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Nei meandri giudiziari e nel labirinto kafkiano

 IL PROCESSO AL SIGNORE

DEL CASTELLO

 COME FINIRA' ?

 di FRANCO IVALDO*

                            

Il procuratore del giudizio universale, Tony De Petrus, detto l'amarissimo che fa benissimo, stava consultando nel suo labirinto giuridico amministrativo vecchie carte bollate sogghignando compiaciuto alla lettura di certi passaggi dei testi sapienziali, ermeneutici, epistemologici .

"Questo signore - disse ad alta voce –  il signore del Castello, questo principe, duca, marchese, baronetto di Arcore, che dir si voglia, adesso dovrà fare i conti con me.

De Petrus, quel processo, il processo dei processi, il padre di tutti i processi - con la sequela naturale ed ineluttabile della madre di tutte le condanne - avrebbe tanto voluto che avesse luogo a Norimberga; il processo di Norimberga, insomma, perché riteneva la città tedesca come la più adatta al tipo di processo che aveva in mente.

Ma da Norimberga gli avevano fatto cortesemente sapere che non vi erano aule disponibili, in quanto – dopo la caduta del muro di Berlino – stavano facendo diverse cause civili all'altra metà della Germania. Gli abitanti dell'altra metà avevano citato in giudizio Angela Merkel, accusandola di aver compiuto atti di vandalismo, vale a dire la distruzione del muro semi nuovo ed ancora utilizzabile.

A malincuore, De Petrus aveva cercato sedi giudiziarie alternative.

In via subordinata, la città americana di Salem gli parve la più adatta. Lì sapevano come trattare streghe, stregoni, maghi, fattucchiere, avventurieri, cavalieri erranti, cavalieri di ventura e cavalieri del lavoro. Salem, cittadina dagli abitanti tranquilli.

“Sì – disse tra sé e sé, sorridendo compiaciuto – un bel processo indiziario a Salem fa al caso mio e soprattutto al caso suo...”

Ma da Salem, il governatore del Mississipi, Walter Veltroni, l'autore del best seller “Noi nella capanna dello zio Tom”, gli comunicò con un telegramma urgentissimo che non vi erano più alberi disponibili. C'era stata una grande richiesta di legname per costruire le zattere di salvataggio dell'economia americana. Tutte  le corde erano state utilizzate per porre in salvo i pellegrini della Mayflower, appena sbarcati sulle coste del Massachusset dai barconi provenienti dalla Libia, noleggiati dal colonnello Gheddafi, eccezionalmente uscito dalla tenda per dare consigli ad un imputato italiano rimasto nell'ombra.

Con grande disappunto di De Petrus, il quale – a mali estremi, estremi rimedi – voleva evitare di vedersi obbligato  a ripiegare su una sede di tribunale nazionale. Avrebbe invece voluto dare una platea internazionale all'avvenimento con dei giudici super partes di vari paesi ed osservatori neutrali, giornalisti de El Pais, The Guardian, Le Nouvel Observateur, sempre obiettivi nei confronti dell'imputato.

L'ultima occasione di dare un'udienza ed una risonanza mondiali al processo dei processi si presentò col viaggio nel Golfo Persico del Signore del Castello, alla testa di una delegazione di inquisiti.

“C'è vicina Riad, capitale dell'Arabia Saudita” pensò sogghignando come Mefistofele l'implacabile inquisitore De Petrus.

“Ecco l'Arabia Saudita mi sembra adattissima al processo del reo non confesso...”

Ma subito si alzò l'avvocato difensore Ghedini gridando come un ossesso: “In Arabia Saudita vige la pena di morte!”

Enbé ? - chiese con aria ingenua facendo lo gnorri De Petrus – che vuol dire ? Se l'imputato è innocente e non ha nulla da temere (ma io, aggiunse con tono da arringa finale, mi chiedo: è veramente innocente ?) cosa gli può importare del fatto che i sauditi tagliano le mani ai ladri e le teste agli assassini ? Davvero Riad è ideale come sede del collegio giudicante... Andrebbe benissimo; per lui soprattutto, vi assicuro. Non lo dico per me, da buon garantista, lo dico per lui...“

Il legislatore gandhiano, Marco Pannella sbottò con aria annoiata ma di estremo fastidio:”Non se ne parla nemmeno. Tanto vale giudicarlo nella base di Guantanamo. Da non violento, posso al massimo accettare per lui il tribunale ecclesiastico della Sacra Rota.”

“E mica deve divorziare...” esclamò ironico De Petrus.

“E invece sì!”- ribatté  l'avvocato Ghedini- dalla signora Veronica Lario, per ora sua moglie in attesa di diventare maggiorenne.”

