La ragione della forza

Wolfgang Giegerich è un analista tedesco che, dopo studi letterari in Germania e negli Stati Uniti, si specializzò in psicologia al C. G. Jung Institut di Stoccarda ed esercita ora la libera professione a Steineback; anche se poco noto nella provincia italica, se si escludono le conventicole degli adepti, gode all’estero di gran fama, soprattutto dopo la sua polemica con Hillman; in italiano, per quel che ne so, si può leggere un suo articolo, Liberazione dal fluire degli eventi: Okeanos e la circolazione sanguigna, in “Rivista di psicologia analitica”, 1991, n° 43, p. 187 sqq., altrimenti i testi più noti sono: Das Begräbnis der Seele in die technische Zivilisation, in “Eranos-Jahrbuch” vol. LII, 1983, p. 211 sqq.; The Nuclear Bomb and the Fate of God: On the First Nuclear Fission, in “Spring Journal”, 1985, p 1 sqq. (dai quali vengono queste riflessioni); Saving the Nuclear Bomb, in Facing the Apocalypse, a c. di V. ANDREWS, 1987; Tötungen: Gewalt aus der Seele. Versuch über Ursprung und Geschichte des Bewusstseins, 1994; The soul’s logical life: towards a rigorous notion of psychology, 1998.

Egli dunque, legittimando, pur se in modo certo non grato alla gerarchia, la pretesa di Giovanni Paolo d’inserire nella Carta costituzionale d’Europa un richiamo alle “radici cristiane” del continente, sostiene una tesi paradossale ma affascinante, e cioè che l’origine della moderna tecnocrazia si debba ricercare molto più addietro del Secolo dei lumi, ove di solito lo si colloca, al tempo della distruzione del Vitello d’oro, e più tardi quando fu elaborata la credenza dell’Incarnazione. Seguiamo il suo ragionamento, precisando che non è comunque del tutto originale, visto che già Lynn White, Jr., una culture historian di cui fu tradotto nel 1967 un bel vol. presso Einaudi: Tecnica e società nel Medioevo, scriveva che la nostra crisi ecologica “is rooted in, and is indefensible from, JudeoChristian teleology […] modern science is an extrapolation of natural theology and […] modern technology is at least partly […] an Occidental, voluntarist realization of the Christian dogma of man’s transcendence of, and rightful mastery over, nature” (The Historical Roots of our Ecological Crisis, in “Science”, 10 marzo 1967, vol. 115, n° 3717, pp. 1205-1206), e lo stesso, solo in forme sgangherate e irritanti, Theodore Rozsak (La nascita di una controcultura: riflessioni sulla società tecnocratica e sulla opposizione giovanile, 1971), uno dei tanti santoni di quel disgraziato periodo sui quali è caduto il silenzio; ma prima rileggiamo. 

Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: “Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. Aronne rispose loro: “Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me”. Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: “Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!”. Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: “Domani sarà festa in onore del Signore”. Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento. Allora il Signore disse a Mosè: “Và, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito […] Mosè ritornò e scese dalla montagna con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: “C’è rumore di battaglia nell’accampamento”. Ma rispose Mosè: “Non è il grido di chi canta: Disfatta! Il grido di chi canta a due cori io sento”. Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora si accese l’ira di Mosè: egli scagliò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece trangugiare agli Israeliti. […] Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne il ludibrio dei loro avversari. Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: “Chi sta con il Signore, venga da me!”. Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Gridò loro: “Dice il Signore, il Dio d’Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente”. I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo (ex. 32, 1-28, trad. CEI).  

Si tratta della storia della collisione fra un mondo terragno, nel quale il popolo venera tramite una vacanza giocosa un’immagine teriomorfa di metallo fuso, ed un mondo supero sul picco di una montagna, dove abita un dio invisibile ed irato, che rilascia un codice di leggi morali inciso nella pietra; penetrata nelle midolla della cultura occidentale scavando un solco incolmabile fra il danzatore pagano ed il guerriero al servizio della divinità trascendente, essa segna la nascita del peccato d’idolatria e del culto del dio unico, perché non può esistere vero dio senza falsi dei, né idolo senza il Signore. È in altre parole uno scisma nell’esperienza della realtà: da un lato la percezione mitica e ritualistica dell’essere dominata dall’irraggiamento immediatamente percettibile dei fenomeni (ciò che Corbin chiamerebbe le monde immaginal e Jung il Bild), dall’altro un puro spirito senza pluralità, la cui natura concreta vapora in una dimensione priva di epifanie, letterale, positivistica. Ora, come dio diventa privo di corpo tramite il raggiungimento dell’assolutezza, così il corpo terreno diventa privo di dio, un immenso cadavere su cui il seme biblico, fruttificato molti secoli dopo, eserciterà senza alcuno scrupolo le sue manipolazioni scientifiche. La prima “fusione” della storia occidentale cade dunque assai prima degli esperimenti di Los Alamos.

Quanto all’Incarnazione:  

Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?. Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Matth. 16, 13-17).  

Codesta somatizazzione dell’essere offre l’unico fondamento mitico possibile al nostro moderno senso della realtà oggettiva del mondo fattuale. È noto che San Paolo (Phil. II 6 sqq.: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini) usa il termine  κνωσεν (qui reso nella trad. CEI “spogliò se stesso”) ad indicare questo processo, onde la vexata quaestio della kenosis, che nell’interpretazione di Giovanni Damasceno, fatta sua da Giegerich, significa περιχρησις, ossia riassorbimento nel divino dell’umano, obliterazione dell’essenziale debolezza della carne nell’onnipotenza dello spirito. Lasciamo la parola a Roberts Avens, professor of religious studies allo Iona College:  

First, God’s essence ceases to be only image-like, mythical. God wants to be positively ‘someone,’ a substantial being, a being in flesh. Second, the fact that this God must become flesh, shows that from the very outset he lacks something - that he is incorporeal, insubstantial, unreal. The natural gods never need to become flesh because they carry their corporeality in their image-like or imaginal nature. Third, in the event of the incarnation a twofold change takes place: a change in the essence of flesh and a simultaneous change in the essence of nature… [W]e are witnessing here an event of awesome proportions: the flesh -in its oneness with the Logos- acquires a radically different nature. The very idea of flesh, earth, reality, is changed. The flesh is no longer natural, but flesh from above; indeed it is not flesh at all but, so to speak, a ‘logolized’ abstract flesh (Reflections on Wolfgang Giegerich’s “The Burial of the Soul in Technological Civilization”, in “Sulfur: A literary Tri-Quarterly of the Whole Art” XX, 1987, p. 37).  

La cristianità raggiunge l’inveramento solo attraverso la morte del mondo e il dominio della scienza; per noi oggi la trascendenza indica una qualità del reale ove le leggi invisibili e spirituali della natura ricevono corpo tramite la tecnica, e il dominio dell’Occidente altro non è che il compimento del monoteismo cristiano nel suo indefesso tentativo di unificare, controllare e dominare gli aspetti plurali del mondo degli uomini:  

The event of technology as a whole means the end of eachness, the end of cosmos and the victory of universe. Concrete objects, tables, cars, shoes, tin cans, plastic now have their nature in being throwaway objects, and only abstract Technology as a whole has divine value (The Nuclear Bomb…, cit., p. 14).  

Volenti o nolenti questo è il destino che ci aspetta, e l’unica salvezza è l’arrendersi totalmente alla nuova ontologia.

MISERRIMUS