TRUCIOLI
SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni UN ULIVETO SECOLARE NEL CUORE DI
FINALPIA: UN ANACRONISMO DA ELIMINARE! Nel 1972 un gruppo di cittadini, finalesi e
non, tra cui un biologo, due geologi, due chimici (incluso chi scrive),
un botanico e un medico, coadiuvati da attivisti e simpatizzanti,
dettero vita alla Lega Ecologica Finarese. Il principale obiettivo fu quello di dare un
sostanziale contributo, assieme a Italia Nostra di Savona, alla
stesura di un piano per l’istituzione di un Parco del Finalese da parte
della giovane Regione Liguria. A tale scopo ci si avvalse anche
dell’appoggio del prestigioso Istituto Internazionale di Studi Liguri,
guidato da un personaggio cui la maggioranza dei liguri deve particolare
gratitudine per la sua opera di contenimento dei guasti che un’altra, e
ben minore, frazione stava attuando contro il territorio di tutti: il
compianto prof. Nino Lamboglia. Grazie alla sua influenza sul genovese
Ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani e ad un intelligente gioco
di squadra con le due Soprintendenze, si riuscì a raggiungere, dopo un
impervio iter quinquennale, la progettazione di vari Parchi Liguri,
Finalese incluso. Da allora (1977) è stata una serie
defatigante di proteste e contumelie da parte di varie categorie,
cacciatori in testa, che sono riuscite a mettere il bastone tra le
ruote; tant’è che l’unica area, tra le varie designate dalla Regione,
rimasta tuttora orfana del suo Parco è proprio quella da cui il progetto
dei parchi liguri prese l’avvio: il Finalese. Eppure, i semi gettati dalla predicazione,
anche didattica, dei precetti ambientali da parte dei fondatori della
Lega non andarono dispersi. Trovo spesso alunni nelle cui classi avevo
propugnato la scienza ecologica che a loro volta operano nelle sedi più
diverse per tenere accesa la fiaccola ambientale. Finale è stato il
primo Comune ligure a praticare la raccolta del vetro, dando l’avvio
alla raccolta differenziata e fungendo da esempio a tutti gli altri.
Finale è riuscito, sino a ieri, a non fare la fine di tanti Comuni
costieri limitrofi soffocati dal cemento. A Finale è nato, nel 1985, il
primo Partito Verde d’Italia, senza tuttavia riuscire a raccogliere tra
gli abitanti quel consenso che gli sforzi dei suoi fondatori avrebbero
meritato. Forse la connotazione dei Verdi come il partito dei “niet” ha
giocato un ruolo determinante in una cittadinanza –non solo finalese-
dove predomina chi non si espone contro i manovratori del potere da cui
si attendono eventuali favori: quella maggioranza di yes-people
col cuore sempre nel portafoglio; insomma quei tanti, troppi, che
possedendo un terreno lo vedono solo come fonte di una rendita
parassitaria, coltivandolo a cemento, anziché a frutteto o, appunto, a
uliveto. E la casta politica, quella che vince le
elezioni con urne colme di consensi, è sempre pronta ad elargire
varianti di destinazione d’uso e comprarsi i voti di quanti ne
beneficiano a spese di tutti gli altri. Ultima conferma, l’uliveto
secolare di Pia, che il PUC, preparato con la benedizione dell’Assessore
all’Urbanistica Ferrari, fa brutalmente scomparire per far luogo ad un
hotel 4 stelle, un condominio e una ridda di immancabili box, nonostante
sia area protetta dalla Soprintendenza, cui facciamo appello
affinché impedisca questo ennesimo scempio. Un appello che estendiamo ai
Benedettini della vicina Abbazia, vista la loro secolare
tradizione di custodi del mondo vegetale, naturale e agrario. Di fronte all’insorgere di un Comitato
spontaneo che ha raccolto centinaia di firme, Ferrari, con un linguaggio
che pensavamo obsoleto, ricorre alla trita giustificazione dello
sviluppo, dell’impulso al turismo (che invece va in cerca proprio del
contrario. ossia dei tratti più caratteristici di ogni località di
soggiorno e quindi dissimili dai luoghi di provenienza). Peccato che,
confinante con l’uliveto, esista già da vent’anni uno splendido hotel 4
stelle, mentre sono di prossima apertura con analoghe finalità l’ex
Colonia Cremasca nonché, all’estremo Ovest, i vari alberghi e residence
inclusi nelle aree ex Piaggio e Ghigliazza. Alberghi peraltro a termine,
pronti a diventare seconde case alla prima opportunità. Ma l’importante è investire nel mattone, per
poi reinvestire i proventi in altro mattone. Poi si aspetta; prima o poi
il mercato riprenderà a tirare sull’onda di una nuova bolla. E il
territorio giorno dopo giorno scompare, per ricomparire come conti in
banca della genia divoratrice di costruttori, speculatori, finanziatori
(le stesse banche che negano i prestiti alle piccole e medie imprese in
difficoltà). Non c’è passione civile più ricca di
frustrazioni di quella ambientalista. Specialmente in Italia, dove la
frustrazione ha toccato i massimi storici con l’attuale governo -dello
stesso colore della giunta di Finale- che, pur definendosi liberale e
democratico, sta uccidendo libertà e democrazia negando il referendum
popolare contro il nucleare del 1987 e ricorrendo alla Corte
Costituzionale contro tre Regioni del Sud che hanno legiferato contro
l’installazione di impianti nucleari sul proprio territorio. Nel bel
mezzo delle prediche leghiste per il federalismo, il governo nega alle
Regioni la competenza in materia di protezione ambientale; e quindi se
ne appropria proprio per compiere atti contrari alla salvaguardia di
ambiente e salute. Bisogna riconoscere sia al governo locale che
a quello nazionale la più perfetta coerenza nello sconfessare nei fatti
la vocazione turistica del nostro Paese, snaturandolo in un agglomerato
di asfalto e cemento: un invito, per chi cerca qualcosa di diverso dai
centri urbani da cui proviene, a cercare natura e genuinità in altre
plaghe. Se penso che chi preme e freme per il
nucleare è un Ministro ligure, chiamato “l’imperiatore”, vista la
provenienza e l’attitudine autoritaria, non posso che rimpiangere i
tempi in cui un suo predecessore, genovese, porgeva orecchio ai
suggerimenti di chi, come il prof. Lamboglia, aveva veramente a cuore la
sua Liguria, anziché le esigenze della speculazione più avida. Chiudo per ricordare le confidenze di un mio
vecchio zio, Giuseppe Gazzano, mancato tanti anni fa. Ingegnere civile,
negli anni ’20 fece pressioni sull’allora podestà perché l’Aurelia non
venisse confermata lungo la linea costiera, ma la si spostasse più a
monte, lasciando spazio all’attuale passeggiata, da allora vanto e
ineguagliato richiamo turistico di Finale. Ecco, uomini come questi hanno lasciato una
memoria di sé degna del rispetto e della riconoscenza dei posteri.
Quanti dei recenti amministratori possono sperare altrettanto? Marco Giacinto Pellifroni
7 febbraio 2010
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