09 Febbraio 2006 LA STAMPA

DELL’ITALSIDER NON RIMANE ORMAI CHE UN CUMULO DI MACERIE MENTRE DI 7 CIMINIERE NE RESTA IN PIEDI UNA SOLTANTO, LASCIATA A RICORDO DELL’AZIENDA CHE NON C’È PIÙ
Cancellata anche l’«Ilva»
Addio all’ultimo simbolo della grande industria savonese
 

SAVONA
Primi Anni Venti del Novecento. A scandire la vita della città non era il suono delle campane, ma la sirena dell’Ilva. Regolava le abitudini di migliaia di savonesi, sia quelli che lavoravano in fabbrica e sia i loro familiari. In fonderia i forni non potevano mai spegnersi e in quegli anni l’Ilva era uno stabilimento siderurgico vero e proprio, tanto che Priamar e vecchia darsena avevano lle loro spalle una sorta di alta «corona» composta da ciminiere quasi sempre fumanti. Le sirene suonavano per scandire l’inizio e l’avvio del lavoro nei tre turni classici: dalle «6 alle 2», dalle «2 alle 10» e ancora dalle «10 alle 6», il turno di notte. Era una marea di tute blu quella che sciamava per via Pia e i vicoli del centro storico alla fine di ogni turno, quando migliaia di operai stanchi e affamati tornavano a casa, i più a piedi, gli altri in bicicletta. Si racconta che il giorno della quindicina, quando gli operai avevano soldi in tasca, le osterie del centro storico la sera prolungassero l’orario e che sui portoni si mostrassero le «belle di notte» dell’epoca.
L’Ilva, che è arrivata ad avere oltre 5 mila dipendenti, era il cuore pulsante della città e mai nessuno avrebbe immaginate che lo stabilimento orgoglio di generazioni di savonesi un certo giorno sarebbe stato abbattuto dalle pale meccaniche.
Il complesso siderurgico adiacente al Priamar e dotato di ben 7 altoforni, rappresentava, attorno agli Anni Trenta, una sorta di «casa madre» poichè c’erano nel comprensorio tre altre importanti realtà appartenenti allo stesso gruppo: l’ex Ferrotaia di Vado Ligure, l’ex Ilva Bates di Savona-Fornaci e l’Ilva Refrattari ancora di Vado Ligure.
All’Ilva è legata strettamente anche la storia del movimento operaio savonese, ricca di pagine memorabili, come ebbe a sottolineare il presidente della Repubblica Sandro Pertini che durante la sua vicita ufficiale alla città, avvenuta appena pochi mesi dopo l’elezione a capo dello Stato, scelse proprio l’Ilva come una delle sue tappe preferite. C’è una targa nel vecchio stabilimento, e su una parete del Priamar, che ricorda lo sciopero proclamato dagli operai durante il fascismo, un atto coraggioso, che segnò in un certo senso l’inizio della lotta di Resistenza per la riconquista della libertà, ma che costò anche a molti di questi operai la vita nei campi di sterminio nazisti.
Poi il dopoguerra e l’arrivo degli Anni Cinquanta con il Mercato Comune e le nuove esigenze di produzione. La siderurgia entrò in crisi per l’affacciarsi sul mercato dell’acciaio e della ghisa di altri Paesi produttori.
E il complesso savonese, che aveva assoluta necessità di trasformazioni e ammodernamenti per resistere alla concorrenza, venne lasciato in un angolo. Tra il 1953 e il 1955 i lavoratori, sostenuti dalla cittadinanza, diedero vita ai grandi scioperi di Savona, spesso con cariche della Celere anche in centro città, ma senza riuscire ad arrestare i licenziamenti che colpirono almeno 1300 lavoratori.
E’ in questo periodo che alcuni capannoni dell’ex Ilva, da tempo scomparsi per realizzare il piazzale sotto al fortezza, che si affacciavano su corso Mazzini, furono trasformati in laboratori per costruzioni in cartapesta, vale a dire i carri allegorici del Carnevale savonese voluto dai commercianti per dare una scossa alla sempre più anemica economia cittadina. Solo nel 1961 un segnale di ripresa, con l’arrivo dell’Italsider, la chiusura definitiva dei forni e quindi dell’attività siderurgica, l’abbattimento delle ciminiere e il passaggio all’attività metalmeccanica. Ma lo stabilimento non è mai più tornato fiorente come nei primi decenni del ‘900, ha tirato avanti tra una crisi e l’altra sino a tempi recenti quando anche l’Italsider ha abbandonato Savona e chiuso la fabbrica. C’è stato, infine, un tentativo, rivelatosi infelice, di ridar fiato all’azienda metalmeccanica da parte di un gruppo di imprenditori locali, ma l’insegna Omsav al posto di quella dell’Italsider ha avuto vita breve ed è stata cencellata definitivamente dal fallimento. E ora su questa sorta di «simulacro» dell’industria savonese sta per arrivare un vero e proprio di quartiere residenziale, con tanto di case signorili, alberghi e strutture turistiche. Una spceie di effetto domino da quando anche il porto non è più quello di una volta e le grandi navi passeggeri hanno preso il posto di quelle da carico.