LETTERE  ALLA REDAZIONE
                                    

 

 

                  

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LA STRADA DEL SANTUARIO

Belli i falò ma la strada per il Santuario è uno scandalo, speriamo che la nuova illuminazione abbellisca la zona, perchè mi sembra depressa e sporca con case nel fiume e demolizione incorporata... ma non dovrebbe essere una zona da rivalutare per il turismo ed il pellegrinaggio nazionale e perchè no internazionale?? per fortuna il Papa quest'anno non è venuto perchè sarebbe stato imbarazzante farle notare una demolizione accanto ad una chiesa... baraccopoli vicino al fiume, illuminazione a metà.. ecc. ecc.

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Cari Trucioli Savonesi,
leggo spesso gli interventi che appaiono sul vostro sito.
Qualche tempo fa ho letto un intervento di un certo signore filo-mussulmano accompagnato da quello di una certa Amina o un nome simile ma non ricordo con precisione.
Se volete farmi cosa grata Vi pregherei far loro leggere quanto sotto appare.
La informazione è anche cultura, il sapere potrebbe comportare anche per loro una abiura.
Non sarò certamente io a denunciarli alla nostra inquisizione.
Grazie.
La notizia mi ha scioccato.
Per il nuovo che avanza per vivere bisogna essere PAZZI.
 
Potrebbe essere dichiarato infermo di mente Abdul Rahmal,il cittadino afgano convertitosi al CRISTIANESIMO e che per questo rischia la condanna a morte per aver abiurato l' ISLAM.
Grazie al cielo però il Procuratore Zamari concede una speranza di vita dichiarando :PENSIAMO SIA PAZZO ! NON E' UNA PERSONA NORMALE ! NON PARLA COME UNA PERSONA NORMALE !
 
Secondo la loro LEGGE l'eventuale riconoscimento della infermità mentale potrebbe evitare al neo-cristiano Rahmal la pena capitale.
Per tanto verrà sottoposto a perizia psichiatrica per accertare la eventuale infermità.
 
Nutro forti dubbi che quell' accertamento avvenga in una clinica svizzera-danese-svedese-norvegese stante la presenza di croci sulle di loro bandiere nazionali.
 
Abdul Rahamal pregherò per te rivolgendomi a Nostro Signor Gesù Cristo.
 
Vito Cafueri

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OLI  Osservatorio Ligure sull'Informazione


Newsletter n. 94, 22 marzo 2006
L'Osservatorio Ligure sull'Informazione è nato per contrastare l'omologazione del sistema informativo, la riduzione progressiva delle voci di dissenso, il conformismo degli operatori di giornali, radio e tv. L'osservatorio segnala gli episodi di distorsione e occultamento delle notizie, di mancanza di contraddittorio e di trasparenza, di uso privato degli organi di informazione, di omertà e servilismo nei confronti di gruppi o esponenti del mondo politico o economico.
Il materiale contenuto in questa newsletter può essere liberamente riprodotto, in tutto o in parte, citando, quando possibile, la fonte. OLI è aperta alla collaborazione di chiunque ne condivida il programma. I contributi, per essere pubblicati, non devono superare le 500 parole (circa 2.000 battute).
La Newsletter OLI è archiviata insieme ai numeri arretrati nel sito www.olinews.it . Gli articoli sono raggrupati cronologicamente e per categoria e sono anche rintracciabili mediante un motore di ricerca per parole chiavi. E' anche possibile commentare gli articoli: vi invitiamo a farlo e ad aprire in questo modo un dialogo tra redazione e lettori.

Mandateci le vostre osservazioni:  newsletter-oli@olinews.it
In redazione:
Camillo Arcuri, Manlio Calegari, Oscar Itzcovich, Tania Del Sordo, Vittorio Flick, Eleana Marullo, Giulia Parodi, Paola Pierantoni.
In questo numero:
Urbanistica - I furbetti del quartierino abitano anche qui (P. Cosentino)

Acquasola - Che scheletri nasconde il ventre del parco? (m.c.)
5 per mille - I fondi per l’Università? Speriamo nella lotteria (o.i.)
Finanza creativa - Anche l’8 per mille lascia perplessi (v.f.)
Storie antiche - Servono a distrarre i grandi duelli (p.c.)
Proposta di legge
(g.p.)
Radiorai - Le prediche esemplari della sacerdotessa (B. Arcuri)
Memoria G8 - La corte europea chiede chiarezza (G. Giuliani)
Società - Donne discriminate dal sano buon senso (g.p.)
Quote d’ingresso - Anche manager extra, ma senza coda (t.d.s.)


