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Un magistrato “scomodo” da colpire?

Conflitti di interesse ignorati?

Il cronista racconta il “caso Imperia”

                         di Belfagor senior (Luciano Corrado)


 Imperia – Lo ammetto, sono in difficoltà. Anche un diavolo alla Belfagor, abituato ai scenari infernali di questa terra di peccatori, ma a redenzione assicurata, non ci poteva credere. Ho vissuto tantissime vicende di cronaca, ho trascorso gli anni più belli della vita nei palazzi di giustizia, a volte di primo mattino fino a notte inoltrata, a seguire processi, interrogatori, inchieste, leggere migliaia di pagine di verbali e di intercettazioni telefoniche, memorie difensive. Nelle caserme dei carabinieri ed in questura.

Ho conosciuto presidenti di tribunali, giudici, procuratori della Repubblica (in qualche caso con la sfortuna di finire testimone a processi che li vedeva imputati, oppure sotto procedimento disciplinare al Consiglio Superiore della magistratura).

Ho avuto rapporti di reciproca stima e raccolto suggerimenti e confidenze da tanti avvocati: savonesi, imperiesi, liguri, o di zone più lontane: dalla Calabria alla Sicilia, al Veneto, al Piemonte, Lombardia. Penalisti o civilisti. Giovani ed anziani.

Eppure la vicenda, definito “caso Imperia”, con il sostituto procuratore della Repubblica, Filippo Maffeo, che vidi per la prima volta sui banchi del consiglio comunale di Loano, dove alle elezioni del 26-27 novembre 1972, era stato eletto nella lista della democrazia cristiana e risultava “laureando in giurisprudenza”(vedi…) mi sta scuotendo.  

Ho riflettuto per almeno una decina di giorni. Via internet ho sfogliato migliaia di pagine, documenti, blog, siti internet. Alla fine ho deciso: non posso tacere, non posso venire meno al dovere di cronista di raccontare i fatti noti, soprattutto quando investono la vita pubblica, l’opinione pubblica, personaggi pubblici, con ruoli delicatissimi.

Premetto, nessun atto di eroismo, di coraggio, sempre più raro, in una realtà sempre più da conformisti.

Filippo Maffeo solitario e taciturno consigliere comunale, tra i pochi che durante le riunioni prendeva appunti, non si distraeva. Figlio di un’onesta famiglia di immigrati; farà pratica nello studio legale di un democristiano doc, Angelo Nari, storico sindaco di Calizzano (paese d’origine), popolare esponente di primo piano della scudo crociato savonese, candidato senza fortuna in Regione e al Parlamento, con una più che soddisfacente presidenza della Cassa di Risparmio di Savona.

Il dottor Maffeo lo ritroverò (dai primi anni ’80) negli uffici della vecchia Procura della Repubblica, quando il tribunale di Savona aveva sede a Palazzo Santa Chiara. Lo rivedrò al lavoro, giudice istruttore, anche ai tempi della “Teardo story” che ho vissuto in modo intenso, da modestissimo cronista di provincia.

Infatti l’allora “leader massimo del Psi savonese”, diventato presidente della Regione Liguria e nell’elenco degli affiliati di Licio Gelli, con amicizie e frequentazioni di autorevoli ambienti romani, tre iscrizioni in logge diverse - come accertò lo stesso dottor Maffeo, nella prima indagine italiana sulle logge massoniche con relativi grattacapi  in altoloco- prima del “diluvio di manette” dopo il 14 giugno 1983, mi trascinò davanti al tribunale di Genova. Con il mio direttore-galantuomo e riservato, lontano dai palazzi e dalla politica, Tommaso Giglio.

Un processo fissato quasi a tamburo battente, per diffamazione aggravata ai danni del presidente  Alberto Teardo e (poi emergerà) del suo “cassiere” di tangenti e di partito, Leo Cappello, albergatore a Spotorno, che vantava di essere “figlioccio” di Sandro Pertini, ma smentito.

Certamente frequentatore abituale del Quirinale con un gruppo di compagni socialisti savonesi (tra essi gli ex sindaci Pericle di Stella e Zanelli di Savona,  Tommaso (Mascin) Amandola, tuttora vivente a Pietra Ligure.

Si scoprì, con l’apertura della pentola ad opera dei giudici istruttori, Granero e Del Gaudio, che pure al Quirinale del savonese Pertini, c’erano infiltrati piduisti, subito allontanati dal presidente. E che Capello riceveva spesso visite private dall’allora comandante generale dei carabinieri Miino, poi morto in un incidente di elicottero mentre si trovava in missione in Calabria.


