Da prete vi dico: non c'è buon anno senza amnistia   
IL SECOLOXIX

La Roma dei Cesari, dei Papi, da martedì 27 dicembre si è arricchita di un nuovo monumento, eretto in quest'ultimo decennio, all'ipocrisia della stragrande maggioranza dei parlamentari. Quasi tutti, vergognosamente latitanti. Si trattava di parlare finalmente degli "straccioni", ospitati in condizioni disumane d'illegalità. Basterebbe citare il sovraffollamento crescente delle carceri, con conseguenze scontate. Inoltre, nel Paese, si attende la riforma della Giustizia, stracarica di faldoni impolverati. Poteva essere un segnale positivo, in vista della campagna elettorale e un nuovo messaggio agli italiani per un rinnovamento della politica.
Invece la distanza tra cittadini e istituzioni si allarga vertiginosamente. In questa circostanza, non obbedirei mai al mio dovere di prete se vi dicessi: «Buon anno», senza darvi disturbo. Vi voglio invece infastidire con le parole del vescovo, don Tonino Bello: «Non posso sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine del calendario. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera, il potere, la ricerca di facili consensi, la vostra cinica indifferenza, le vostre ideologie, i vostri pregiudizi, la vostra arroganza, diventa l'idolo della vostra vita».
Quando si tratta di approvare privilegi, l'aula di Montecitorio è sempre affollata. Le carceri italiane, nel frattempo, si gonfiano di disperazione e di dolore. Onorevoli, quanti di voi hanno visitato questi Istituti di pena? Il garantismo da salotto continua ad eclissarsi al momento di decidere. L'inevitabile polemica del giorno dopo è stata addirittura avvilente, dalla sinistra alla destra, passando per il centro. C'è stato un unico commento serio, viene dal comitato dei detenuti del carcere di Rebibbia in Roma: «Nessuna delusione! Non ci aspettavamo nulla!».
Mi chiedo se questa è una società civile. Già nel 1862 Dostoevskij affermava: «Una società si può considerare civile dalla condizione umana delle sue carceri». Sono certo che anche elettori di centrodestra siano rimasti delusi dall'indifferenza disumana che rivela la diserzione di massa dei deputati (130 presenti, 500 assenti) nella seduta parlamentare con all'ordine del giorno la questione dell'amnistia. La XIV legislatura si chiude senza aver risposto a oltre cento richiami dell'Unione europea sulla situazione disastrata dei diritti umani delle patrie galere. E' vero, l'amnistia rivela un fallimento dello Stato di diritto. Niente certezza della pena, si grida da più parti. Ma possiamo allora "urlare": niente recupero del condannato, lunghezza dei processi, uno Stato incapace di risolvere il crescente disagio sociale, una delle cause della microcriminalità, il fallimento delle politiche di accoglienza e di integrazione dei migranti.
Mi chiedo: in una situazione così allarmante, non è difficile riconoscere l'unico rimedio urgente ed efficace, quali sono l'amnistia e l'indulto. Solamente così, si potrà affrontare una nuova riforma. E' un passaggio obbligatorio, per ragioni umanitarie, giuridiche, sociali e politiche.
Onorevoli, con il vostro disimpegno lasciate che le paure ingigantiscano e i cittadini vengano annebbiati dal terrore di vedere in libertà i devianti. Sono certo che il volontariato, il terzo settore, sarebbero pronti per l'accoglienza, per collaborare con politiche sociali. Riflettiamo tutti sulle conseguenze del rifiuto di questo atto di clemenza, richiesto insistentemente da Giovanni Paolo II nel 2003, in quell'aula osannante. Avevate partorito un indultino.
Altrettanto non posso esprimere serenamente i miei auguri ai parlamentari e ai membri del governo che si stanno preparando, in questi prossimi giorni, ad approvare col voto di fiducia, un nuovo decreto sulla tossicodipendenza, all'insegna di una ennesima tolleranza zero. La convocazione è fissata per il 18 gennaio, quando certamente l'aula sarà al gran completo. E' impensabile affrontare così frettolosamente e superficialmente un tema così delicato, che investe la vita di migliaia di giovani. Quante vittime abbiamo lasciato per la strada, in questi ultimi 30 anni? Onorevoli, volete incarcerarci tutti? Rimango dalla parte degli ultimi: detenuti, migranti, tossici, disagiati, senza fissa dimora, zingari, senza lavoro. Con tutti coloro che soffrono per mancanza di futuro. Ricordate: sono soprattutto le nuove e le nuovissime generazioni.
Don Andrea Gallo, sacerdote genovese, è fondatore della Comunità di san Benedetto al porto e autore di diversi libri.


DON ANDREA GALLO
02/01/2006