Immigrati, lavoro e diritti:
SIAMO UOMINI O MANOVALI ?
Lo spunto per questo mio scritto non è il mio vecchio (si fa per dire) professore Nicolick, ma un articolo apparso su Il Secolo XIX, nella pagina di Albenga e Riviera il 24 dicembre scorso.

di
Giuliano Falco

 

Quando vengo a Savona (abito nell’entroterra di Albenga), provo due sensazioni: la prima è che mi sembra che ci sia un caos enorme –quando abitavo a Milano, provavo la sensazione contraria; la seconda è più, come dire, cultural-visiva: il mio occhio cerca, inconsapevolmente, l’immigrato, possibilmente nord africano, tant’è abituato nella città ingauna. Mi dispiace per l’ “amico” Nicolick, ma ormai ne conosco tanti di marocchini (e di albanesi e di cinesi; pensa, anche un macedone, un moldavo, alcuni rumeni e qualche ucraino). A Savona, mi dicono, ci sono molti albanesi, ma con gran pena per l’ “amico” di cui sopra –mi permetto cotanta confidenza perché è stato il mio insegnante di educazione fisica- sono più mimetizzati…

Lo spunto per questo mio scritto però non è il mio vecchio (si fa per dire) professore, ma un articolo apparso su Il Secolo XIX, nella pagina di Albenga e Riviera il 24 dicembre scorso. Leggendo il titolo, i miei manzoniani venticinque lettori (ma spero, per me ma, soprattutto per l’amico –questo sì senza virgolette- che manda avanti il sito, siano molti di più), capiranno perché mi è venuto in mente il professor Nicolick (che però mi sembra di ricordare che, al tempo, si scrivesse con il ch finale: forse la memoria gioca brutti scherzi…o forse faceva troppo ‘slavo’?).

Ebbene, l’articolo in questione s’intitola Emergenza manodopera nei campi “Servono altri 500 extracomunitari”, firmato da Luca Rebagliati.

La Confagricoltura cerca braccianti stranieri: “La nostra gente purtroppo non vuole più lavorare la terra”, commenta il titolista.

Leggendo l’articolo veniamo a sapere che sono occupati all’ombra delle torri “tra i milleduecento  e i duemila (a seconda delle stagioni) tra marocchini, albanesi, rumeni, qualche indiano e sporadici casi sudamericani”.

E Vincenzo Enrico, presidente provinciale della Confagricoltura, aggiunge che “l’agricoltura di oggi è fatta soprattutto di piante in vaso e di colture che hanno bisogno di molta più mano d’opera rispetto all’orticultura di un tempo, ed è difficile trovarla. Gente disposta a lavorare nei campi e nelle serre non ce n’è molta, quindi abbiamo bisogno di assumere lavoratori extracomunitari. In vista delle regolarizzazioni previste per il 2006 abbiamo chiesto la possibilità di assumerne cento per le aziende associate, ma credo che anche le associazioni facciano altrettanto. Ritengo che in tutto servirebbero tra i trecentocinquanta e i cinquecento lavoratori extracomunitari in più”. 

Propongo una prima riflessione che si riassume in due freddi dati:

1.  nella piana di Albenga, per limitarci alle sole piantine aromatiche, se non ricordo male poiché cito a memoria, nel 2004 sono stati coltivati 100 milioni di vasetti

2.   un lavoratore precario guadagna la cifra di sette euro a l’ora…

Torniamo all’articolo di Rebagliati: servirebbero altri 350-500 lavoratori stranieri ma, grazie alla Bossi-Fini (che spero venga abrogata dal nuovo governo se ci sarà…), “il limite previsto per il prossimo anno è di 170 mila regolarizzazioni su tutto il territorio nazionale in tutti i settori dell’economia, dal bracciantato agricolo alla manovalanza edile dalla collaborazione domestica al turismo. In più all’agricoltura vengono riservate prevalentemente quote stagionali, che vanno bene per le mele del Trentino, ma non per le produzioni in serra ingaune.

‘Per fortuna ad Albenga si stanno radicando le famiglie –prosegue Enrico-, e magari anche le mogli lavorano in campagna e a parte qualche episodio di piccola delinquenza c’è una convivenza tutto sommato tranquilla’ ”.

Con i tempi che corrono, e con i vergognosi manifesti leghisti (che come al solito si fanno la campagna elettorale sulla pelle dei più deboli) che equiparano tout court l’Islam al terrorismo, queste affermazioni mi riempiono di gioia: finalmente c’è chi ricorda che, nonostante una discreta presenza di immigrati, le forme di comportamento illegale non sono poi così tante, come altri vorrebbero far credere, descrivendo le vie del centro come fossero la casba o rese pericolose da briganti barbuti.

Ma, se il Sindaco di Albenga (finalmente una persona intelligente e sensibile al governo della città) si chiede come mai molti indigenti indigeni non lavorano nell’agricoltura, gli risponde Osvaldo Geddo, direttore della Confederazione Italiana degli Agricoltori: “il bracciantato agricolo è uno dei mestieri dalla paga oraria contrattuale più bassa, anche perché non richiede una particolare preparazione. Ed è un lavoro per sua natura precario e temporaneo, che sono due caratteristiche che non piacciano a noi italiani. In più c’è una mentalità consolidata per cui il lavoro in campagna non viene considerato alla pari di altri, non solo in qualità di dipendenti: abbiamo perso anche molte aziende bene avviate perché i figli dei titolari non hanno voluto continuare il lavoro dei padri ed hanno intrapreso altre strade”.

Rebagliati constata in chiusura: “Certo che con i sette euro l’ora di un bracciante a tempo determinato non è facile andare avanti e magari mantenere la famiglia”. 

In conclusione

Va riconosciuto al giornalista (Luca Rebagliati) e a coloro che a diverso titolo sono intervenuti il tono pacato, civile e ragionevole. Però, mancano alcune osservazioni: da parte mia trovo perverso il fatto che il permesso di soggiorno sia legato al lavoro: il diritto d’asilo è un diritto di fatto, che non deve essere condizionato, altrimenti, se si inizia a discriminare non si sa dove si va a finire…

Tra l’altro è previsto, se non erro, da tutte le Convenzioni internazionali sottoscritte anche dal nostro paese e allora perché limitarlo al possesso di un lavoro (che tra l’altro si sta precarizzando anche per molti italiani)?

Bisogna svincolare il permesso di soggiorno dal mondo del lavoro: gli immigrati non possono essere considerati come sciami di zanzare che si spostano qui e là per il Belpaese: oggi in Liguria per le aromatiche o sulla spiaggia a vendere chincaglierie o tappeti e domani in Trentino per le mele…

È stato rilevato che le comunità migranti si stanno stabilizzando e che riescono a far venire su la famiglia (altro diritto riconosciuto a livello legale): e allora perché parlare di loro solo nell’ambito, ancora una volta, lavorativo? Certamente a qualcuno farebbe comodo se i migranti esistessero solo nell’orario lavorativo, per cessare d’esistere al suono dell’immaginaria sirena, per non creare problemi come quello di dare loro una casa degna di questo nome, un’istruzione altrettanto degna di questo nome, un locale dove pregare, se lo vogliono; un punto di ritrovo, dove scambiare due chiacchiere…ma in effetti mi rendo conto che queste cose non sono neanche offerte, o sono a rischio, anche per molti indigeni.

E allora che fare? Bisognerebbe che i lavoratori, italiani o migranti, poco importa, si organizzassero per ottenere condizioni umane di lavoro e una paga che sia almeno dignitosa; per abitare in case degne di questo nome, avere una sanità e un’istruzione decenti. Ma queste cose non cadono dal cielo…

Dall’altra parte, le istituzioni locali, la collettività, deve comprendere che non si fa carico di queste problematiche non ha un futuro ed è destinata ad impantanarsi nell’egoismo, nell’indifferenza e nella violenza. 

Giuliano Falco

Giuliano Falco ha un blog nel sito della comunità islamica ligure...www.comislamica.net

Un blog di servizio per il centro che ha costituito e che dovrebbe divenire del Comune e della Comunità ingauna...http://blog.libero.it/cst

E' nella redazione del centro risorse di...
...www.didaweb.net