede la giornalista, “Meno
di 4 mila.”
Eppure, anche fra i lavoratori extracomunitari ci sono
dei distinguo. Per alcuni non esistono umiliazioni, ma
braccia aperte che accolgono: “In Italia crescerà il
numero di manager stranieri” titola “Affari e finanza”
del 13 marzo.
L’indagine, realizzata dalla Asa Executive Search,
società che si occupa della ricerca diretta di top
manager, ha evidenziato la crescita di manager
provenienti da America, Asia, Europa dell’Est. Un flusso
che tenderà ad aumentare fino ad una quota di 10.000
extracomunitari d.o.c. previsti nel 2010.
I vantaggi, dicono quelli dell’Asa, sono indubbi:
pluralità d’esperienze, apporti culturali nuovi,
conoscenza dei mercati di sbocco. “L’Italia sta
diventando sempre più globale e non c’è che da esserne
contenti: per essere davvero internazionali occorre
inserire e assorbire persone di culture diverse”, dice
Vito Gioia, partner di Asa.
Per ora il fenomeno è circoscritto alle aziende che
hanno una casa madre straniera (qui lavora il 55% di
manager dell’inchiesta), ma le cose stanno cambiando:
“Fino a pochi anni fa le aziende italiane richiedevano
manager italiani per incarichi nella Penisola e
all’estero. Adesso si cercano persone con esperienza
internazionale, senza limitazioni nella nazionalità”.
(Tania del Sordo)
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