Urbanistica
I FURBETTI DEL QUARTIERINO
ABITANO ANCHE QUI
Qualcosa sta accadendo a Genova (e forse anche altrove...). Negli ultimi giorni sono rimbalzate sui giornali cittadini insistenti notizie e polemiche su importanti operazioni immobiliari.
I parcheggi: quelli dell'Acquasola, di Ponte Caffaro, della Meridiana..., con numerosi interventi di tecnici e politici. Sabato è esplosa la bomba: "Erzelli, l'addio di Piano". Perché? "Troppo cemento, l'architetto rinuncia al progetto".
Il lettore può facilmente restare frastornato: l'Affresco, Cornigliano, gli Erzelli, i parcheggi, la metropolitana, coinvolgono una pluralità di soggetti a diverso titolo. Quali vanno considerate opere pubbliche, quali operazioni private a valenza puramente commerciale?
C'è una mescolanza di interessi, capitali, competenze pubbliche e private. I privati investono ovviamente per realizzare un guadagno, il pubblico per realizzare finalità generali. Inoltre gli enti locali svolgono funzioni di regia per modellare il territorio, in termini di costruzioni e infrastrutture, in maniera razionale e attenta alle esigenze funzionali ed estetiche.
In questa situazione è fondamentale la trasparenza con cui vengono perseguite finalità così differenziate, mentre le scelte del soggetto pubblico possono aprire o chiudere, ingigantire o ridurre il flusso di quattrini proveniente dalle varie iniziative.
In un altro articolo si legge: "(Il Progetto Leonardo agli Erzelli) si potrà chiamare ancora "technology village" ora che gli immobiliaristi entrati a controllare "Genova High-tech" vogliono farne un paradiso di villette ed edilizia residenziale?". Che interesse ha la collettività di vedere una collina ricoprirsi di edifici, con le spese di urbanizzazione connesse, se viene a mancare la fondamentale premessa di utilità pubblica?
Nei due articoli che occupano tutta la pagina si dà molto risalto ai conti fatti dagli immobiliaristi. Questi, attraverso le società Euromilano e Prometeo, con l'appoggio finanziario di Banca Intesa, hanno ottenuto il controllo della società che gestisce l'operazione, la "Genova High tech", prima controllata dalla Dixet, consorzio genovese di aziende ad alta tecnologia.
In questa storia il ruolo dei cattivi spetta dunque chiaramente agli immobiliaristi e alla loro brama di profitto. Bisogna leggere tutto con molta attenzione per accorgersi che nella storia c'è un protagonista assolutamente decisivo, che preferisce starsene defilato: il Comune di Genova.
Esso ha modificato le destinazioni d'uso nel senso desiderato dagli immobiliaristi. Senza di ciò, l'intera operazione di stravolgimento del progetto e di emarginazione della sua componente industriale e tecnologica non sarebbe potuta avvenire.
Perché questo favore, che rimette in discussione anche la scelta della facoltà di Ingegneria di trasferirsi agli Erzelli? Cosa resta dell'intera operazione? Una colossale speculazione immobiliare, che genererebbe un altrettanto colossale flusso di danaro. Come dai parcheggi.
Si discute molto sui mass media locali di estetica, di vivibilità..., forse sarebbe meglio tenere d'occhio i conti. Correnti. Perché di "furbetti del quartierino", con annesse complicità politiche, l'Italia è piena, non ci sono brevetti, e il know how, facilmente disponibile, dilaga.
(Pino Cosentino)
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  Acquasola
CHE SCHELETRI NASCONDE
IL VENTRE DEL PARCO?
Dai primi di marzo il caso Acquasola, tenuto vivo per più di due anni solo da un plotone di eroici e fantasiosi cittadini, è entrato in un nuovo gioco. Già nel gennaio scorso, in un dibattito presso la Facoltà di Scienze della Formazione, Annalisa Maniglio Calcagno, ex preside di Architettura, influente membro della Fondazione Carige e tra i più ascoltati esperti a livello europeo, aveva contestato duramente il progetto chiedendo alla città di reagire contro i misfatti che, appunto all'Acquasola, si stavano compiendo.
I genovesi, che "solitamente dormono sul verde pubblico, rendendo inetti con la loro indifferenza anche gli stessi amministratori comunali", questa volta, diceva Maniglio Calcagno, avrebbero fatto bene a svegliarsi. Ricordando che in occasione del 2004 nessun parco era stato restaurato per segnalarlo ai visitatori della città. Un attacco in piena regola che ha reso quasi patetico l'appello di Cristina Morelli, leader locale dei verdi liguri che, su Repubblica del 16 marzo ("Smog & schizofrenia sulla pelle dei cittadini") affrontava la questione come se si trattasse solo di verde e di aria pura. Una posizione forse non casuale avendo i Verdi evitato accuratamente di dare battaglia sulla delibera presa a suo tempo - 28 settembre 2004 - dal Consiglio comunale che decideva lo stupro dell'Acquasola. Ma non solo la frangia verde è apparsa in difficoltà.
Il 15 marzo sempre su Repubblica ("Acquasola doppio blitz tra parco e cantieri") l'assessore alle Infrastrutture Margini, (a proposito, a quando un assessorato "alla verità e al buon senso"?) si dichiara sorpreso di fronte alla "espansione indebita del cantiere oltre i confini concordati" e di essere venuto a conoscenza "di come sarà il parcheggio" solo dalla pubblicità prodotta dalla Sistema Parcheggi, scavo e alberini compresi. Una affermazione imbarazzante - non è lui l'assessore? - e preoccupata che Sistema Parcheggi punti ad assumere direttamente il confronto coi cittadini tagliando fuori l'amministrazione.
Il 18 marzo la risposta di Ansaldo Trasporti che suona pressapoco così: non rompeteci le scatole; noi siamo in regola e andremo avanti. Piuttosto voi (politici) imparate a fare il vostro mestiere: dovevate darci il via a ottobre del 2005 e siamo a cominciare (per colpa vostra) a marzo del 2006, in ritardo di 6 mesi. Non è finita perché il 17 marzo (Repubblica, "Il sigillo di Pericu") e poi il 20 ("Il centro più verde e i silos in periferia per vivere meglio") l'Acquasola conquista definitivamente la prima pagina: interrogativi angoscianti, crisi di coscienza del genere "oh mio dio cosa stiamo facendo". Paterno e rassicurante ha risposto a tutti (Repubblica 20 marzo "Il parking è necessario ma le auto diminuiranno) l'assessore al traffico. Noto per la rudezza con cui in passato ha respinto ogni critica sull'opportunità del park, l'assessore, dopo che anche il mitico Piero Ottone è stato travolto dalla tempesta del dubbio, ha scelto i toni flautati. Lui è il primo, ha scritto , a capire le ragioni dei dubbiosi ma l'amministrazione sa quello che fa. Ecco, questo è il punto su cui anche i dubbiosi più recenti farebbero bene a documentarsi. (OLI n. 35, novembre 2004, www.olinews.it). A distanza di due anni la delibera che decise il park dell'Acquasola non ha avuto ancora le spiegazioni che invece avrebbe meritato. Cosa sa l'amministrazione che invece i cittadini non sanno?
(Manlio Calegari)