Filippo Maffeo

 Teardo e Capello, nella querela, chiedevano quasi due miliardi di danni (novembre 1981). Per una circostanza che un giorno rivelerò, il compianto Antonio Petrella, il giudice istruttore che respinse la richiesta di proscioglimento del Procuratore della Repubblica Camillo Boccia, nei confronti di  “indiziati di reato”, ordinò le perquisizioni di abitazioni uffici e sede del “Savona calcio”, escludendo in extremis quella al presidente Teardo (abitazione e Regione).

Un cambio improvviso, con un “segreto”. Accade che Il Secolo XIX, in prima pagina a sei colonne, diede in anteprima nazionale notizia dell’inchiesta, degli indagati, includendo nella perquisizione domiciliare l’abitazione di Teardo ad Albisola Capo, dove vive tuttora lontano dai riflettori..

Una smentita arrivata in redazione, a tarda sera; le mie fonti (anche legali) confermavano l’esistenza del coinvolgimento di Teardo, ma lui nel comunicato stampa, via Ansa, negava tutto, avviso di reato e perquisizione. Mentre sapevo con certezza che il maresciallo Piero Moretti, comandante della squadra di Pg, aveva raggiunto “casa Teardo” per la consegna dell’avviso di reato.

Alla direzione dei giornale, ai capi, confermai fino alle 23, 20, poco prima della chiusura della prima edizione, della mia certezza. In effetti, la perquisizione a Teardo non si fece. Non fu misteriosamente (?) disposta.

Leo Capello, membro del consiglio Carisa,  lamentava invece di essere stato chiamato in causa, come indiziato, il giorno prima della sua iscrizione nel registro della Procura. Anche su questo aspetto, un giorno sarà il caso di rivelare fatti e sequenze.

Tra i testimoni citati dall’accusa e parte civile (superbattagliero avvocato Silvio Romanelli) trovai con sorpresa il collega genovese Paolo Lingua che successivamente risulterà tra gli iscritti alla loggia massonica Camea, di Rapallo, insieme ad altri colleghi. Solo una casualità. Successivamente ho appreso dall’allora capo redattore, Camillo Arcuri, che anche al Secolo XIX, un collega teneva informato lo “staff Teardo” in Regione.

Teardo che firmava comunicati stampa, con vasta eco almeno su alcuni giornali fiancheggiatori – del resto era una potenza - , sosteneva di trovarsi al centro di una <torbida ed oscura campagna diffamatoria ad opera di giornalisti che agivano per fini e scopi inconfessabili>. Ci sono le sue lettere all’Ordine dei Giornalisti Liguri. Ed il Psi ligure (imperiese compreso) gli diede piena solidarietà.

Per farla breve, e forse poco interessa ai lettori, devo dire grazie alla giustizia e ai miei difensori, l’indimenticabile Ernesto Monteverde, “maestro del foro” e Romano Raimondo, vivente, se da quel processo uscii a testa alta. Assolto, dopo tre gradi di giudizio ed una quarta pronuncia di Corte d’appello, per diritto di cronaca e una condanna a 100 mila lire di ammenda (poi prescritta) per aver pubblicato un atto coperto dal segreto istruttorio. Cioè la comunicazione giudiziaria a Capello.

Il mio giornale, tuttavia, per l’errore da piccolo cronista di umilissime origini montanare, senza santi in paradiso, su ordine dell’allora vice direttore Giulio Anselmi, mi mise in quarantena.

Continuavo il lavoro di cronista di giudiziaria, ma niente firme sui pezzi che scrivevo. Per sei lunghi mesi. Del resto, agli esordi del processo, mi ritrovai con tanto di foto su alcune prime pagine, seduto sul banco degli imputati e sotto i riflettori del Tg Rai regionale. Teardo era Teardo, prima di essere detronizzato dalle manette e successive condanne definitive per una impressionante sfilza di reati, il primo caso in Italia di “pubblici ufficiali” organizzati a delinquere.

Non è motivo per cantare vittorie, ma per ricordare che in quel maxi processo al “sistema Teardo”, da record storico (mi pare fruttò, secondo alcune stime, sei miliardi di parcelle legali), mi occupai di diversi tronconi che interessavano  aree dell’imperiese, personaggi pubblici, della politica, noti e meno noti, e della mala organizzata, in odore di ‘ndrangheta. Tra essi proprietari di esercizi pubblici che scambiarono decine di milioni, assegni compresi, in occasione di campagne elettorali.

Pranzi, cene, galoppini.

La terra imperiese che mi aveva dato i natali il giorno che i tedeschi, all’alba, iniziavano la ritirata. Con papà, nativo di Garessio, tra i cinque componenti del “Comitato di Liberazione” di Mendatica (con Domenico Alberti, Giovanni Gandolfo, Genio Ascheri e Pietro Porro), rischiava la fucilazione immediata e era già stato “prigioniero”  negli umidissimi sotterranei del Forte di Nava, con conseguente tubercolosi, allora curata nel sanatorio di San Lorenzo al Mare. Ma anche dal dottor Lazzaro Maria Craviotto che da Albenga e dal dispensario, raggiungeva Pieve di Teco, e da qui a dorso di mulo fino  a Mendatica. 

 

In quella Mendatica, un tempo capitale dei pastori e della pastorizia della Valle Arroscia, almeno fino agli anni ’50. Ho vissuto da testimone fortunato, un periodo ricchissimo di ricordi di infanzia, di montanari valorosi che non facevano notizia.

Torniamo alla vicenda Maffeo.  Ho letto a tutta pagina.. Il Secolo XIX,  7 novembre scorso, titolo: <Troppi sms inopportuni, scontro tra toghe a Imperia>. Non ho dato inizialmente molto peso. Sbagliando. Le prime righe del pezzo: <E’ una vicenda umana che non dovrebbe accadere in un ufficio giudiziario e non dovrebbe finire sulle pagine dei giornali>, sospira il procuratore generale Luciano Di Noto. Conservo un fanciullesco ricordo; era stato pretore ad Albenga ed una famiglia, le sorelle Valgiraldo di Peagna (frazione di Ceriale) parlavano di lui con mia mamma.

Da anni avevo perso di vista il dottor Maffeo. Leggevo e ogni tanto seguivo i suoi interventi, apparizioni, nei notiziari di Rai 3.

Lo ricordo alla pretura di Albenga, penso a qualche lamentela di avvocati per i fascicoli lasciati in eredità a chi l’ha sostituito, Alberto Princiotta,, figlio dell’ex prefetto di Savona, ai tempi delle “bombe” (1974-’75).

In redazione avevo ricevuto qualche lettera “anonima”, molto circostanziata sul piano tecnico, per via un immobile famigliare. Il titolo (Maffeo’s story), missiva indirizzata  a sei destinatari il 19 agosto 1998. Firmato “I cittadini di serie B”.  Non fu arduo collegarla con altri documenti, sempre informatissimi, di uno o più personaggi massonici che Maffeo aveva contribuito a “smascherare”. Gli interi elenchi, infatti, furono pubblicati dal Secolo XIX, la prima volta che accadeva nella storia italiana, seppure di Provincia. Dando il “là” ad altre pubblicazioni ed inchieste analoghe – grazie anche all’evento Teardo – di elenchi dell’imperiese e del levante ligure.  

Non conosco, invece, Maria Paola Marrali, accostata nello stesso servizio a firma dell’ottimo collega Marco Merduni, con tanto di foto. Lei nei panni di presunta vittima di molestie, Maffeo presunto artefice di una vicenda di “rapporti personali”(...contro di me solo calunnie). Qualcuno, alla fine, ci dirà, cosa sia realmente accaduto, quale configurazione giuridica verrà data agli sms sbandierati. Alle asserite “molestie” di cui ha parlato anche Canale 5 con Barbara D’Urso.
Negli ambienti del Secolo XIX ho saputo che Menduni, via cellulare, aveva contattato a tarda sera Maffeo ma la notizia-scandalo era stata pubblicata in anteprima dal periodico imperiese “La Riviera”, diretto da Andrea Moggio. Per la cronaca il giornale non risulta abbia un cronista di giudiziaria che tutti i giorni, come avviene per i quotidiani locali, bussano alle porte dei magistrati inquirenti, almeno cosi avveniva ai miei tempi. Sostano nei corridoi di palazzo di giustizia. Avvicinano i legali impegnati a seguire inchieste e processi.

Poteva un giornalista di Mendatica,  di campagna, sconosciuto ai più, non ricevere segnalazioni, magari da conoscenti imperiesi? Il mio paese, ridotto ad una manciata di valorosi eroi della resistenza montanara e di amore vissuto per la propria terra,  produce riservatezza innata. C’è un detto: “Mendaighin, scarpe grosse e servellu fin”.

E ancora, la Rai si era mossa, solitamente rigorosa nelle verifiche, per annunciare “il trasferimento”(con smentita nell' edizione serale) di Maffeo a Sanremo. In sostituzione dell’ottimo ed onestissimo compianto Pescetto, che conobbi alle sue prime armi a Savona.

Arriva la segnalazione: <Luciano, seguo Trucioli Savonesi, ho letto la divertente storiella della D’Urso, Baratto, Corona. Guarda che la Marrali è la compagna di vita di Marcello De Michelis, consulente dei Pizzimbone o di qualche loro società, il figlio di Luciano che è stato presidente della Provincia, uno delle nostre origini…>.

I fratelli Luciano e Ivo, credo di averli incontrati del tutto occasionalmente. Sono due persone importanti,  riservate, con ruoli rilevanti nel contesto politico, economico e finanziario dell’imperiese.

Da giornalista li ho “letti”: il primo alla presidenza della Provincia  (tralascio il passaggio di bandiera ai tempi della presidenza Mori della Regione), il secondo autorevolissimo componente del Comitato di Direzione della Fondazione Carige,, tra i maggiori centri di potere della Liguria, come accade in qualsiasi altra parte d’Italia.

Tra l’altro, sapevo che Ivo non ha mai dimenticato le origini famigliari quando alla Fondazione hanno bussato i rappresentanti del Comune o della Pro Loco o ancora della Parrocchia di Mendatica (l’amatissimo prevosto Giovanni Brunengo che ha lasciato un vuoto incolmabile). Tutto alla luce del sole, come documenta la rivista ”Fondazioneinforma” che ho sempre sfogliato con interesse.

G.B.Pizzimbone

 Non solo, il caso ha voluto che un paio d’anni fa, per il programma di manutenzione della nuova caldaia di casa, la ditta con cui avevo firmato il contratto di assistenza, abbia mandato un operaio specializzato che, in nell’occasione, ho scoperto essere un ex dipendente, cosi disse, di aziende imperiesi del commercialista Marcello De Michelis e mi pare del fratello medico.

Tra l’altro, vecchi ricordi mi riportavano ai genitori di  Ivo e Luciano, mamma Teresa e papà “Tienne” che da muratore aveva avviato un’impresa che con i figli vedrà anni di massima floridezza.

Entrambi i fratelli affezionati alla montagna. Con Luciano, seconda casa nella “vecchia Monesi” (Mendatica) che frequentavo in estate da bambino, ospite nel teccio, con profumo di citilene, con i nonni (da 1952 in poi), quando Ingo Galleani, iniziò con i fratelli l’“avventura” della Nuova Monesi (Triora).

Con Ivo, seconda casa nella frazione San Bernardo, dove resta scolpito nella storia la figura di “Settimia” e dove tornai, un giorno per me da dimenticare, per una tragedia di famiglia. Il delitto della follia, gli spari mortali alla moglie di Renzo, figlio di Settimia.

Madre e figlio (oggi tocca al nipote Valter) hanno contribuito al rilancio, fino al tramonto di Monesi (inutili tutti i miei articoli, Secolo XIX e Gazzetta del Lunedì, sulle sciagurate conseguente sociali di una crisi per l’intero circondario)  in simbiosi al tracollo della famiglia dei banchieri Galleani di Alassio. E dei quali ho seguito negli anni molte vicende, in parte oscure (il ritrovamento e l’arresto per l’esplosivo in un garage di disponibilità del conte Enrico, la mente del gruppo con vasti interessi a Garlenda, Ceriale, Alassio, Laigueglia, oltre a Monesi) e mai descritte con completezza.

Forse riuscirò a farlo, dopo aver raccolto negli ultimi anni, molte testimonianze, sulla vita - tutti i nomi e loro discendenti -  dei pastori di Mendatica e degli anni di maggiore sviluppo con Monesi e frazioni. Tra le testimonianze più lunghe e preziose, da enciclopedia, quella del vivente Giovanni Beghelli, mentre si interruppe, causa malattia, il capitolo sui ricordi descritti da Guido Lanteri, mente storica di Monesi e del Comune di  Piaggia (Briga Alta) di cui è stato anima e sindaco. Testimone d’eccezione per i lunghi anni di albergatore (Redentore); tra i clienti la famiglia dell’allora ministro Taviani, quella dei Verda, degli Scajola.

