Il grande sogno degli umanisti è la perfezione e la perfezione è armonia, una meravigliosa armonia fortemente idealizzata.

LA CITTA’ NELL’UMANESIMO

di Margherita Pira
 

Il grande sogno degli umanisti è la perfezione e la perfezione è armonia, una meravigliosa armonia fortemente idealizzata.

Partiamo dall’analisi di un’immagine: “La città ideale”.    

 

 

 

 

 

E’ un piano urbanistico perfetto, basato su criteri di razionalità, proporzione che sono alla base della concezione degli architetti umanisti.

La struttura è rigorosamente geometrica e ha nell’edificio centrale il suo fulcro.

Il disegno, che si trova a Urbino nella Galleria Nazionale, è attribuito a Francesco di Giorgio Martini.

Le strade hanno uno schema ortogonale e al centro vi è un edificio perfetto a pianta circolare.

L’edificio non è una chiesa ( questa è al fondo tra le case ) e ciò testimonia la laicità del pensiero dell’epoca; gli edifici hanno perso la struttura a schiera delle vie medioevali, hanno ispirazione classica e sono ornate di porticati.

La città ideale però, proprio perché ideale, resta irrealizzata perché irrealizzabile anche se viene fatto qualche tentativo per concretizzare l’idea, ma relativo a piccole sezioni e piccoli centri.

E’ opportuno analizzare la struttura della piazza di Pienza che è collocabile perfettamente nella mentalità umanistica e si collega alla storia di un papa assai importante, soprattutto nella vita culturale del tempo.

Pio II ( Enea Silvio Piccolomini ) nacque nel 1405 a Corsignano, un villaggio vicino a Siena che, diventato papa, trasformò in città rinascimentale e ribattezzò Pienza.

Il progetto venne affidato a Bernardo Rossellino nel 1460, ma Pio II fu molto partecipe nella stesura. Pio II, infatti, scelse la collocazione di palazzo Piccolomini e dimostrò una forte attenzione al paesaggio naturale che dalla collina di tufo dove sono sistemati gli edifici si apre verso il monte Amiata.

Il principio base realizzato solo nel nucleo cittadino centrale ( forse gli interventi sarebbero stati più ampi se non fosse intervenuta la morte del papa ) è quello della città con larghi viali rettilinei sfocianti in piazze dalla forma regolare, come i fori antichi.

Questo è comunque il primo tentativo moderno di realizzare un tessuto urbano partendo da presupposti umanistici.

La piazza di Pienza ha forma trapezoidale ed è delimitata dalla cattedrale e dai due principali palazzi privati ( palazzo Piccolomini e palazzo Borgia ) che creano una sensazione di perfetta armonia.

Il resto della città non venne toccato e rimase la preesistente struttura medioevale con le strade non rettilinee, ma il nuovo insediamento non stona in quanto i nuovi edifici hanno dimensioni contenute.

Quello di Pienza è un caso esemplificativo e abbastanza raro di un positivo connubio tra la città ideale e quella reale.

Un altro caso da ricordare di concretizzazione degli ideali umanistici è il palazzo ducale di Urbino, fatto costruire da Federico di Montefeltro.

I lavori di costruzione furono assai lunghi, dal 1455 al 1480 e furono affidati all’architetto dalmata Luciano Laurana e poi a Francesco di Giorgio Martini.

Ad Urbino lo schema della città è estremamente irregolare, ma il sogno della città ideale si realizza nel palazzo che, secondo la definizione di Baldassar Castiglione, il quale proprio in questo palazzo ambienta la sua opera più famosa, “Il Cortegiano”, è una città in forma di palazzo.

L’edificio è estremamente articolato e aperto verso il panorama della valle.

Fulcro dei diversi bracci del palazzo è il cortile con un portico, mentre la facciata ad L si raccorda con la città preesistente e la facciata detta dei torricini si apre all’esterno verso la valle con tre logge sovrapposte.

Il palazzo è uno dei più importanti monumenti dell’architettura quattrocentesca e rappresenta perfettamente la civiltà umanistica con le sue aperture verso la natura e la società.

Il più audace e intelligente intervento urbanistico di tutto il Quattrocento fu, però, l’Addizione Erculea, creata a Ferrara per il duca Ercole I d’Este dall’architetto Biagio Rossetti.