  5 per mille
I FONDI PER L’UNIVERSITA’?SPERIAMO NELLA LOTTERIA
In Italia, sono 29.164 gli enti che si sono candidati alla ripartizione del 5 per mille dell`imposta sul reddito. Appartengono ai settori del volontariato, della ricerca scientifica e dell’università e si sono iscritti nella speranza di raddrizzare un po’ i loro sempre più esili conti. In attesa della scadenza del termine delle dichiarazioni, bisogna darsi da fare. Conquistare il maggior numero possibile di sostenitori. Perché il meccanismo per l’assegnazione dei fondi è un po’ diverso da quello del 8 per mille (finanziamento della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose) che è distribuito integralmente tra i beneficiari in proporzione al numero delle preferenze espresse. Chi non esprime nessuna scelta, manifesta solo indifferenza su come ripartire i fondi. Con il 5 per mille, invece, il contribuente decide se destinare o meno questa quota del gettito Irpef ai settori prescelti. La sua scelta incide quindi non solo sulla ripartizio ne ma anche sull’ammontare delle risorse da distribuire.
Per accaparrarsi il maggior numero di preferenze quindi via alla pubblicità, alla propaganda ad ogni costo. Su Google, alla voce “5 per mille” troverete più di 390.000 pagine. Ma la cifra si accresce continuamente. Per fare proselitismo, una Onlus, con notevole tempestività, ha comprato con pochi euro nientemeno che il dominio “www.5xmille.it”. Un panorama non molto edificante che bene rappresenta la superficialità e l’intento solo propagandistico di questa iniziativa del governo. Una trovata che distribuisce finanziamenti a pioggia, che non distingue tra i diversi enti e tra ricerca scientifica, cultura e volontariato e che non tiene alcun conto della loro diversa natura, delle loro diverse esigenze (programmazione, continuità). Un gioco del lotto in cui vince chi fa più pubblicità.
Anche l’Università di Genova (insieme a quelle di tutta l’Italia) si è iscritta alla corsa. I finanziamenti alle università si sono ormai ridotti in misura allarmante. Il rettore Gaetano Bignardi ha annunciato la decisione di partecipare a questo gioco perché, spiega, “il provvedimento contenuto nella Finanziaria potrebbe risolvere almeno una parte dei problemi della ricerca”. Un passo forse obbligato, date le condizioni in cui è stata lasciata in Italia la ricerca scientifica di base. Ma anche problematico, perché - come ha osservato Luca Gandullia (www.lavoce.info) - “i finanziamenti versati dai cittadini con questo meccanismo potranno integrare ma anche sostituire quelli pubblici… Nulla garantisce che le decisioni di spesa espresse dai contribuenti non siano spiazzate da decisioni di segno opposto dello Stato”.