Lanteri, incrollabile fede missina, aveva sempre avuto parole di elogio per Taviani: <Grazie a lui abbiamo realizzato la prima vera rete stradale che ci ha tolto, tra imperiesi e cuneesi, dall’isolamento>.

Lanteri che aveva conosciuto e vissuto in prima linea tutte le tappe della paradossale  “Monesi story”, con i fratelli Terenzio ed Enrico Toscano, proprietari della più estesa proprietà della Liguria, la vasta conca e oltre che sovrasta le due Monesi e Piaggia.

Torno alla triste notizia dello scontro Maffeo-Marrali. Su internet- e ne darò un ampio resoconto nelle prossime puntate – ho letto moltissimi documenti, in buona parte a me sconosciuti.

Con un presentimento strano. Con  silenzi e autocensure che suonano in modo stonato per come conoscono l’ambiente giornalistico imperiese.

Ho stampato pagine scritte sui giornali locali, blog, web, informazioni ricavata da Il Sole 24 Ore. Messo a confronto alcune date, con il susseguirsi di notizie  e prese di posizione, rivelazioni.

Per altri motivi, in passato, avevo letto le vicende Aimeri- Ponticelli-Biancamano. E nella ricerca, via internet, mi imbatto nel documento di fondazione della Biancamano, diventato un colosso nazionale nel campo della raccolta dei rifiuti solidi urbani soprattutto.

Risultata fondata (vedi atto…) proprio ad Imperia, davanti al notaio Giovanni Saguato, il 24 febbaraio 2004. Seguono alcune sorprese che non conoscevo, né letto, nonostante la presenza di tenaci “osservatori” imperiesi della carta stampata, televisiva, e dell’informazione via blog on line.

Giovanni Battista Pizzimbone, classe 1966, ed il fratello Pier Paolo, classe 1969, sono nati a Savona. Il papà, sto cercando alcuni ritagli tra il mio mastodontico archivio di anni di cronista, l’ingegner Pizzimbone, dipendente (non ne sono certo) del Comune di Biella (o altro nell’alessandrino),  abitava con una bellissima moglie (una miss la ricordano) in corso Vittorio Veneto, sul lungomare. Mi sono occupato dell’ingegnere, ma devo trovare gli appunti.

Pizzimbone, due fratelli ammirevoli per il successo conquistato, miliardari, potentissimi, che danno lavoro a migliaia di persone – i loro bilanci sono solari, se si ha la pazienza di dedicarsi alle pagine di internet – dunque  savonesi, pur risultando imprenditori residenti ad Ospedaletti, a indirizzi diversi.

Pier Paolo, vive ad Andora,  tra l’altro, è diventato pure “personaggio big politico” , da cronaca mondana, in campo nazionale e per via dei Circoli  del Buon governo del senatore siciliano (con qualche problema giudiziario) Marcello Dell’Utri.

Protagonisti, i Pizzimbone di una holding da “togliersi tanto di cappello”, prima in Italia tra gli operatori privati del settore, dopo l’acquisizione della Manutencoop e di questo hanno scritto molti giornali.

C’è una “Biancamano Luxembrug” che detiene il 50,29 per cento del capitale, l’1,18 ciascuno ai due fratelli ed il 47, 35 per cento al mercato. Tra i clienti il Ministero di Grazia e Giustizia, la Marina Militare, numerose carceri.

L’atto di costituzione descrive, tra l’altro, che a comporre il collegio sindacale-revisori dei conti (organismo vitale per ogni società) figurano il rag. Rinaldo Ferraro, (classe 1964) di Sanremo; il dr. Marcello De Michelis (classe 1963) di Imperia; dr. Luciano Capurro (classe 1951) di Genova. Tutti e tre “sindaco effettivo” . Poi i due “sindaco supplente”: dr. Carlo Vesco (classe 1960) di Sanremo;  dr. Gianfranco Gabriel (classe 1949) di Imperia.

Le cronache abbondano – leggendo centinaia di pagine – pure su inchieste, in qualche caso definite nei titoli “scottanti”, con tutto ciò che significa e comporta. Seguite (con sovrapposizioni?) sia da Filippo Maffeo, sia dalla collega Paola Marrali, per 12 anni a Casale Monferrato, da tre in servizio alla Procura della Repubblica di Imperia, con a capo Bernardo De Mattei, proveniente dalla sede Mondovì. 


IIl Procuratore capo Di Mattei
Nell’inchiesta, su alcune vicende dell’impianto Biomasse, per ora svanito, di Pieve di Teco, risultano da articoli, fascicoli affidati sia a Maffeo che Marrali.

