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Privatizzare danneggia anche te (digli di smettere)

 

di Milena Debenedetti


Fra i tanti danni che ha fatto il crollo del muro, la fine di un sistema fallimentare e debole come quello sovietico, vi è stato quello di convincere la parte avversa, il capitalismo, di essere infallibile e invincibile.

Il liberismo è divenuto a tutti gli effetti religione universale. I dettami e le prescrizioni del mondo finanziario si sono trasformati in dogmi inviolabili, a cui si doveva improntare qualsiasi attività umana, senza mediazioni, senza ammorbidimenti in senso etico, ambientale o sociale.

Fino ad arrivare all’esito grottesco e in qualche misura spaventoso, cui assistiamo ai giorni nostri, di sacrificare tutto ciò che attiene alla dignità e alla qualità della vita, la persona stessa, a questo moloch astratto della finanza, che pretende di continuo sacrifici sanguinosi.

La crisi cui assistiamo è la logica evoluzione di un sistema debole e imperfetto, perché umano, che però si vuole sovrumano, che si perpetua e si autoassolve e mai si mette in discussione.

Tant’è che si pretende di superare la crisi stessa con misure che tamponano le falle finanziarie, ma si lasciano dietro una scia inarrestabile di disoccupazione e impoverimento.

Pur di salvare questa fantomatica finanza, cioè, i suoi giochi mondiali e i profitti fuori da ogni immaginazione di una minoranza nella minoranza (la minoranza dei ricchi all’interno dei paesi già privilegiati), si ammette che le fabbriche continuino a chiudere, che gli stati debbano tagliare il debito e quindi strangolare i servizi al cittadino, scuola sanità trasporti amministrazione, per cui vi è riduzione di posti anche in quel settore, e nessuna compensazione per chi perde il lavoro, al massimo l’elemosina palliativa di un sussidio temporaneo.

Non so come continuerà: se lo sapessi, forse, farei altro nella vita, che non osservare impotente gli scenari. Non so quanto reggerà (parlo per l’Italia adesso), il frastornare con gli scandali, talmente tanti che ci si arrende per stanchezza, la propaganda, il giochetto scellerato di mettere gli uni contro gli altri come capponi di Renzo (i vecchi contro i giovani e viceversa, gli italiani contro gli immigrati…) per impedirci di individuare i veri nemici, e cioè una intera classe politica, ma soprattutto economica e finanziaria, che ha giocato e gioca ancora con la nostra pelle.

Non lo so. Anche perché stentano a proporsi alternative. Quella che era una parte importante e significativa della vita del paese, gli eredi del secondo partito nazionale, si sono impantanati in questa sorta di revisionismo totale per evitare di essere additati come gli ex-comunisti, diventando più liberisti dei liberisti, una sorta di copia pallida e fervente dei loro antagonisti, debole e vulnerabile per questa specie di “peccato originale” da scontare.

Buttando via, come dice un motto inglese, il bambino con l’acqua sporca: liberandosi, cioè, di tanti principi etici e sociali sacrosanti, confondendo ideali legittimi e aspirazioni degli esseri umani con ideologie obsolete da rigettare. E rimanendo, quindi, a galleggiare privi di fondamenta. Rigettando le sinistre e assistendo al loro scempio, invece di collaborare proficuamente le poche volte che ne hanno avuto l’occasione (che poi non è che le sinistre non abbiano le loro colpe…e le pagano, infatti, avendo potenziali elettori molto severi). In nome di un vago centrismo si perseguono ostinatamente alleanze con la parte peggiore della vecchia dc, mentre semmai avrebbe senso appellarsi alla parte migliore dell’elettorato cattolico, quella che ha ancora attenzione per i temi etici e sociali, per la persona, per la solidarietà. Etica che è ben altro da una astratta morale sessuale, severa a senso unico, con le donne e i “diversi”, molto indulgente, invece, per i vizi dei potenti. No, etica è attenzione alla persona, ai suoi diritti e alla sua dignità.

Più liberisti dei liberisti, dicevo, e quindi, con zelo da neofiti, accaniti sostenitori di ogni privatizzazione, di impianti inquinanti e mortiferi, di cementificazioni a tappeto, neppure più giustificabili con il lavoro (in nome del quale i vecchi sindacati e il vecchio pci accettavano inquinamento e degrado), ma solo con lucrosi profitti.