La stima ufficiale è che il 40% dei contribuenti esprimerà una preferenza e che, quindi, potranno essere distribuiti 264 milioni di euro. Se invece, come è più realistico pensare, sarà espresso solo il 10% di preferenze, l’ammontare si ridurrà a 66 milioni: decisamente pochi, tra tante migliaia di candidati. In Liguria la quantità raggiungerà nell’ipotesi più ottimistica 2 milioni di euro, da distribuire tra circa 600 enti. Quanti ne arriveranno all’Università di Genova? Non molti se si pensa che dipenderà dalla proporzione di preferenze espresse tra le centinaia di enti candidati (università, fondazioni per la ricerca oncologica, sclerosi multipla, teatri, conservatori di musica, asili infantili, associazioni di volontariato, ecc. ecc). Vale la pena di mettersi in gara per cercare finanziamenti “aggiuntivi” che un governo distratto può fare diventare facilmente “sostitutivi”?
(Oscar Itzcovich)


  Finanza creativa ANCHE L’8 PER MILLE LASCIA PERPLESSI
“I tagli creativi di Tremonti hanno ridotto eccellenze culturali e scientifiche a poveri questuanti che si contendono le briciole.” Scrive Enzo Costa nel suo Lanternino (La Repubblica-Il Lavoro, 17/3/06). Itzcovich chiarisce ai lettori, su questo numero, il meccanismo e come la scelta del contribuente influisca sulla ripartizione , ciò che forse è stato fatto dalla stampa specializzata ma non da quella a grande tiratura.
Ci si trova di fronte ad un nuovo marchingegno poco chiaro, elusivo. La delega al contribuente insospettisce per diverse ragioni: a) perché mal spiegata; b) per la guerra scatenata tra poveri, indotti a sostenere costi in pubblicità che potrebbero annullare, se non superare, gli introiti (vedi inserzioni a pagamento sui quotidiani locali del Carlo Felice, dell’Università ecc.); c) perché giustifica, agli occhi del legislatore, ulteriori tagli ai capitoli di spesa ricerca, cultura, assistenza.
Ma anche “l’otto per mille”, decima obbligatoria e preesistente, lascia perplessi in termini sia di imposizione (in quanto il carico fiscale nel nostro paese è già molto alto) che di utilizzo (perché spesso è accompagnato da una notevole mancanza di trasparenza).
Due esempi. Il disinvolto utilizzo da parte della diocesi napoletana, anni fa in attività non proprio evangeliche, che ha causato amarezza in molti fedeli e preferenza verso altre confessioni . Più recentemente la destinazione, a Genova, della quota destinata allo stato, per due anni consecutivi, e precisamente all’IST, in quanto ente pubblico, ma a favore di enti che non ne avevano titolo. Avrebbe dovuto servire al restauro del Forte Santa Tecla. II contributo del secondo anno, dopo il cambio ai vertici all’Istituto di ricerca, fu dirottato sul Comune per non “far perdere alla città un significativo contributo” (protocollo d’intesa Comune - Ist e delibera comunale 28/5/2001). Vedendo lo stato del manufatto viene più di un dubbio sull’efficace utilizzo di questi contributi.
Tutto il capitolo del “per mille” va rivisto eliminando false deleghe demagogiche e l’obbligatorietà di oblazioni che tali non dovrebbero essere.
(Vittorio Flick)


  Storie antiche SERVONO A DISTRARRE I GRANDI DUELLI
Dopo il ciclone Sanremo, si sta abbattendo sui giornali lo tsunami "confronti elettorali". Da almeno una settimana la stampa dedica la maggior parte dello spazio riservato alla politica italiana a quanto avviene in tv. Prima è imperversato il "caso" Berlusconi vs. Annunziata (o viceversa), poi lo scontro Berlusconi - Prodi davanti a Mimun. Ora lo spettacolo inscenato in Confindustria. Il confronto elettorale si risolve in un torneo, come nel medioevo, quando i campioni si affrontavano lancia in resta per decidere la sorte della bella di turno.
Già nell'antichità Omero era apprezzato e letto più di Tucidide. Il mito diverte e distrae (etimologicamente sono la stessa parola), la storia impegna e stanca.
La carta stampata appare incapace di resistere alla potenza della rappresentazione televisiva. Ciò che appare in tv si abbatte sui giornali, che nel tentativo di recuperare un ruolo che gli sfugge, trattano quella che è già un'elaborazione altamente sofisticata e artefatta come se fosse realtà primaria, una materia grezza da ordinare, vagliare, valutare, interpretare. Evitano così di essere piallati dallo tsunami televisivo? Sì, no, non so. La politica del giunco che si piega al vento forse salva il giunco, ma poi tornerà dritto come prima?
C'è un altro aspetto che val la pena di evidenziare: più si innalzano i livelli di rimozione della realtà e di elaborazione mitica della stessa, più aumenta la resistenza e il fastidio in settori crescenti della popolazione. C'è chi pensa che si possa arrivare al dominio perfetto, che non ci sia limite alla capacità dell'uomo di illudersi e di farsi ingannare. Si sbaglia. La rimozione salva dal dolore, ma poi la realtà si vendica, e azzanna dove non te l'aspetteresti.
Lo stesso sistema che appare preordinato in maniera perfetta per perpetuare il dominio dei pochi sui molti secerne il veleno che lo distruggerà. Questo sistema elettorale permetteva, non rendeva obbligatorio, quello che è successo. La partitocrazia ci si è buttata a pesce. Ma così facendo ha cancellato ogni mediazione: il prossimo parlamento (lo scrivo minuscolo a ragion veduta) è stato già ora deciso dalle segreterie dei partiti. E' caduto ogni diaframma, ogni finzione. Un'oligarchia di qualche centinaia di persone (a dir tanto), di destra e di sinistra, esercita privatisticamente la sovranità al posto del popolo, al di fuori di ogni regola e controllo pubblico. Ora è evidente, dichiarato e certificato.
I "duelli" televisivi e tutto il contorno sono gran parte di questo gioco. A poco a poco questa verità si farà strada, e forse tangentopoli verrà ricordata, in futuro, come una semplice scossa di avvertimento, prima del terremoto vero.
(Pino Cosentino)


  Proposta di legge CHI VUOLE DAVVERO UN’ALTRA TV
“L’opposizione di sinistra – ds, margherita, rifondazione comunista, comunisti italiani, verdi, oltre ai molti altri entusiasti del progetto – ha depositato una proposta di legge per la modifica del servizio pubblico televisivo. Dopo anni di reti lottizzate, di nomine politiche, di informazione di parte, la sinistra unita ha deciso che inaugurerà il proprio governo con una legge progressista, tanto più necessaria dopo i cinque anni passati, in cui il soffocamento dell’informazione e della satira hanno spento il sorriso dei telespettatori. Questa legge è il frutto di un percorso di crescita che ha reso i partiti consapevoli delle loro vere competenze ed ha permesso di fare un passo indietro rispetto al controllo politico sulla tv pubblica del paese.
Di ispirazione europeista, questo progetto di legge vuole restituire agli italiani che pagano il canone ciò che è loro. Come in Spagna, in Germania e in Inghilterra un consiglio di 21 tecnici a maggioranza provenienti dalla società civile (11) e in minoranza provenienti dalle istituzioni (10) nominerà un cda RAI di cinque consiglieri selezionati attraverso concorsi pubblici sulla base di criteri di professionalità e di indipendenza, con funzioni esclusivamente gestionali, per restituire ai cittadini un servizio televisivo davvero obiettivo. Adesso passiamo ad un altro servizio…”
“Ma che hai detto?”
“Come che ho detto? Ho detto quello che mi hai passato…”
“Ma non è vero che la proposta di legge è presentata da tutta la sinistra …”
“Ah no? Non è di tutta l’opposizione?”
“No! No! Hai detto una sciocchezza! E’ una proposta di legge popolare del Comitato Per Un’altra TV che sta raccogliendo in tutto il paese le firme…Minimo cinquantamila!”
“E gli altri non l’hanno sottoscritta…?”
“No. L’hanno sottoscritta solo i Verdi. Beh anche artisti, attori, giornalisti…”
“Ma io pensavo che ci fosse un refuso…”
“Infatti tu pensi e aggiungi! Ed io devo rettificare…”

Ipotesi di un dialogo possibile per una proposta di legge che fa molta fatica a trovare adesione nei partiti e spazio su quotidiani e TV.
A Palazzo Ducale, venerdì 17, insieme a Cristina Morelli e Tana De Zulueta dei Verdi e presidente del Comitato Per Un’altra TV, la piccola sala era piena di gente. Chiunque avesse il desiderio, seppur minino, di cambiare le cose firmando, è invitato ad andare sul sito www.perunaltratv.it per mettersi in contatto con i referente della propria città.
(Giulia Parodi)


  Radiorai LE PREDICHE ESEMPLARI DELLA SACERDOTESSA
I pensierini della neo direttrice di Grazia si diffondono via radio alle otto del mattino: “In Italia mancano uomini politici che forniscano esempi!” tuona con voce da sacerdotessa liberal. “Prendiamo due paesi europei diversi per cultura e tradizioni: la Spagna e la Gran Bretagna”, lì sì che fioriscono vite esemplari. Maria Latella si spreme ancora un po’ e con tono trionfante scova due modelli dai nomi altisonanti: Tony Blair e la regina Sofia. L’uno meritevole di aver preso un congedo di paternità di quindici giorni alla nascita del terzogenito, come un comune ma premuroso padre di famiglia; l’altra di aver risposto, durante un’intervista sul senso della monarchia, oggi, che i sovrani hanno soprattutto il compito di dare l’esempio.
Ecco spiegata la ragione della nostra crisi di valori, dello stato di degrado in cui ci arrovelliamo. La causa è che dall’alto non vengono comportamenti edificanti, tali da fare scuola, da guidarci. Grazie per averci illuminato: proprio vero che non si diventa direttrici per caso. Ma in un paese come il nostro non pretendiamo tanto dai nostri politici! Ci basta e avanza che il nostro premier, scendendo nel privato, si vanti di accogliere ancora nel lettone i figli adolescenti.
Sono fioretti, petali di preclare virtù che monarchi e potenti d’oggigiorno lasciano cadere verso il basso, e non è certo colpa loro se le masse sono incapaci di apprezzare. Come giustificare, dopo siffatti esempi rotocalcheschi, le operaie o le commesse che continuano a rinviare la maternità quasi rischiassero di perdere il lavoro; e i più o meno giovani precari che non ci pensano nemmeno a mettere al mondo un figlio? Campioni di egoismo, edonisti sono.
(Bettina Arcuri)


  Memoria G8 LA CORTE EUROPEA CHIEDE CHIAREZZA
“Chi non vuole ricordare il passato è condannato a riviverlo.” E allora bando alla pigrizia e sforziamoci di ricordare, anche se fa male o dà fastidio.

Nelle dieci puntate precedenti ho cercato di raccontare su piazza Alimonda quello che in troppi hanno voluto nascondere. La Corte europea di Strasburgo, invece, ha accolto il nostro ricorso perché ha riscontrato lacune e contraddizioni nell’archiviazione e nella organizzazione dell’ordine pubblico che ha generato i fatti che hanno portato anche all’omicidio di Carlo. La Corte ha posto una serie di quesiti al governo italiano, chiedendo una risposta entro il 9 febbraio. Come era da attendersi, il governo, questo governo (nostro non riesco proprio a scriverlo, e anche ripetere italiano mi fa specie), ha chiesto una proroga e tutto lascia prevedere che ne chiederà ancora. Poi, come è nelle aspettative delle persone oneste di questo paese, il “peggior governo della storia repubblicana” (l’espressione è di quell’impenitente estremista no global di Oscar Luigi Scalfaro) toglierà il disturbo. E il nuovo governo italiano (questa è una fiduciosa apertura di credito) si preparerà a rispondere. Lo farà anche il nuovo Parlamento italiano (qui ci sta anche la maiuscola, dal momento che sarà stato liberato dall’incongrua presidenza dei Pera e dei Casini), che avrà avviato i lavori di una autorevole Commissione parlamentare d’inchiesta (autorevole perché sarà d’inchiesta e non sarà presieduta da un insolente avvocaticchio che confonde gli assassinati con i vacanzieri).
La ricerca della verità negata si accompagnerà con il rispetto della memoria. Chissà, forse riusciremo anche a superare le banali osservazioni toponomastiche di un prefetto che si rimpalla la responsabilità con il ministro dell’interno, e a collocare nell’aiuola centrale di piazza Alimonda un pezzo di marmo con la scritta “Carlo Giuliani, ragazzo, 20 luglio 2001”. Non essendo sulla cancellata di una chiesa, non offrirà a suscettibili parrocchiani più timorosi della verità che di un peccato di superbia, l’occasione di ricadere nell’errore.
(11 - continua)
(Giuliano Giuliani)


