LA
VISIBILITA' DELLA CLASSE OPERAIA
di
Franco Astengo
Nel Paese che “meglio
degli altri ha saputo affrontare la crisi” è
tornata visibile, dopo decenni d'oblio, la
classe operaia: quella, antica, delle cosiddette
“tute blu” che sta di nuovo manifestandosi in
varie forme, mettendo a nudo il dramma della
disoccupazione di massa.
Qualche avvisaglia, in
verità, l'avevamo avuta a partire dall'estate
con la salita sui tetti di lavoratori di diverse
aziende in difficoltà: una forma di protesta
estrema che si era già intrecciata con quella di
altre categorie, dai precari della scuola ai
ricercatori dell'ISPRA.
Perché questa,a voler fare
proprio del pessimismo così aborrito dalla
maggioranza di governo e dal suo Premier, è una
palese dimostrazione di crisi del lavoro vivo
che si intreccia con altre forme, dal precariato
imperante al lavoro nero (ragione “fondativa” di
un'altra crisi: quella che, per brevità,
definiremmo “razzistica”). |
Mentre, nel procedere
della crisi internazionale, tornano di moda
elementi che parevano ormai superati nel
sublimarsi della “modernità”: dal ruolo dello
stato nazione, all'intervento pubblico in
economia, alla difesa dalla privatizzazione
insensata dei beni pubblici essenziali, l'Italia
appare debole, indifesa, un Paese in cui si è
avuto un particolare processo di
finanziarizzazione dell'economia ed una
progressiva distruzione dell'apparato
industriale, avvenuta essenzialmente in nome
della dismissione del già citato intervento
pubblico in economia giudicato fonte massima
dello spreco e della corruzione e dell'adozione
di un modello “Made in Italy”
che, alla prova, non appare proprio reggere
all'impatto con il meccanismo di
delocalizzazione della produzione di beni e
manufatti che sta
alla base dello spostamento di ricchezza
e di crescita verso i cosiddetti “stati
emergenti”.
La debolezza politica
dell'UE, il ruolo che, sul terreno della
produzione industriale, giocano
Francia e Germania costituiscono
cause non secondarie della situazione in cui ci
troviamo. L'Italia,
infatti, è più o meno priva di capacità
produttive importanti nei settori-chiave: la
siderurgia è stata dismessa a causa di
valutazioni sbagliate sul suo futuro; la chimica
è stata mangiata dalla “questione morale”;
l'elettronica, sacrificata da altri interessi;
l'agro-alimentare finito sull'altare della
speculazione finanziaria; l'industria dell'auto
assistita ed incentivata ha vissuto sulle spalle
del “pubblico”, ben al di là di qualsivoglia
proclamazione “liberista”; lo stato delle
infrastrutture è precario, quello dell'assetto
idrogeologico pessimo; intere aree già
industriali sono state cedute alla speculazione
edilizia, in un quadro di ruolo delle Regioni e
degli Enti Locali che davvero fornisce elementi
negativi per una analisi del “federalismo
all'italiana” (la condizione del nostro
regionalismo, lo vediamo proprio esaminando la
partenza di questa campagna elettorale è di vera
e propria, deplorevole, confusione).
Così dal profondo
Sud al
Nord-Est sviluppato la classe operaia è tornata a farsi
sentire, in una chiave assolutamente difensiva
(dalla politica non arriva nemmeno un segnale di
capacità nella valutazione delle diverse poste
in gioco nelle varie situazioni: ad esempio al
riguardo della strategicità del mantenimento
della produzione di alluminio), senza trovare
sponde
concrete, capacità progettuale da parte
delle istituzioni, l'apertura di una grande
stagione di battaglia politica
attorno a nodi di fondo, a partire da una
seria autocritica da parte della sinistra, per
aver accettato, a suo tempo, lo scorrere
inesorabile dell'ondata “neo-liberista” senza dimostrare la
capacità d offrire una alternativa (ripeto
quando già affermato all'inizio: ruolo dello
Stato Nazione, programmazione ed
intervento pubblico).
Una nota finale
riguardante la
CGIL: troviamo, francamente, poco
significativa in questa fase la divisione
congressuale.
La
CGIL dovrebbe, a nostro modesto
avviso, puntare su due elementi: il primo
rappresentato dal recupero del tavolo
contrattuale; il secondo dal lancio di una idea
complessiva al riguardo dello sviluppo
economico, in questi tempi di crisi ancora tutta
affrontare.
Il modello del “Piano del Lavoro”
di
Di Vittorio (1949) forse potrebbe
ancora offrire qualche utile spunto per il
futuro. |