TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni PIOVE, GOVERNO LADRO In realtà, piove sempre meno, ma il governo è
sempre più ladro. Lo Stato è ormai apertamente il grande mungitore degli
italiani, da cui difendersi con l’unico mezzo a disposizione: l’evasione
fiscale (o fisica, espatriando). Questa constatazione, basata sugli
ultimi dati dell’Agenzia delle Entrate sui prelievi coatti eseguiti
nell’anno in scadenza, è il vero patto disatteso di questo governo, che
subentrava a quello delle tasse, con la promessa di abbassarle e di
rendere la vita più facile a chi suda per guadagnarsi da vivere. Il premier è molto incazzato. E con lui la
maggioranza degli italiani. L’incazzatura accomuna mister B e lo stuolo
di piccoli e medi imprenditori e commercianti, di partite Iva forzate,
insomma di tutti gli autonomi che avevano sperato che un governo di
destra avrebbe alleggerito le loro cartelle esattoriali, e invece si
ritrovano un’Agenzia delle Entrate che si accanisce sempre più famelica
contro tutti loro, rei di mancati redditi, falciati dalla crisi. Il
fisco non ha mai saputo dell’esistenza del segno meno: si fa avanti
quando si guadagna e si ritira quando si perde. Anzi no, non si ritira,
non ammette che qualcuno lavori e perda dei soldi, quei pochi che in
anni migliori aveva messo da parte. Non ci crede. Eppure è questa la
situazione di tanti italiani, che vivono grazie al concorso della
famiglia, dei risparmi, degli avi, del ricorso al monte dei pegni o,
peggio, agli usurai. Il parallelo con mister B vale solo in quanto è
condivisa la sua rabbia contro le istituzioni, che da un lato svuotano
le tasche degli italiani con tasse e sanzioni, e dall’altro incalzano
chi è riuscito a sfuggire alle loro grinfie da imprenditore, ma ora
indossa i panni di primo ministro e insieme quelli di ex-evasore ed
eversore in pectore in un’Italia allo stremo. Un mix pericoloso,
che potrebbe portare a tentare un colpo di Stato sui generis,
magari col plauso di tutti i tartassati, speranzosi per l’ennesima volta
di un cambiamento in meglio. Speranza purtroppo vana; e vediamo perché. Lo Stato nasce secondo il principio generale
delle compagnie di assicurazione. Si chiede un premio (le tasse) per
garantire sicurezza alla collettività: di risarcimento danni, le
assicurazioni; di servizi primari, lo Stato. La tentazione, in entrambi
i casi, è quella di lucrare sul monte premi, assottigliando sempre più
la fetta destinata ai sottoscrittori (contribuenti) a vantaggio della
macchina organizzativa. Il paragone è ancora più evidente se si
considera la lievitazione dell’aggio nel campo del gioco: si è passati
dall’onesta roulette, che chiede per il banco solo 1/37 delle puntate, a
lotto e lotterie, che ne ingoiano una fetta ben maggiore, via via fino a
Totocalcio, Grattaevinci, Superenalotto, Winforlife, che riservano a sé,
ossia all’erario, una frazione esorbitante degli incassi. Per inciso, il
gioco è diventato ormai il dorato miraggio di gran parte degli italiani,
con l’ultima variante del trading in Borsa, cui si sta dedicando un
numero insospettato di giovani delusi dalle aspettative di lavoro, con
sostanzioso lucro per Stato e banche. Lo Stato, dunque, s’è trasformato in un
colossale biscazziere, che aggiunge alle tasse -non più (né mai)
bastevoli per i suoi appetiti- i proventi dell’illusione collettiva
della ricchezza improvvisa elargita dalla dea, bendata per il popolo, ma
ben oculata per lo Stato. La via d’uscita da questa impasse è stato, a
destra come a sinistra, l’abbaglio delle privatizzazioni: togliere
compiti allo Stato, costoso e inefficiente, per affidarli ai privati,
(arrivando ai paradossi di Alitalia, spaccata in una bad company,
accollata allo Stato, e una compagnia “virtuosa”, regalata ai privati).
È dai primi anni ’90 che si va avanti con la mitica panacea delle
privatizzazioni. Risultato: da una parte, tariffe private più alte,
offerte opache, quando non vere e proprie mini-truffe ai danni degli
utenti, sgambetti tra i concorrenti a spese della qualità dei servizi;
dall’altra uno Stato che, anziché alleggerire le tasse, grazie allo
sfoltimento delle sue funzioni, continua ad appesantirle e a bollare
come evasori quanti non ce la fanno a pagarle. Alla base del bubbone giace imperterrito e ben
schermato il sedicente debito pubblico. Quando i politici si riempiono
la bocca con parole quali “risanamento” et similia, fanno come
l’ingegnere edile che risana una casa pericolante rinforzandone i piani
dal primo all’ultimo, ma trascurando le fondamenta. Lo Stato riconosce
di avere verso Ergo: servizi sempre peggiori e cittadini
sempre più spremuti, sia dal pubblico (Stato + Regioni + Province +
Comuni + ecc.), sia dal privato. Tutto ciò mentre i privilegi dei
pubblici “eletti”, dal Parlamento in giù, brillano senza scalfitture
alla luce del sole, ingenerando rancore, invidia, rabbia, sentimenti di
vendetta nel popolo degli esclusi, ossia proprio dei loro elettori. Mister B, in forma subliminale, riesce a
cavalcare questi sentimenti nella sua lotta personale contro quelle
stesse istituzioni di cui si trova a capo e che considera intollerabili,
in buona compagnia di milioni di italiani. Parla di ipocrisie. E ha
ragione: al linguaggio dell’ufficialità non crede più nessuno, compresi
coloro che se ne servono per esorcizzare la cruda realtà. A cominciare
dall’anziano Capo dello Stato, che sperava in un tranquillo settennio di
cerimonie e pacati inviti al dialogo, e si ritrova tra i piedi un Capo
del Governo che non ci sta e minaccia una vera e propria eversione,
dall’interno. Con il primo stanno i residui benpensanti; col secondo,
irrazionalmente, quanti non ne possono più di una crescente produzione
di leggi che pretendono regolare ogni ora della giornata, acuendo il
desiderio di evadere (in tutti i sensi). Berlusconi è il ribelle numero uno di un’Italia
ai limiti della sopportazione. Peccato che si scaldi soltanto quando ad
essere toccato è il suo portafoglio. Si infervora unicamente quando vede
minacciato il suo impero, i suoi interessi, la sua persona. Non l’ho mai
visto scaldarsi per le aziende che chiudono, i cassintegrati, i precari,
le sanzioni usurarie comminate a chi non paga puntualmente le esazioni
di Stato e dintorni, l’Iva anche se non incassata, e insomma tutti gli
adempimenti che vengono zelantemente richiesti ai cittadini a fronte di
prestazioni carenti e di ripetute promesse mancate. Né s’è mai scaldato
per la tirannide delle banche, cui è permesso prestare soldi che non
hanno, chiederne l’interesse e la puntuale “restituzione” in soldi veri,
ossia guadagnati dai mutuatari lavorando e producendo. Del resto, ci
sono solo tre modi per far soldi: lavorare onestamente (cittadini);
prelevarli legalmente ma illecitamente (Stato e banche); rubarli
illegalmente e illecitamente (criminalità). Si metta un po’ di più nei nostri panni, caro
premier, invece che solo nei suoi, quando vuole pronunciare un discorso
appassionato e anticipare nuove iniziative. Parlare solo dei suoi
problemi mina la sua credibilità di rappresentante degli interessi di
tutti, quale dovrebbe configurarsi la carica che ricopre. Vorrei tanto
vederle porre la stessa enfasi, le stesse palle che sfodera
piangendo su di sé, nel perorare i nostri calpestati diritti. Marco Giacinto Pellifroni
13 dicembre 2009
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