versione stampabile UN'ITALIA SPACCATA IN DUE
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M. G. Pellifroni |
Cominciava così il mio ultimo pezzo
su Trucioli...vedi..., riferendomi ad una spaccatura nel trattamento di
maxi e mini-imprese da parte delle istituzioni. Oggi voglio sottolineare un’analoga
frattura dell’Italia, ma in senso geografico Nord-Sud. |
Qui al Nord chiunque si
azzardi a infrangere la legge anche per una
minima frazione di quanto viene tollerato al Sud
incorre nel rigore di zelanti controllori che
applicano alla lettera i dettami di norme
perlopiù cervellotiche, stilate a tavolino da
oscure commissioni parlamentari (anche in sede
europea) e poi varate da un Parlamento che
sembra esser lì apposta per dare ripetuti giri
di vite alla normativa già in atto, sia in senso
di requisiti che di sanzioni, crescenti a
velocità decupla dell’aumento del costo della
vita. (E taccio qui dell’abnorme produzione di
disegni di legge o decreti d’urgenza presentati
dal Governo in carica ad un Parlamento
ormai virtuale, nonostante gli sforzi del suo
Presidente Fini). Provoca indignazione in
chiunque al Nord abbia a che fare con organi di
controllo come le ASL o l’Ispettorato del
Lavoro, vedere come a Rosarno (peraltro
minuscolo campione della situazione generale nel
Mezzogiorno) gli immigrati, clandestini o meno,
siano stati lasciati marcire per anni in luridi
tuguri senza il minimo intervento dell’ASL
locale; o come migliaia di loro facessero la
fila all’alba lungo le strade del paese in
attesa di chi li caricava su un furgone per
portarli a lavorare, naturalmente in nero e a
prezzi da fame, nelle attigue campagne, senza
che la loro presenza fosse neppure monitorata
dal locale Ispettorato. La giustificazione
sottintesa echeggia quella di Confindustria:
“solo così si riesce a garantire un lavoro che
altrimenti svanirebbe, lasciando altrettanti
disoccupati”. Peccato che questo discorso
valga da Roma in giù, ma sia del tutto ignorato
al di sopra. Eppure, la sua validità copre
l’intero territorio nazionale.
Infatti, bene diceva ad Annozero l’agricoltore
che lamentava che a 5 centesimi il chilo le
arance si riesce a raccoglierle solo grazie ai
“neri in nero”, con la ripartizione tra questi
ultimi e l’agricoltore dello sfruttamento da
parte di chi, tra un passaggio di mano e
l’altro, portano quelle stesse arance sul
mercato ad 1-2 euro al chilo. Ma il ragionamento
va esteso anche a quanti producono in Italia
merci in competizione con Il tutto mentre si legge di
ripetuti scandali per corruzione di pubblici
controllori, ASL in testa, che i media non fanno
che riportare a gettito pressoché giornaliero. |
La rivolta
degli schiavi
Si tratta senza alcun
dubbio di una situazione esplosiva. E se i primi
a dar corso ad una
rivolta degli schiavi
sono stati gli
immigrati è perché si trovano al fondo della
scala sociale e non hanno più nulla da perdere
se non la vita, che non esitano a mettere in
gioco. Vivere in silos o catapecchie, senza un
minimo di servizi igienici, in pratica in mezzo
al proprio sterco, nutrirsi per giorni di sole
arance per mancanza d’altro, non avere una
propria vita privata, nessuna protezione né
certezza, e neppure un briciolo d’amore, come
bene diceva un intervistato, porta a
squalificare la propria vita ed essere disposti
a rischiarla se si pensa che ne valga la pena. |
Del resto, l’umanità ha visto
solo l’ultimo secolo senza schiavi ufficialmente
dichiarati, ma per tutto il suo passato si è
retta sulla schiavitù legalizzata. E le rivolte
non si contano, a cominciare da quella più nota,
capeggiata da Spartaco, in epoca romana. Il
meccanismo di riduzione in schiavitù era
bellico: si aggrediva un popolo e se ne
traducevano i membri validi in catene a svolgere
i lavori più massacranti, in particolare nelle
miniere. Dietro il luccichio dei metalli
preziosi o di ferro e rame stava il sudore e il
sangue di milioni di schiavi mandati a morire
scavando sottoterra per la gloria e l’economia
dei loro vincitori. E nessuno poteva escludere
di cadere in schiavitù: bastava che la sua
nazione venisse conquistata e asservita da una
più forte e agguerrita. Oggi il meccanismo è diverso:
dalle nazioni povere in guerra chi può scappa
verso zone più tranquille. E qui si ripropone
l’antico meccanismo schiavistico; senza neppur
bisogno di conquistare territori “nemici”: gli
schiavi da noi arrivano da soli, pagando persino
per diventarlo: il primo obolo, in denaro
sonante, a bande criminali per il traghetto e
poi, in fatica e stenti, a chi li assolda a vil
prezzo, a ciò costretto dall’essere a sua volta
sfruttato dalla catena criminale parassita che
incassa tutto il plusvalore delle merci
raccolte. Tutta questa trafila non si
limita, si badi, ai soli migranti, bensì si
allarga a coinvolgere un crescente numero di
italiani, costretti ad accettare lavori
sottopagati o in nero da datori di lavoro sulla
cui duplice natura rimando al mio articolo
scorso, limitandomi qui ad aggiungere che spesso
i piccoli “padroncini” oggi guadagnano meno dei
loro dipendenti, ammesso che non siano
addirittura in perdita. Finora l’esplosione sociale
“bianca”, ossia la rivolta degli italiani, è
stata ammortizzata non già da un governo
assente, quanto dalle famiglie, prelevando i
vecchi dai propri redditi o risparmi per
sostenere i giovani allo sbaraglio nell’impari
lotta per l’esistenza. Si creano così dei single
a vita per l’impossibilità di costituirsi una
famiglia (i famosi “bamboccioni” di Padoa
Schioppa) e si lascia ai più prolifici (e
incoscienti?) migranti il compito di mantenere
positivo il tasso di natalità, dando vita a
nuovi, futuri schiavi. In conclusione, la pandemia
della schiavitù sta salendo dai migranti alla
categoria dei precari delle grandi società e a
quella dei piccoli imprenditori, accomunati
dalla stessa situazione di insicurezza e
indigenza. Con la seconda categoria, però,
tartassata da miriadi di controlli e sanzioni al
Nord, e occhi di riguardo, cioè chiusi, se ci si
sposta al Sud; guarda caso, proprio dove la
criminalità organizzata ha trovato fertile suolo
per radicarsi. All’origine di tutto sta un
onere fiscale oppressivo, e reso tale dal
prelievo (il famigerato “servizio del debito”)
effettuato dalla BCE in virtù dei suoi finti
prestiti allo Stato; prelievo, oscillante tra
70-80 miliardi di euro*, che gode di priorità
assoluta rispetto ai bisogni della gente, col
tacito permesso di una dirigenza politica
collusa coi grandi banchieri internazionali: gli
unici a trarre beneficio dalla miseria (e dalle
guerre). Vedremo se Obama riuscirà a
far loro risputare almeno parte dei profitti e
dei bonus accumulati in questi due anni orribili
(per noi), come ha solennemente promesso giovedì
scorso. In tal caso… lunga vita a Obama!
* Vedi:
http://www.assbb.it/CMI/2009_02_5.pdf Marco Giacinto
Pellifroni
17 gennaio 2010 |