E in questo senso, le regioni “rosse” non si sono certo tirate indietro, anzi: hanno afferrato la loro bella fetta di partecipate e utili e affari, finendo così indissolubilmente intrecciati, anche economicamente, con coloro cui in teoria dovrebbero opporsi. Forse questo dato, non sorprendente per altro, spiega molte cose, molti balbettamenti altrimenti incomprensibili.

Adesso che stanno arrivando a toccare l’acqua, a volerla privatizzare,  qualcosa comincia a muoversi, qualcuno inizia a rendersi conto dell’assurdità. Invece, fino a poco tempo fa, era vietatissimo criticare il concetto di privatizzare e liberalizzare enti e servizi pubblici.

Un dogma del nuovo dio finanza, appunto: indiscutibile e sovrano. Non solo non criticabile, ma dato addirittura come postulato, come premessa ovvia a qualsiasi azione.

Questo o quello “va privatizzato”. Punto. “Si deve” avviare il processo di inserimento dei privati. “Occorre” permettere a più società di gareggiare per aggiudicarsi, al miglior offerente, ciò che era pubblico. Competizione. Concorrenza. Società per azioni. Eccetera.

Se qualcuno si permetteva, non dico di obiettare, ma solo di chiedere perché tutto questo venisse dato così per scontato, in zona centro sinistra ancor più che in zona centro destra, senza neppure discutere e valutare pro e contro, veniva guardato con compassione.

Gli si spiegava pazientemente, come a un bambino dell’asilo, che era per il bene dei cittadini, per dar loro servizi migliori a costi contenuti, senza gli sprechi del carrozzone pubblico, che dalla libera concorrenza c’era tutto da guadagnare, che la moderna economia spingeva in tal senso, e ce lo chiedevano l’Unione Europea, il Fondo Monetario, la Banca Centrale, l’ONU e l’ambasciata marziana.

 Deus vult. Il dio del capitalismo comanda, chi sei tu per obiettare? Nell’orgia di ripulitura da tutto ciò che era contaminato col vecchio comunismo, qualsiasi idea di bene comune, tutto ciò che suonasse pubblico, collettivo, socialista insomma, era da rigettare con orrore, come fonte di ogni male, di burocratismi e oppressione e limitazioni della libertà dell’individuo.

Questa isteria a senso unico ha prodotto e produce danni incalcolabili sul tessuto sociale e sul patrimonio della comunità. Lo si pretendeva mutuato dal massimo specchio del capitalismo, gli osannati Stati Uniti, modello universale. Senza guardare alle differenze intrinseche. E così si buttava via a pezzetti e bocconi tutto ciò che di buono la vecchia Europa avesse costruito in secoli e secoli di lotte, rivoluzioni, rivendicazioni.

Peccato che anche negli USA,span>  almeno per la sanità, stiano cambiando rotta, radicalmente.

Ma parliamo solo di Italia, la realtà che conosciamo.

Prima di tutto, per funzionare bene un sistema basato sulla libera concorrenza deve avere severe leggi antitrust, e farle rispettare. Negli USA magari sarà così: da noi, certamente, no.

E così c’è stata l’introduzione di figure manageriali nel comparto pubblico, che hanno iniziato a stravolgerne organizzazione e funzioni, introducendo criteri aziendali presentati come la panacea dell’efficienza, in realtà non sempre compatibili e spesso peggiori del male. Si sono avute le liberalizzazioni modello “spremiamo gli utenti a piacimento” delle compagnie telefoniche. La liberalizzazione-monopolio in peggio delle ferrovie. L’ostilità e il sotterraneo boicottaggio alle banche straniere. Le autostrade, pagate con i soldi dei cittadini e che ai cittadini dovevano tornare, ammortizzati i costi, graziosamente svendute a  imprenditori, che hanno iniziato subito a taglieggiare con le tariffe, lesinare in manutenzione,  rendere schiavi sfruttati i lavoratori degli autogrill.

IInsomma, ci teniamo alcuni vantaggi clientelari dei vecchi monopoli di stato, e mettiamo in atto tutto il peggio della liberalizzazione, scaricandolo sui cittadini. All’uso italico. Profittando della nostra inveterata abitudine a essere sudditi rassegnati e non cittadini consapevoli.

MMa io vado oltre. Io personalmente sono sempre stata fortemente contraria a privatizzare ciò che è pubblico. Se ciò che è pubblico funziona male, con sprechi, burocrazie, clientelismi, inefficienze, si ingoia le nostre tasse, non è colpa del concetto di pubblico, ma della natura delle persone. Se da pubblico lo trasformi in privato, cambia solo il tipo di difetti umani a cui viene dato libero sfogo.

Anche peggiori. Ma di fatto, il sistema non può cambiare in meglio. Non può, per sua stessa natura.

Essere sollevati perché materialmente, direttamente, paghiamo meno tasse, è una visione superficiale, egoista e alquanto miope del problema. I sistemi politici che si oppongono al pubblico, al tessuto sociale, che ci tolgono servizi promettendo di alleggerire il carico fiscale, in realtà lo alleggeriscono apparentemente. O meglio, favoriscono solo i ricchi. Nella pratica, paghiamo ben di più, perché prima di tutto, data l’intrinseca cialtronaggine dei sistemi di cui sopra, le tasse ci vengono reintrodotte a spizzichi e bocconi dove non ce ne accorgiamo, come bolli e balzelli vari, e poi siamo costretti a pagare al privato molto di più  per lo stesso servizio di prima, e non necessariamente con maggiore soddisfazione ed efficienza.

Scusate, ma per me chi ha abboccato con entusiasmo all’abolizione dell’ICI è un allocco. Lo dico e lo confermo.

Pensiamo a un servizio qualsiasi. In un sistema ideale, il settore pubblico riceve dei soldi dalle tasse dei cittadini, proporzionali al loro reddito (orrore!) per farlo funzionare/p>

Con questi soldi finanzia il servizio stesso e paga gli stipendi agli addetti e ai gestori. Non chiamiamoli manager, per carità, che mi viene l’itterizia pensando ai danni che questo tipo di figure ottuse e monomaniache fanno dovunque li metti.

A quel punto, impone un costo, una tariffa, un biglietto, o che so io, che sarà proporzionato ai redditi e allo stato sociale del cittadino, (altro concetto che fa orrore ai liberisti) con agevolazioni per i più deboli.

Con questo costo, che deve farci? L’obiettivo migliore è andare in pari. Non rimetterci, per non scaricare altri costi sulla comunità. Punto. Se il gestore è virtuoso, ottiene l’obiettivo, magari avanza qualcosina, con cui ci si cura di aggiornamenti e manutenzioni periodiche.

Chi ha mai detto, per tutti i fulmini di Giove, che si debba ricavarci un profitto? E’ dal profitto che nascono tutti i mali!

Invece un privato, per sua stessa natura, deve ricavare profitto da ciò che fa. Non è che parta proprio da zero, sono convinta che si beccherà comunque un contributo pubblico, sotto forma di nostre tasse, e non necessariamente minori. Suo scopo poi qual è? Fornire un servizio? Macché! Massimizzare i profitti, per sé, per gli eventuali azionisti (il parassitismo sociale allo stato più raffinato) e altre parti interessate.

Come si massimizza un profitto? Alzando i prezzi e/o tagliando i costi. Quali sono i costi?? Il personale, ovvio. La manutenzione. Le parti meno remunerative del servizio stesso, abbandonate a se stesse.

Ora ditemi, signori cantori del liberismo, cosa ci vedete di buono in tutto ciò, per il cittadino che da utente paga caro, è sfruttato se lavoratore, subisce disagi e ricatti.

E se ci guardiamo intorno, non è proprio quello che succede? Avete mai pagato il pedaggio in autostrada dopo aver fatto code di ore per disservizi? Avete mai subito treni sporchi o soppressi? Vi siete confrontati con i crescenti disagi di scuola e sanità? Vi pare che i trasporti pubblici funzionino? Siete stati taglieggiati da società incaricate di esigere crediti e tasse dagli enti? Vi ritrovate con banche sempre più spregiudicate nel punire i risparmiatori e strangolare i debitori?

Pensiamoci un po’.  Non viene da rimpiangere il clientelismo vecchio stile, che almeno dava un po’ di posti di lavoro, piuttosto  che farsi umiliare e dissanguare da rapaci profittatori?

Il comunismo fu ucciso dalla pratica, dai fatti. Ora ditemi voi se non esistano dati concreti a sufficienza per dare una bella scrollata anche a quest’altro sistema malato.

Per inventarsi finalmente qualcosa di nuovo e migliore. Che metta al centro la persona umana e la qualità della nostra vita su questa Terra. Con maggior rispetto per la Terra stessa, ovviamente.

    

Milena Debenedetti 

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi