Lettera della settimana

"Sogno di una cosa" che l'umanità tende a realizzare, e che si realizzerà solo in un mondo non più lacerato dalle guerre intestine provocate da un' umanità

di Fulvio Sguerso
 

Cara Gloria, ho  letto e apprezzato il tuo articolo sulla demolizione dell'Astor e condivido le tue considerazioni narratologiche. L'importante, tuttavia, è che, al di là delle demolizioni, ci sia qualcuno che non si stanchi di ricostruire trame narrative, storiche, sociali, culturali, drammaturgiche realmente vissute. E' persino banale ricordarlo, ma nessuno è ancora riuscito a demolire la possibilità, quindi il dovere, di pensare un mondo diverso da quello che abbiamo sotto gli occhi. Marx parlava del "sogno di una cosa" che l'umanità tende a realizzare, e che si realizzerà solo in un mondo non più lacerato dalle guerre intestine provocate da un' umanità.

Quando  ti ho inviato i miei FRAMMENTI A CLEANTE non avevo ancora letto la tua elaborata e motivata APOLOGIA epicurea. Mi riprometto di risponderti a breve, anche perchè hai toccato argomenti di cui mi sto occupando, come la Teodicea, l'inconciliabilità del male con la "bontà" divina, il problema dell'etica oggi (Jonas) ecc. Siccome vedo che quello che prometti mantieni, cercherò di argomentare a mia volta non più tanto la scelta stoica (mi sentirei poco "saggio") quanto l'indecidibilità circa questioni come la provvidenza, la prescienza e la vera natura del male. Sono in ogni caso d'accordo circa il dovere della solidarietà concreta nei confronti dei nostri "simili dissimili" (Adorno).      

FRAMMENTI DI UN INNO A CLEANTE

 
Tu mi (ci) hai indicato la via
di una libera obbedienza e consapevole
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perchè solo conoscendo il logos che unisce
il filo d'erba al
Sole
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io (noi) nello stesso universo che obbedisce
a una sola legge sono (siamo) nella verità
anche se non la riconosciamo
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Non crediamo più nel padre Zeus
da tempo abbiamo ucciso gli dei
abbiamo abbattuto gli altari per guardare
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il terrore del nulla
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Tu hai umanizzato gli dei per mezzo
del fuoco invisibile che arde in tutte le cose
quindi anche in noi
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Hai visto nella necessità la nostra libertà
ci (mi) hai insegnato che non c'è pace
fuori dall'obbedienza alla legge universale
a cui dobbiamo tanto la nostra nascita
quanto la nostra morte
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ci (mi) hai insegnato il dovere di conoscere
l'ordine che regge la natura e l'umanità
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posso (possiamo) certo rifiutarlo
possiamo (posso) scegliere il clinamen
ma non per questo saremo liberi
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Non c'è peggiore schiavitù di chi si abbandona al caso
(al caos)

 Aggiungo qualche fugace considerazione ai miei fugacissimi FRAMMENTI A CLEANTE, ripromettendomi di tornare sui massimi problemi da te evocati nella tua Apologia epicurea: 1) Qual è il vero piacere? Il concetto epicureo è quanto meno ambiguo dal momento che ne sentiamo il bisogno quando non c'è, e, quando c'è, non lo desideriamo più (o magari ne desideriamo un altro). Tanto che Epicuro raccomanda l'atarassia e l'aponia (come se fosse un bene eliminare i turbamenti e la sensibilità al dolore) piaceri negativi generati dalla mancanza (assoluta?) di sofferenza.
2) Qual è il fine della vita? Per Epicuro la felicità, però intesa come assenza di dolore e di passione. Per gli stoici è il dovere, è la virtù che rende la vita degna di essere vissuta, non la vita in quanto tale. Di qui la scelta del suicidio quando le circostanze esterne impediscono l'adempimento del dovere. Entrambe le dottrine sono di difficile attuazione, e trovo singolare che entrambe predichino la bontà della natura. A questo punto si entra in un circolo vizioso da cui nè gli stoici né tantomeno gli epicurei ci aiutano a uscire. Per questo il problema è aperto. A meno che non intervenga un Deus ex machina

FULVIO SGUERSO