TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni NO AL
PRESIDENZIALISMO, COSA SERVE? L’UNTO
DAL SIGNORE E ELETTO DAL POPOLO
di Franco Astengo Le
vicende di questi ultimi giorni, legate alla politica italiana, hanno
dimostrato l'enorme (ed ormai intollerabile) peso che ha assunto
la cosiddetta “personalizzazione della politica”, in due
direzioni: quella della identificazione, al di fuori di qualsiasi
riferimento di carattere costituzionale, di un “eletto del popolo”
al quale si addicono tutti gli elementi di “sacralità” del
suo stesso corpo, quasi si trattasse di una monarchia assoluta, e
nell'impedimento, per le forze politiche, di parlare con voce univoca ed
autorevole, quale soggetto collettivo, generando, invece, nella
confusione delle voci, una sorta di anarchia istituzionale che finisce,
oggettivamente, per favorire l'idea che ci sia – davvero – un
“unto del signore”. In questo
quadro, ed è proprio la lezione da imparare dagli avvenimenti accaduti
domenica sera in Piazza del Duomo a Milano, hanno ripreso corpo e
veste le idee di un intreccio “maggioranza – opposizione”
per avviare l'ennesima stagione di riforme costituzionali e
istituzionali ( non facciamo qui la storia di quelle attuate e/o fallite
nel corso degli ultimi 17 anni anni, a partire dalla modifica del
sistema elettorale dei Comuni e delle Province che, con l'elezione
diretta, diede il via, praticamente, alla stagione del superamento
dell'idea della centralità dei consessi elettivi, dal Parlamento in giù,
che invece ispira, il dettato, mai abrogato, della Costituzione
Repubblicana nata dall'accordo tra i partiti del CLN), prevedendo
addirittura in premessa per quel che riguarda le ragioni della giustizia
un provvedimento “ad personam” e, finalmente, per
qualcuno, l'adeguamento al meccanismo presidenzialista che si considera,
di fatto, acquisito, con la legge elettorale del 2005, allorché vi si
prevede l'indicazione del “capo della coalizione” sulla scheda. Diciamo
subito “no” a questo presunto adeguamento, portando almeno tre ragioni,
tutte collocate al di fuori dell'ambito ideologico, e sulle quali
invitiamo a riflettere: prima di tutto la riforma, peraltro maldestra,
del sistema elettorale è bastata a scardinare il sistema partitico e la
dinamica governo – opposizione così come questa si configurava all'epoca
della proporzionale del 1958, da cui ci si voleva allontanare; in
secondo luogo, il già precario equilibrio tra i poteri, una volta
alterato con interventi ad hoc, rischia soprattutto di favorire
ulteriori concentrazioni di potere in una persona sola; infine manca lo
stimolo da parte dell'opinione pubblica. Se
all'inizio degli anni '90 del secolo scorso la società civile già da
tempo mostrava segni di insofferenza per l'assetto partitocratico e
collusivo del nostro sistema e cercava varie strade per scardinare
quella cappa soffocante (in particolare questo avvenne nella fase acuta
di “Tangentopoli”), ora nessuno vede il sistema partitico o
l'assetto istituzionale come qualcosa di statico e di immobile. L'idea
dell'alternanza di governo, della formazione e del relativo successo di
nuovi partiti, della mobilità, insomma, è diventata il codice genetico
del sistema (fino a provocare esagerazioni come quella della “vocazione
maggioritaria” assunta, incautamente e colpevolmente, dal PD). Nulla di
paragonabile al sistema tolemaico della centralità e della fissità
democristiana e del correlato paradigma della “conventio ad
excludendum” delle opposizioni, con conseguente incastonamento
di pratiche collusive e/o illecite. Di che
cosa necessita, allora, il nostro sistema? Molti
rispondono, e sarà così se si aprirà davvero una nuova stagione da “bicamerale”,
di rendere le istituzioni coerenti con il sistema elettorale e la
dinamica maggioritaria. In realtà
questo obiettivo si rivela ben più indefinito ed ambiguo di quanto non
appaia dalla sua formulazione. Infatti,
il modello Westminster può prendere le sembianze della
Gran Bretagna o di qualche sua ex-colonia o quelle, ben diverse,
degli Stati Uniti. Tra il
sistema britannico e quello statunitense c'è di mezzo proprio un oceano. Uno
rappresenta il trionfo del parlamentarismo, nonostante il predominio del
governo in quanto quest'ultimo dipende sempre dalla fiducia del
Parlamento e, se viene sconfitto, deve dimettersi o, in una altra
ottica, è il modello della stratta compenetrazione tra Parlamento e
Governo. L'altro è
il non plus ultra del primato del governo sub specie presidenziale e
della rigida separazione tra i poteri. E,
ancora, l'uno incarna la storia stessa della democrazia rappresentativa
e delegata e mostra una repulsione assoluta per ogni forma diretta di
investitura del potere nonché di ogni personalizzazione della politica,
in virtù della forza organizzativa dei partiti e della loro capacità di
strutturazione del voto (questa affermazione vale anche adesso, nella
fase di superamento del bipartitismo “quasi perfetto” che ha
contrassegnato la storia elettorale e parlamentare della Gran
Bretagna per quasi due secoli).. L'altro
rappresenta la realizzazione dell'utopia della “monarchia elettiva” (che
stava, comunque, nella menta dei Padri Fondatori) nonché la
proliferazione, all'infinito, delle investiture dirette e “ad
personam”, enfatizzando l'associazionismo di base e la
partecipazione personale e diretta, e minimizzando la democrazia
delegata. Questi
brevi cenni mostrano già quanto siano diversi i percorsi di una
“compiuta democrazia maggioritaria”: quella presidenzialista, separata,
federalista, con un potere giudiziario forte e un controllo di
costituzionalità autonomo ed inappellabile, o quella parlamentare,
moderatamente “devoluta” (si veda l'esempio del Parlamento scozzese),
tutta delegata e rappresentativa. Questo
comunque è solo un esempio delle difficoltà ad inoltrarsi in progetti di
revisione costituzionale inerenti i rapporti tra i poteri dello stato
senza un fine preciso, come pare essere in Italia in questa fase. Qual'è e
quali sono gli obiettivi? Purtroppo
ne vediamo ancora uno solo, e molto pericoloso per la democrazia, nel
caso fosse raggiunto: quello di una ulteriore torsione
personalistica – populistica, nell'anomalia italiana vigente della già
citata concentrazione di potere in una sola persona. Savona,
18 Dicembre 2009
Franco Astengo
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