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Un Anno Nuovo, possiamo permettercelo?


di Milena Debenedetti

 

La domanda sorge spontanea. Questa fine anno persino nello scambiarsi auguri notavo un  tono fiacco, poco convinto, di rassegnazione al peggio, di preparazione all’arrabattarsi fra mille incubi e ostacoli.

 

Eppure, niente è ineluttabile, tranne le leggi di natura. Meno che mai le regole dell’economia, i limiti che ci siamo imposti, i recinti in cui ci siamo costretti da soli, per assistere ora a un mondo devastato, sull’orlo della crisi ambientale irreversibile, con pochi ricchi sempre più ricchi e tutti gli altri imprigionati in varie forme di schiavitù, da quella devastante dei poveri sfruttati, a quella della precarietà e dell’umiliazione, a quella dell’acquisto a tutti i costi per mantenere un  livello di benessere che tale è solo di nome e niente ha a che fare con la vera qualità della vita e dignità dell’essere umano.

Invece dipende solo da noi: perché noi, gli sfruttati e i perdenti a vario titolo, siamo tanti, e avremmo ragione di ribellarci consapevolmente, invece di continuare a lasciarci rinchiudere nelle nostre personali umiliazioni.

Quelli che ci impongono questo sistema sono pochi, per quanto potenti e con molte armi dalla loro, reali o mediatiche che siano.

Almeno una presa di coscienza si impone. Organizzarsi, essere consapevoli, decidere che si vuole cambiare strada, darsi nuove idee concrete che non siano ideologie o slogan, unire mente e cuore, fuori dalla fredda e disumana razionalità dell’economia e finanza come nuovo unico dio, ma fuori anche dai tanti sentimentalismi e irrazionalismi in cui impastoiano le nostre emozioni: populismi, vecchio e nuovo razzismo, isterie da reality, allarmismi creati ad arte, guerre fra poveri, capri espiatori e così via.

Allora, proverò lo stesso a formulare qualche augurio. Oserò tanto, sperando che ne venga un potere positivo, mettendo da parte lo scetticismo che trasforma in utopia irrealizzabile qualsiasi piccola speranza.

 

Per prima cosa mi auguro che i più vecchi di questa irrecuperabile classe politica, vecchi d’età o vecchi dentro che siano, si ritirino o vengano spazzati via, a partire da colui di cui tutti, volenti o nolenti, sono costretti a parlare. Ma non solo lui, e non solo quelli della sua parte politica. Anche dall’altra sponda (che poi, in questo sistema chiuso di potere, è praticamente la stessa cosa), ce ne sono tanti.

Mi auguro e auspico che i tanti movimenti e associazioni e gruppi di difesa dell’individuo, delle regole della democrazia, del territorio e dell’ambiente, si uniscano o trovino punti comuni per rafforzarsi a vicenda.

Che dal crogiolo dei gruppi contro le mafie, del Popolo Viola che ha dato vita al No Berlusconi Day, dei MoVimenti a Cinque Stelle di Beppe Grillo, dei nuovi gruppi di opinione coagulatisi intorno a blog, siti internet, giornali come il Fatto Quotidiano, dei personaggi più sensibili (e possibilmente giovani, giovani davvero, non vecchi dentro) del mondo politico, con reale consapevolezza e volontà di cambiamento, nasca l’unione e quella forza che sole possono permettere una svolta, e una battuta d’arresto al disastro. 

Che ci si opponga all’incubo delle privatizzazioni folli, da quella dell’acqua, che grida vendetta al cielo, alle progettate (e forse qualcosa più che progettate) trasformazioni della Difesa e della Protezione Civile in Società per Azioni. 

Alle grandi opere folli e insensate, in un paese in cui tutto il tessuto della vivibilità, dei trasporti pubblici, dei servizi merita urgente risanamento e modernizzazione.

Agli investimenti enormi e a fondo perduto su un faraonico nucleare, che non ci traghetterà nel futuro dell’energia ma ci sprofonderà nell’ennesimo incubo.

Alle cementificazioni inutili, ai regali a tecniche e industrie obsolete che in cambio tagliano fabbriche e posti di lavoro.

Alla trasformazione di tutto ciò che resta di bello, di democratico. di culturale, di civile, di sociale, di sensibile in questo Paese, in una specie di pastone per porci destinati a grufolare davanti alla tv.

 

Che si ricostruisca a partire dalle comunità locali, dalla trasparenza democratica permessa dai nuovi media, da una nuova partecipazione civile e individuale, dalle piccole e grandi esigenze: formazione, imprenditoria virtuosa, servizi, sanità, riqualificazione ambientale, turismo sostenibile.

 

Ci sarebbe molto altro da esprimere, ma anche solo passare dalla disperazione, più o meno cupa, più o meno rassegnata, più o meno rancorosa, a una nuova, pacata, allegra e civile speranza, sarebbe già un miracolo.

Lo auguro di cuore a tutti voi, a tutti quanti noi. Ma in fondo, dipende da noi stessi ricominciare a crederci.

 

   Milena Debenedetti 

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi