FOGLI MOBILI
e BIOPOLITICA

di  Gloria Bardi  e Giulio magno

Crocifisso? No, grazie 

Con la recente sentenza del Consiglio di Stato, sulla legittimità dell’esposizione del crocifisso nelle classi scolastiche statali,  si è persa, crediamo, una buona occasione per fare chiarezza.

Come spesso accade in questo strano Paese, il gusto tutto nostrano di arrampicarsi sugli specchi pur di non assumere una posizione netta ha trionfato, a scapito della libertà di tutti noi. 

Ricostruiamo, per un momento, questa vicenda giudiziaria, che è nata indipendentemente dalla precedente, clamorosa, battaglia portata avanti dal famoso Adel Smith, di religione musulmana, che anni fa tentò di far togliere i crocifissi dalla scuola frequentata dai propri figli, ricorrendo all’autorità giudiziaria, (che in primo grado gli diede ragione, ma che in appello fece marcia indietro). Anche in quell’occasione, a livello mediatico, si preferì gettare ombre (se fondato o meno poco importa) sul ricorrente che affrontare il merito della questione. 

Ma il ricorso all’autorità amministrativa, in questo caso, è il più corretto che si possa pensare:  originato dalla richiesta, da parte di alcuni cittadini, di tutela della laicità del nostro Stato,  desumibile dall’analisi comparata degli artt. 2,3,7,8,19 e 20 della Costituzione. 

Il ricorso non si presenta quindi  “colorato” di qualsivoglia connotazione religiosa alternativa a quella cattolica, e speriamo rappresenti una delle prime pietre lanciate nello stagno dell’ipocrisia generale in materia religiosa, che da secoli affligge il nostro Paese. 

Il pilastro sul quale poggia l’argomento del ricorso, dicevamo, è il concetto di laicità dello Stato, che si ritiene violato proprio dalla presenza, illegittima, di simboli religiosi cattolici, come appunto il crocifisso. 

Lo Stato, a ben leggere gli articoli della Costituzione, garantisce la piena libertà religiosa, (e sottolineiamo e rivendichiamo, richiamando in particolare l’art. 19, anche la libertà di non seguire alcuna religione), anche al di là del regime delle convenzioni con le varie comunità, previsto dagli artt.7 e 8 Cost., convenzioni che nel caso della religione cattolica si chiamano originariamente “concordato Stato-Chiesa”. 

Proprio qui si cela la prima contraddizione: la Costituzione italiana sancisce una differenza tra le religioni, nel senso che la religione cattolica, maggioritaria, è un po’ più uguale delle altre. 

Ora, bisogna intendersi sulla definizione di laicità, ma per farlo partiamo dalla sentenza, perché di questo si tratta. 

È evidente che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo ove è posto.

In un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un “simbolo religioso”, in quanto mira a sollecitare l’adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana.

In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte “laico”, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni.” 

Proprio sul richiamo alla laicità, il Consiglio di Stato compie un ribaltamento delle posizioni concettuali, tipico della politica, che quindi mal si addice all’attività giurisdizionale: il crocifisso, considerato come simbolo che può assumere diversi significati, a seconda di dove viene sistemato, acquisterebbe una funzione educativa, in quanto atto a richiamare “illico et immediate” quei valori civili (e quindi quella laicità) che sono posti al fondamento della nostra società.  

Si potrebbe già adesso criticare il contenuto della sentenza, perché risulta a dir poco azzardato affidare al crocifisso la possibilità (se esso è in grado di rappresentare…) di riuscire in un compito tutto da verificare come quello di richiamare i medesimi valori civili per i cattolici e per chi crede in altre religioni: un simbolo è un simbolo, e basta. Non può parlare se non a chi crede di poter ascoltare la sua parola, e per un appartenente ad un’altra religione (anche ad una non-religione) è semplicemente muto, e tale rimarrà per sempre (a meno di non diventare tutti Don Camillo). 

Ma nel prosieguo della motivazione, i giudici dell’organo giurisdizionale amministrativo raggiungono il limite dell’arbitrio, addirittura rivendicando per la religione la paternità di valori considerati assoluti da parte di quasi tutte le culture del mondo, (a parte, forse, proprio alcune religioni):

“Ora è evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana.

Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica “laicità”, confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere “laicamente” sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati.”.. omissis…” Non si può però pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato.”…omissis…” Nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo..”

Che dire? Questo Stato ha bisogno del crocifisso appeso negli uffici pubblici e nelle scuole, per ricordare ai suoi cittadini che è laico e non confessionale, che la tolleranza, il rispetto, la libertà, la solidarietà sono contenuti nel nostro Dna culturale? Evidentemente, per i giudici amministrativi, è proprio così. 

Abbiamo perso un’occasione, dicevamo, di fare chiarezza sullo status religioso di questo Paese: arrivare a sostenere, in una sentenza che inevitabilmente avrebbe avuto questa risonanza mediatica, che un simbolo religioso possa testimoniare della laicità dello Stato, tirando in ballo l’origine religiosa di valori fondamentali per la convivenza civile (quasi che prima di Cristo non esistessero comunità civili, la comune madre Atene compresa) equivale a sostenere che l’evoluzionismo è una invenzione di un bizzarro signore inglese che amava viaggiare e fantasticare osservando la natura.

E l’accenno all’”eresia darwiniana” non è affatto casuale. 

I valori richiamati dalla sentenza del Consiglio di Stato sono patrimonio dell’essere umano, distanti anzi da molte religioni, di per sé portatrici, spesso (e soprattutto quelle monoteiste), di una interpretazione discriminatoria (io credo in tale dio, tu no e quindi non sei come me…).

Non a caso John Locke, grande teorico della convivenza civile, è anche uno dei padri filosofici del principio politico di tolleranza, storicamente superato dall’ulteriore affermazione dei diritti dell’uomo, da parte dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese.

Allo stato noi non possiamo limitarci a chiedere tolleranza ma dobbiamo chiedere invece laicità.  

E’ pur vero che il privilegio cattolico ha prodotto in noi una assuefazione tale che abbiamo perso la capacità di riconoscerlo, scambiandolo per un diritto. Ma i diritti sono nati con l’esaurirsi, evolutivo o traumatico, della società dei privilegi. Storicamente bisogna tenere conto che il cattolicesimo, a differenza del protestantesimo, è una religione che si costituisce nel corso del medioevo e che ricalca le strutture mentali tipiche dell’epoca fondata sul concetto stesso del privilegio: è gerarchico e autoritativo.

Il problema è che l’Italia, col suo provincialismo culturale, non ha saputo emanciparsene, né elaborare davvero, malgrado varie testimonianze, una cultura laica e una civiltà dei diritti, intesa come “gestione della libertà e dell’eguaglianza”, volta a determinare situazioni di convivenza possibile.

Ora, salvo non si voglia mettere in dubbio, in termini etici e giuridici, il pluralismo ideologico e culturale che caratterizza gli individui che compongono le nostre società e si voglia tornare al “cuius regio eius religio” (ogni suddito doveva seguire il credo del principe) della dieta di Augusta, salvo che non si voglia mettere in dubbio l’autodeterminazione individuale, bisognerà riconoscere nella LAICITA’ il tratto irrinunciabile della nostra sfera pubblica, senza di cui crolla la possibilità stessa di convivenza dei diversi.

La laicità non prevede eccezioni.

Ma in Italia siamo analfabeti nei confronti di tale dimensione, ne siamo talmente lontani che tutti credono di esserne i portabandiera, a cominciare dal cardinale Ruini, ne siamo lontani  al punto di parlare linguaggi non ricevibili in assisi internazionali, come ha ingloriosamente dimostrato il buon Buttiglione al parlamento europeo (che tutti chiamano “filosofo” ma del quale ci piacerebbe conoscere la teoria originale, in modo da collegarne il nome a qualcosa come faccio per Platone, per Descartes, per Kant o per Heidegger).