Poi si parla di vicende ed inchieste sulla discarica e “percolati”  Ponticelli srl, con fatturato che nel 2002 raggiungeva i 21 milioni di euro. La Ponticelli entrata nella galassia Pizzimbone, sede legale a Rozzano dove si trovano pure la più robusta (in termini di fatturato e dipendenti) Aimeri Ambiente srl, molto conosciuta in provincia di Savona, già con le precedenti gestioni ante Pizzimbone, con inchieste su vari filoni in Liguria ed in Piemonte.

Non ce ne vogliano il procuratore generale Di Noto ed il procuratore capo Di Mattei –: la  rispettabilissima Maria Paola Marrali convive con il revisore dei conti De Michelis (si è comunque dimesso lo scorso anno) di una società che di fatto fa da capofila alla Ponticelli – da tempo al centro di indagini ed esposti – e di cui si occupa Maffeo, con una durissima e recente presa di posizione di Pier Paolo Pizzimbone che accusa apertamente Maffeo di aver diffuso notizie riservate, a danno dell’immagine dell’azienda e del  buon nome.

Con articoli su periodici imperiesi – e va registrato ad esclusiva completezza di informazione – che non da oggi ospitano intere a pagine di pubblicità che richiamano  Ponticelli-Aimeri Ambiente-Gruppo Biancamano Spa”. Anche la Fiat del resto ed altre aziende fanno pubblicità sui giornali che poi scrivono di “auto” e “posti di lavoro”.

Ma resta – è quanto non mi è per nulla chiaro in tutta la vicenda, anzi mi riporta agli anni del rigore del presidente Pertini che si teneva informato su vicende del suo Savonese – l’esistenza di un presunto “conflitto di interessi” (diamo per scontato la totale buona fede delle parti) che non può lasciare indifferenti. Né il dottor Di Noto, né il Consiglio giudiziario, né l’organo di autogoverno della magistratura.

In uno stato di diritto e di democrazia a chi spetta risolvere il dubbio, ad iniziare da chi ha precisi obblighi per i ruoli che ricopre – a parte il rigoroso silenzio- se un magistrato sulla base di una legge del 2006 (detta Mastella)  all’articolo 18 dell’ordinamento giudiziario prevede l’incompatibilità ambientale nei casi in cui si eserciti la funzione, con un parente, congiunto che fa l’avvocato. C’è forse distinzione tra il civile ed il penale?

La sorella di Maria Paola Marrali non è un personaggio pubblico e rispettiamo il nome dello studio legale. Però difficile credere che in questa situazione, tra le toghe di Imperia, non sussistano perplessità, ragioni di opportunità.

Nell’interesse di tutti, ad iniziare da quella fiducia e autorevolezza verso la giustizia che molti e troppi vorrebbero piegare e resta tra i baluardi di questa Repubblica, fanalino d’Europa, in molti aspetti vitali e primari della società.

Come non possono lasciare indifferenti le cariche ricoperte del tutto regolarmente da Marcello De Michelis in società dei Pizzimbone al centro di problematiche giudiziarie in parte chiarite, in parte in attesa di epilogo. Con il coinvolgimento di organi di polizia (che hanno tra i loro doveri precise incompatibilità parentali laddove prestano servizio).

E non è un incoraggiante segnale – se Maffeo ha sbagliato lo diranno eventualmente i giudici competenti di Torino e il Consiglio Superiore della Magistratura chiamato a pronunciarsi con urgenza richiesta dalla delicatezza del caso – che in questo scontro diventato pubblico, si siano inserite interpellanze parlamentari (ad indagini in corso) di due esponenti del Pdl della Campania: Nicola Formichella, braccio destro di Dell’Utri e l’editorialista de Il Giornale, Giancarlo Leher.

Scrivo questo per aver fatto esperienza su altre vicende che, in passato, hanno coinvolto magistrati della Procura della Repubblica di Savona e in quel caso era un deputato spezzino dell’estrema sinistra ad “interpellare il ministro”. Ricordo l’epilogo. Che tristezza!

Luciano Corrado

(continua prossimo numero)

Altri allegati: vedi indagini su La Ponticelli da “Riviera 24.it”

Vedi articoli del maggio 2007 e altro materiale sul Gruppo Biancamano e i fratelli Pizzimbone- Vedi su internet vari file su Asso Noli Clean, Asso Agri, Asso Eventi, cliccando su Marcello De Michelis.