Non si trattava di una modifica al tessuto urbano medioevale, ma di un quartiere totalmente nuovo cioè addizionato al resto

L’architetto partendo dal castello estense, alla periferia della città medioevale, sistemò una zona completamente libera da edificazioni, tracciando una via rettilinea sino alle nuove mura e un’altra, perpendicolare a questa, in direzione dalla porta a Mare; nel punto in cui le strade si intersecano, sorge lo splendido palazzo dei Diamanti che deve il suo nome appunto al bugnato tagliato a forma di diamante.

Nella zona erano previsti ampi spazi per futuri insediamenti, soprattutto di edilizia residenziale, e parti destinate a verde pubblico.

Con questa operazione la superficie della città viene raddoppiata in risposta all’incremento demografico.

Il progetto nacque però anche da una motivazione politica e da una economica. Politica perché un’opera così grandiosa avrebbe portato al duca una sempre maggiore ammirazione e quindi rispetto dei cittadini rendendo sempre più stabile la sua posizione di signore della città. La motivazione economica dimostra l’intuizione affaristica del duca perché questi acquistò terreni agricoli a basso prezzo per rivenderli poi come edificabili a prezzo molto maggiorato.

Tutta l’architettura del Quattrocento è comunque funzionale al principato e converge verso lo splendido palazzo del signore, benevolo quest’ultimo verso i cittadini, ma a patto della loro sottomissione.

Chi intende incrinare il sistema rischia di subire punizioni severe ed è sintomatico che in quel periodo vengano ingrandite le carceri che, a volte, sono collegate al palazzo sede dell’amministrazione pubblica come nel caso del famoso “Ponte dei sospiri” di Venezia.

Tutto quello che è stato descritto fino ad ora, però, era riservato a una ristretta cerchia di persone; quella dell’umanesimo era una civiltà elitaria.

Analizziamo ora dove vivevano le persone comuni.

Il divario tra ricchezza e miseria si fa in questo periodo sempre più pesante. Se confrontiamo il lusso di un palazzo signorile e l’abitazione di una famiglia contadina ci rendiamo conto dell’entità del problema.

Cominciamo dall’abitazione tipo dei mercanti, quindi di una categoria comunque agiata.

Nei sotterranei vi erano le cantine, al pianterreno c’era un cortile quadrato con una loggia e vari locali di servizio come le stalle, ripostigli vari e stanze per la servitù; ai piani superiori c’erano le abitazioni dei padroni con sale, camere, studi, sale dei trofei. Vicino alle sale da pranzo c’erano le cucine che potevano essere più di una, dapprima situate al primo piano per rendere più agevole l’uscita del fumo, poi, dopo l’introduzione dei camini, anche più in alto

C’erano pozzi in cortile, ma a volte anche in cucina.

Esistevano i gabinetti dotati di una seggiola ( un’asse sovrapposta a un muricciolo ) collocata in una piccola stanza e collegata ad un’apertura da cui i rifiuti passavano in un chiassuolo che aveva la funzione di raccogliere il tutto.

Le famiglie del ceto medio vivevano in case prese in affitto o nei vecchi palazzi nobiliari abbandonati e quindi molto degradati oppure, nel caso di piccoli mercanti e artigiani,in ristretti alloggi sopra la bottega.

Il popolo minuto abitava in appartamenti poverissimi, a pian terreno, che si affacciavano sulla strada.

Terribile poi la situazione dei contadini. Le case erano attorno alla chiesa o sparse nella campagna e il sagrato della chiesa era l’unico luogo di incontro pubblico.

Le case spesso erano di paglia e, solo per i più fortunati, di legno con copertura di tegole; sempre per i più fortunati, vicino alla casa c’erano il forno e il pozzo. Altrimenti bisognava attingere l’acqua al fiume.

In questa situazione, le condizioni igieniche erano spaventose, cosa che spiega la diffusione delle malattie infettive.

I piccoli parassiti erano una presenza abituale, soprattutto i pidocchi. Anzi lo spidocchiare una persona era considerato un atto di affetto e di familiarità.

In una commedia il Ruzzante ricorda con nostalgia quando si incontrava con la sua amata e lui la spidocchiava.

La soddisfazione dei bisogni corporali non aveva un luogo prefissato né in casa né fuori.

Difficilmente i contadini potevano migliorare le loro condizioni di vita e le loro abitazioni perché vivevano in uno stato di miseria estrema ed erano schiacciati economicamente dal fatto di dover dare buona parte del raccolto al proprietario del terreno e un decimo alla Chiesa.

Margherita Pira