La sentenza parla di interpretazione ideologica della laicità, finendo in una contraddizione concettuale, dal momento che la LAICITA’ rappresenta la neutralità rispetto a qualsivoglia ideologia

Inoltre “laicità” non è solo, come recita la sentenza, divisione e non ingerenza tra il potere temporale e quello spirituale: è un modo di essere e di pensare la società.

L’autonomia reciproca ne è un’evidente conseguenza –non un presupposto- e non riguarda solo la chiesa cattolica.

Non è sufficiente essere autonomi per essere laici, non si è laici verso la chiesa ma verso i propri cittadini: la laicità fa parte del pactum unionis.  

Ma la sentenza del Consiglio di Stato ci ricorda che l’Italia è un paese a laicità condizionata, con uno Stato che paga i “professori” di religione cattolica perché diffondano quella religione tra i ragazzi, a spese anche di chi cattolico non è; con un otto per mille tartufescamente distribuito, in modo che a beneficiarne maggiormente sia la Chiesa cattolica e l’elenco dei privilegui presenti e annunciati sarebbe ancora lungo.

Limitiamoci a ricordare che Stato veramente laico non permette l’insegnamento religioso di una sola religione, quantunque maggioritaria, non chiede ai genitori di esprimere la volontà di non aderire all’insegnamento religioso cattolico per il proprio figlio, chiede semmai ai genitori cattolici di pagarsi l’insegnante di religione cattolica, e in orario posto alla fine della giornata scolastica, in modo di consentire l’uscita da scuola anticipata ai ragazzi diversamente credenti (in alternativa fornendo un’altra offerta didattica).    

Uno Stato veramente laico non ha bisogno di crocifissi negli uffici pubblici, dovendo i primi rimanere  confinati alla sfera privata del credente, della quale essere (e giustamente, aggiungiamo) intimamente gelosi, e i secondi restare liberi da etichette diverse da quella neutra ed incolore della non confessionalità.

Uno Stato laico ha la sua Costituzione, che non dovrebbe fare differenze tra chi crede in questo o quel dio, che non agevola questa o quella religione con trattamenti differenziati.

La laicità è un gigantesco no comment in tema religioso, una limpida, serena, forte ed imperturbabile astensione dal prendere qualsiasi posizione religiosa. 

E veniamo infine all’ipocrisia della sentenza, che è davvero insostenibile e che caratterizza tutta la politica filocattolica dei nostri legislatori, nonché l’ingerenza dei vescovi sulla politica, elettoralisticamente giocata: essa rappresenta il tratto più sconcertante della legge sulla fecondazione assistita, sull’aborto, di cui va riacutizzandosi la clandestinità; del NO all’eterologa da sempre praticabile con l’adulterio, non dimentichiamo che fintanto che non era legge dello stato, solo gli sposati in chiesa potevano godere del “privilegio” di vedere sciolto il vincolo matrimoniale.

Chi voglia poi vedere l’origine dei nostri bizantinismi, vada a vedere che cosa era il metodo “gift” di inseminazione praticato in diversi centri cattolici. 

Insomma, non si aggiunga al danno la beffa, e se si vuol mettere un richiamo ai valori civili nazionali,  dal momento che “nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo “,si appenda direttamente ciò a cui questo compete, ovvero l’ARTICOLO 3 DELLA COSTITUZIONE e non ci si impantani in un terreno dove si finisce oltretutto, con intento forzatamente adattivo, per stravolgere il significato autentico del Crocefisso, che è religioso. E’ stupefacente che lo si rinneghi!

E in ultimo vogliamo aggiungere una domanda, giusto per inchiodare al legno l’ipocrisia: qualcuno dei signori che ci intrattengono sul simbolo e micasimbolo è per caso entrato in certe aule dove la croce è appesa di sghimbescio, con la figura ridotta a una larva, spesso dipinta o mutilata? Noi che, da laici detestiamo ogni tipo di bestemmia, lo abbiamo fatto e non è una cosa che sprizza tutte quelle cose che dice la sentenza, ma questo altro non è che il rovescio della medaglia autoritativa: il rispetto abita altrove. Fuori, perlomeno nelle attuali circostanze, da tutte le aule di cui abbiamo parlato in questo testo.

 Gloria Bardi e Giulio Magno

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