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UN'ITALIA SPACCATA IN DUE 

  Marco Giacinto Pellifroni

 


M. G. Pellifroni

Cominciava così il mio ultimo pezzo su Trucioli...vedi..., riferendomi ad una spaccatura nel trattamento di maxi e mini-imprese da parte delle istituzioni.

Oggi voglio sottolineare un’analoga frattura dell’Italia, ma in senso geografico Nord-Sud.

L’ultima puntata di Annozero non ha fatto che riproporre una situazione di diffusa e capillare illegalità, già vista innumerevoli volte nelle cronache TV e sui giornali: nel Meridione le leggi vengono disattese platealmente, alla luce del sole, nella  totale indifferenza, ossia connivenza di fatto, degli organi di vigilanza pubblica.

Qui al Nord chiunque si azzardi a infrangere la legge anche per una minima frazione di quanto viene tollerato al Sud incorre nel rigore di zelanti controllori che applicano alla lettera i dettami di norme perlopiù cervellotiche, stilate a tavolino da oscure commissioni parlamentari (anche in sede europea) e poi varate da un Parlamento che sembra esser lì apposta per dare ripetuti giri di vite alla normativa già in atto, sia in senso di requisiti che di sanzioni, crescenti a velocità decupla dell’aumento del costo della vita. (E taccio qui dell’abnorme produzione di disegni di legge o decreti d’urgenza presentati dal Governo in carica  ad un Parlamento ormai virtuale, nonostante gli sforzi del suo Presidente Fini).  

Provoca indignazione in chiunque al Nord abbia a che fare con organi di controllo come le ASL o l’Ispettorato del Lavoro, vedere come a Rosarno (peraltro minuscolo campione della situazione generale nel Mezzogiorno) gli immigrati, clandestini o meno, siano stati lasciati marcire per anni in luridi tuguri senza il minimo intervento dell’ASL locale; o come migliaia di loro facessero la fila all’alba lungo le strade del paese in attesa di chi li caricava su un furgone per portarli a lavorare, naturalmente in nero e a prezzi da fame, nelle attigue campagne, senza che la loro presenza fosse neppure monitorata dal locale Ispettorato. La giustificazione sottintesa echeggia quella di Confindustria: “solo così si riesce a garantire un lavoro che altrimenti svanirebbe, lasciando altrettanti disoccupati”.

Peccato che questo discorso valga da Roma in giù, ma sia del tutto ignorato al di sopra. Eppure, la sua validità copre l’intero territorio nazionale.

Infatti, bene diceva ad Annozero l’agricoltore che lamentava che a 5 centesimi il chilo le arance si riesce a raccoglierle solo grazie ai “neri in nero”, con la ripartizione tra questi ultimi e l’agricoltore dello sfruttamento da parte di chi, tra un passaggio di mano e l’altro, portano quelle stesse arance sul mercato ad 1-2 euro al chilo. Ma il ragionamento va esteso anche a quanti producono in Italia merci in competizione con la Cina o altri Paesi dagli infimi salari: se vuoi sopravvivere, devi fare come loro, ossia assumere personale ”sommerso”, italiano o straniero. Se sei al Sud, la passi liscia; se operi al Nord, incappi in una ridda di meticolosi controllori: tutti col fiato sul collo di “evasori” da acciuffare e multare, e giustificare almeno i propri stipendi. I mezzi diventano fini.

Il tutto mentre si legge di ripetuti scandali per corruzione di pubblici controllori, ASL in testa, che i media non fanno che riportare a gettito pressoché giornaliero.

La rivolta degli schiavi

Si tratta senza alcun dubbio di una situazione esplosiva. E se i primi a dar corso ad una rivolta degli schiavi sono stati gli immigrati è perché si trovano al fondo della scala sociale e non hanno più nulla da perdere se non la vita, che non esitano a mettere in gioco. Vivere in silos o catapecchie, senza un minimo di servizi igienici, in pratica in mezzo al proprio sterco, nutrirsi per giorni di sole arance per mancanza d’altro, non avere una propria vita privata, nessuna protezione né certezza, e neppure un briciolo d’amore, come bene diceva un intervistato, porta a squalificare la propria vita ed essere disposti a rischiarla se si pensa che ne valga la pena.

