versione stampabile

Ancora sul “Begräbnis der Seele“ di Giegerich

Cominciamo dalle origini:

 

 

Sulla morte d’esseri siffatti [i demoni intermedi fra il divino e l’umano] conosco [parla Filippo, uno dei protagonisti del dialogo] una storia raccontatami da un uomo che non era né un folle né un ciarlatano: si tratta infatti di Epiterse, il padre dell’oratore Emiliano noto ad alcuni di voi per averne seguìto le conferenze, il quale era mio concittadino e mi fu maestro di lingua. Ora, costui diceva che una volta, dovendo recarsi in Italia, s’imbarcò su di una nave mercantile che trasportava merci ed un gran numero di passeggeri; verso sera, quando giunsero presso le isole Curzolari, cadde il vento e la nave, alla deriva, finì nei pressi di Paxo; quasi tutti a bordo erano ancora desti e parecchi, terminata la cena, stavano bevendo del vino, quando improvvisamente, nel generale stupore, si udì provenire dall’isola una gran voce che invocava un tal Tamo: era il pilota del battello, un egizio il cui nome era ignoto a molti dei naviganti. Per due volte chiamato tacque, ma la terza volta rispose e la voce, levandosi di tono, gli disse: “Quando sarai di fronte a Palodi [ignoto], annunzia che il Gran Pan è morto”. Epiterse raccontava che all’udire queste parole tutti rimasero attoniti e, discutendo fra loro se fosse meglio esaudire la richiesta o non impicciarsene e trascurarla, alla fine Tamo decise che, se sosteneva la brezza, sarebbe passato oltre senza far nulla, se invece una volta giunti sul posto sorgesse bonaccia e calma di venti, allora avrebbe riferito ciò che aveva ascoltato. Arrivati dunque di fronte a Palodi, poiché né l’aria più si moveva né il flutto, rivolto verso terra da poppa Tamo ripeté quello che gli era stato detto, e cioè che il Gran Pan era morto, e neppure aveva terminato di parlare quando dalla riva molte voci, non più una sola, levarono un gran gemito accompagnato da esclamazioni di sgomento

 

 

Così commenta James Hillman:

 

A cry went out through late antiquity: "Great Pan is dead!" Plutarch reported it in his On the failure of the Oracles, yet the saying has itself become oracular, meaning many things to many people in many ages. One thing was announced: nature had become deprived of its creative voice. It was no longer an independent living force of generativity. What had had soul lost it: or lost was the psychic connection with nature. With Pan dead, so too was Echo; we could no longer capture consciousness through reflecting within our instincts. They had lost their light and fell easily to asceticism, following sheepishly without instinctual rebellion their new shepherd, Christ, with his new means of management. Nature no longer spoke to us - or we could no longer hear. The person of Pan the mediator, like an ether who invisibly enveloped all natural things with personal meaning, with brightness, had vanished... When Pan is alive then nature is too, so the owl’s hoot is Athena and the mollusc on the shore is Aphrodite... When Pan is dead, then nature can be controlled by the will of the new God, man, modelled in the image of Prometheus or Hercules, creating from it and polluting in it without a troubled conscious... As the human loses personal connection with a personified nature and personified instinct, the image of Pan and the image of the devil merge. Pan never died, say many commentators on Plutarch, he was repressed... Pan still lives... in the repressed which returns, in the psychopathologies of instinct which assert themselves, as Roscher indicates, primarily in the nightmare and its associated erotic, demonic, and panic qualities (A blue fire: selected writings by James Hillman, a c. di Th. Moore, 19891, pp.97-98).

 

E prima di lui, in senso opposto e nelle forme tipiche della santocchieria anglosassone, Elizabeth Barrett Browning aveva scritto nel 1844 un’ampia composizione poetica “excited by Schiller’s Götter Griechenlands and partly founded on a well known tradition mentioned in a treatise of Plutarch (De Oraculorum Defectu) according to which, at the hour of the Saviour’s agony, a cry of ‘Great Pan is dead!’ swept across the waves in the hearing of certain mariners - and the oracles ceased”:

 

And that dismal cry rose slowly

And sank slowly through the air,

Full of spirit’s melancholy

And eternity’s despair!

And they heard the words it said -

“Pan is dead - Great Pan is dead -

Pan, Pan is dead” (The Dead Pan XXVI).

 

Veramente Plutarco, che nulla sapeva dell’”agonia del Salvatore”, non ne parla, come abbiamo visto; si tratta di una leggenda posteriore d’àmbito cristiano, ad es. Eus. praep. ev. V 17,1: 

 

Sin qui Plutarco [avendo prima trascritto il brano dal De defectu]. Sarà opportuno rilevare il periodo storico cui l’Autore assegna la morte del demone [nel séguito, non riportato]: si tratta del regno di Tiberio, durante il quale, secondo la Scrittura, il nostro Salvatore nella sua permanenza terrena cacciò dalla vita degli uomini tutti i demoni. 

Anche la moderna lettura di Hillman è fuorviante: quando Pausania, un secolo dopo, fece il suo Grand Tour ellenico i santuari pagani erano ancora ben vivi, e Plutarco stesso nel suo scritto attribuisce semplicemente la decadenza degli oracoli alla contrazione demografica, per di più con ogni probabilità ricuperando una tradizione orale nata da un’interpretazione erronea, se è vero che, come pensa il Graves, il grido rituale doveva in realtà sonare: “Tamo, Tamo, Tamo [cioè il dio egizio Tammuz], l’onnipossente [pámmegas], è morto”, ovviamente durante la celebrazione di un culto misterico. Ma questa acribia filologica non ha alcun significato se non il compiacimento di se stessa: gli emblemi contano per noi per ciò che vogliono figurare, non per quello che i pedanti notomizzano della loro genesi. Come dunque scriveva Jung, Zeus non abita più l’Olimpo e gli antichi numi sono aufgehobene Götter confinati ormai nella nostra soggettività onirica. È quindi ben vero che quando gli dèi, tutti gli dèi non solo Astrea, si ritirarono dal mondo per lasciare spazio al dio unico trascendente, il mondo entrò in una lunghissima agonia al termine della quale il suo immenso corpaccio fu a disposizione del bisturi della scienza.

MISERRIMUS