  Società DONNE DISCRIMINATE DAL SANO BUON SENSO
Perché non era stata curiosa di conoscere il sesso dei bambini che aveva portato in pancia? Perché il genere era così distante da lei? Perché diceva che sarebbe stata una sorpresa? Non aveva forse aspettative? Se fosse stata femmina la poteva sentire più sua. Certo: un tassello di sé. Se fosse stato maschio poteva sentirlo più suo. Certo: del suo compagno. Pelle di lui. Ed era una di una vastità così intesa, di una potenza così grande ciò che accadeva dentro di lei, che le parole mancavano. Inafferrabili a spiegare. Non poteva raccontare la grandezza. “E’ la sola cosa che dà il senso del miracolo”, le venne spiegato. Lei rinasceva con i sui figli. E sapeva, dopo averli messi al mondo, che sicuramente un creatore c’era, anche se non agli indirizzi conosciuti.
Voleva che i suoi figli diventassero persone. Poteva essere un progetto? Chi li educava alla religione, chi alla competizione, chi allo studio. Lei sognava che diventassero solo persone. I contorni erano precisi: nel rispetto delle specificità, se non addirittura nell’esaltazione delle specificità di genere, li avrebbe condotti sulla strada dell’eguaglianza. Era l’uguaglianza davanti alla legge. Era il diritto di voto. E alla rappresentanza. Il diritto all’aborto. Al divorzio. Allo studio. Al lavoro. Era la tutela del più debole.
Era quel sacco di roba lì, per il quale non aveva combattuto, ma che le era stato consegnato e tanto bastava. Alle soglie del terzo millennio lei, come donna, aveva solo vantaggi. Ed era scontato, a fronte di una semina così ricca, il raccolto sarebbe stato eccezionale.
Ma sul lavoro accadevano cose strane: a parità di mansioni il collega maschio guadagnava di più, cresceva. E il sindacato taceva. A casa gli spazi per sé non venivano negati. Ma andavano spiegati. Giustificati. Quanto poteva sacrificare per la “carriera”? Fino a che prezzo? Non che avesse arretrato. Ma il sano buon senso le aveva indicato la strada: lasciarsi alle spalle qualcosa.
Con gli anni il sano buon senso si era insediato un po’ ovunque. Aveva impregnato lei e le donne che la circondavano, capaci di clonarsi fino a richieste esaurite. Le straniere spesso venivano in Italia sole. I figli di cui raccontavano erano rimasti lontani, pezzi di un trasloco infinito, disumano. Il sano buon senso proponeva loro l’accettazione di uno strappo lacerante. I livelli del sano buon senso si erano stratificati plasmandosi alle storie personali di ognuna a seconda della provenienza. Del raccolto rimanevano storie che poco avevano a che vedere con quanto era stato seminato.
La politica continuava ad alimentare l’inganno: rivendicava parità di diritti per le donne, ma negava loro rappresentanza. Solo il trenta percento. Ci sarebbero voluti minimo cinquanta anni per sperare in qualcosa di più. Il sano buon senso del suo leader era inquadrato in TV. E azzerava tutto.
E per le persone? Due secoli. Almeno.
(Giulia Parodi)


  Quote d’ingresso ANCHE MANAGER EXTRA MA SENZA LA CODA
Li abbiamo visti fare code dall’alba, rifocillati da volontari. Autorganizzarsi, stabilendo il numero d’ingresso nell’ufficio postale prescelto. Così in centro come in periferia.
I nostri politici si sono premurati d’avvisare: non di sanatoria si tratta, ma di quote di forza-lavoro prestabilite. Chi perde, perché non ha raggiunto lo sportello per tempo (i primi otto minuti dopo le 14.30), sarà ricacciato ai margini, nascosto alle luci della ribalta, clandestino.
Numeri al ribasso rispetto alle braccia necessarie per mandare avanti la 7a potenza occidentale, come lamenta l’assessore al lavoro e alle politiche migratorie della Liguria Enrico Vesco, intervistato da Cinzia Gubbini (Il Manifesto, 14 marzo): “Io ne avevo chiesto 7.500 (lavoratori stranieri). Il numero esatto era 9 mila, ma mi rendevo conto che erano troppi. Quindi ho un po’ diminuito.” “Risultato?”, chiede la giornalista, “Meno di 4 mila.”
Eppure, anche fra i lavoratori extracomunitari ci sono dei distinguo. Per alcuni non esistono umiliazioni, ma braccia aperte che accolgono: “In Italia crescerà il numero di manager stranieri” titola “Affari e finanza” del 13 marzo.
L’indagine, realizzata dalla Asa Executive Search, società che si occupa della ricerca diretta di top manager, ha evidenziato la crescita di manager provenienti da America, Asia, Europa dell’Est. Un flusso che tenderà ad aumentare fino ad una quota di 10.000 extracomunitari d.o.c. previsti nel 2010.
I vantaggi, dicono quelli dell’Asa, sono indubbi: pluralità d’esperienze, apporti culturali nuovi, conoscenza dei mercati di sbocco. “L’Italia sta diventando sempre più globale e non c’è che da esserne contenti: per essere davvero internazionali occorre inserire e assorbire persone di culture diverse”, dice Vito Gioia, partner di Asa.
Per ora il fenomeno è circoscritto alle aziende che hanno una casa madre straniera (qui lavora il 55% di manager dell’inchiesta), ma le cose stanno cambiando: “Fino a pochi anni fa le aziende italiane richiedevano manager italiani per incarichi nella Penisola e all’estero. Adesso si cercano persone con esperienza internazionale, senza limitazioni nella nazionalità”.
(Tania del Sordo)

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