Del resto, l’umanità ha visto solo l’ultimo secolo senza schiavi ufficialmente dichiarati, ma per tutto il suo passato si è retta sulla schiavitù legalizzata. E le rivolte non si contano, a cominciare da quella più nota, capeggiata da Spartaco, in epoca romana. Il meccanismo di riduzione in schiavitù era bellico: si aggrediva un popolo e se ne traducevano i membri validi in catene a svolgere i lavori più massacranti, in particolare nelle miniere. Dietro il luccichio dei metalli preziosi o di ferro e rame stava il sudore e il sangue di milioni di schiavi mandati a morire scavando sottoterra per la gloria e l’economia dei loro vincitori. E nessuno poteva escludere di cadere in schiavitù: bastava che la sua nazione venisse conquistata e asservita da una più forte e agguerrita.

Oggi il meccanismo è diverso: dalle nazioni povere in guerra chi può scappa verso zone più tranquille. E qui si ripropone l’antico meccanismo schiavistico; senza neppur bisogno di conquistare territori “nemici”: gli schiavi da noi arrivano da soli, pagando persino per diventarlo: il primo obolo, in denaro sonante, a bande criminali per il traghetto e poi, in fatica e stenti, a chi li assolda a vil prezzo, a ciò costretto dall’essere a sua volta sfruttato dalla catena criminale parassita che incassa tutto il plusvalore delle merci raccolte.

Tutta questa trafila non si limita, si badi, ai soli migranti, bensì si allarga a coinvolgere un crescente numero di italiani, costretti ad accettare lavori sottopagati o in nero da datori di lavoro sulla cui duplice natura rimando al mio articolo scorso, limitandomi qui ad aggiungere che spesso i piccoli “padroncini” oggi guadagnano meno dei loro dipendenti, ammesso che non siano addirittura in perdita.

Finora l’esplosione sociale “bianca”, ossia la rivolta degli italiani, è stata ammortizzata non già da un governo assente, quanto dalle famiglie, prelevando i vecchi dai propri redditi o risparmi per sostenere i giovani allo sbaraglio nell’impari lotta per l’esistenza. Si creano così dei single a vita per l’impossibilità di costituirsi una famiglia (i famosi “bamboccioni” di Padoa Schioppa) e si lascia ai più prolifici (e incoscienti?) migranti il compito di mantenere positivo il tasso di natalità, dando vita a nuovi, futuri schiavi.

In conclusione, la pandemia della schiavitù sta salendo dai migranti alla categoria dei precari delle grandi società e a quella dei piccoli imprenditori, accomunati dalla stessa situazione di insicurezza e indigenza. Con la seconda categoria, però, tartassata da miriadi di controlli e sanzioni al Nord, e occhi di riguardo, cioè chiusi, se ci si sposta al Sud; guarda caso, proprio dove la criminalità organizzata ha trovato fertile suolo per radicarsi.

All’origine di tutto sta un onere fiscale oppressivo, e reso tale dal prelievo (il famigerato “servizio del debito”) effettuato dalla BCE in virtù dei suoi finti prestiti allo Stato; prelievo, oscillante tra 70-80 miliardi di euro*, che gode di priorità assoluta rispetto ai bisogni della gente, col tacito permesso di una dirigenza politica collusa coi grandi banchieri internazionali: gli unici a trarre beneficio dalla miseria (e dalle guerre).

Vedremo se Obama riuscirà a far loro risputare almeno parte dei profitti e dei bonus accumulati in questi due anni orribili (per noi), come ha solennemente promesso giovedì scorso. In tal caso… lunga vita a Obama!

 

* Vedi: http://www.assbb.it/CMI/2009_02_5.pdf

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                                                    17 gennaio 2010