“E di che diavolo è accusato ?” chiese De Petrus per aggiungere un'altra pietra al già voluminoso dossier.

“Di aver offerto le caramelle ad una diciottenne, quindi, ad una minorenne, come era appunto la signora Veronica.”

“Ma questa è un altra causa giudiziaria! Che ci azzecca ? Non facciamo confusione, per piacere.” esortò De Petrus un po' deluso di non aver trovato elementi nuovi d'accusa. In un angoletto al piano zero del condominio, annuivano facendo di sì con la testa Santoro e  Travaglio, sempre costretti a richiamare all'ordine i disordinati e confusionari Ghedini e Belpietro, seduti sul banco opposto assieme a Vauro che poteva ritrarli a suo piacimento, mentre leggevano i gialli del lodo Mondadori. Ritratti immortali come quelli di Forattini che valevano quasi quanto una storia di Tacito o un editoriale di Bisio su Zelig. Molto di più in ogni caso di un fondo di Giuliano Ferrara su Novella 2000 o di Vittorio Feltri su Chi.

Non essendo ammessi i fotografi, nel tribunale condominiale di Piano zero, si faceva- su suggerimento del governatore Veltroni - come nei tribunali dell'Oregon: i colpevoli venivano ritratti assieme ai giurati e agli altri membri della corte, solo da un disegnatore.

Vauro era la matita adatta in quanto ritrattista emerito diplomato all'Accademia di Brera.

Ma torniamo a noi, anzi a lui.

Sostenendo le ragioni umanitarie di Marco Pannella, la digiunatrice

Emma Bonino, propose come sede del giudizio universale la corte dei diritti dell'uomo dell'Aja, nei giorni dispari perché quelli pari erano riservati al processo al serbo Karadzic.

L'Aja rifiutò perché i radicali non avevano ancora pagato la fattura dei tulipani serviti per abbellire il salone del loro ultimo congresso ad Amsterdam. Gli olandesi non erano più disposti a fare credito a nessuno, nemmeno al governatore Draghi di Bankitalia.

De Petrus era a corto di idee e di argomenti.

Peccato – pensò – che dopo il processo a Saddam Hussein, Bagdad non sia più disponibile e che dopo la visita del ministro La Russa, neppure i talebani a Kabul siano più disposti a fornire sedi adatte al dibattimento per il nostro piccolo grande accusato Little Big Man.

Il grande inquisitore fu costretto a riconsiderare l'ipotesi di un tribunale nazionale nel Bel Paese.

Milano, la capitale morale dove De Petrus aveva mosso, da neonato, i primi passi camminando a quattro zampe sulle mani pulite, stava preparando l'esposizione universale e non voleva saperne di giudizi universali di nessun genere. Letizia Moratti disse che uno spettacolo così grande, un kolossal da milioni di euro, non tollerava shows concorrenti. Andassero a farsi giudicare altrove.

Brescia, la leonessa d'Italia, ruggendo, disse che i cristiani potevano anche andare a farsi sbranare all'arena di Verona oppure al Colosseo , ma lei non era più disponibile per spettacoli che alla fine stufavano gli spettatori, che chiedevano sempre il rimborso dei biglietti.

Date le difficoltà di trovare una sede adatta per il processo – dopo anche il rifiuto irrevocabile del Tribunale Internazionale dell' Aja – De Petrus al fine di non menare ulteriormente il cane per l'aia, fu costretto a negoziare con gli avvocati della Difesa, la colomba Ghedini ed il falco Pecorella.

Questi ultimi cominciarono ad andare d'accordo ed a sperare nella prescrizione universale.

Venne consultato un altro specialista in rinvii, Angelino Alfano il quale, in Parlamento, stava facendo il gioco del Lodo con un gruppetto di sparuti rappresentanti dell'opposizione e con alcuni turisti giapponesi in visita a Roma. Un fiore di Lodo.

“Carta vince, carta perde. Sono solo tre carte, signori, carta vince e carta perde. Venite a giocare al gioco delle tre carte: dov'è il processo breve nella carta di sinistra, di centro o di destra ? Lei dice di sinistra?

Mi spiace, caro onorevole collega, ha perso. Venite a giocare al gioco delle tre carte... Indovinate dov'è il processo breve, il medio oppure il lungo...sotto quale carta si trova?”

Angelino Alfano per il suo gioco delle tre carte era lodato da tutti, meno che dai giudici della Consulta i quali costituivano però un'eccezione. Tutti gli altri si divertivano da matti.

Secondo la Consulta, invece, il gioco delle tre carte era poco costituzionale, ma per il resto il Lodo Alfano poteva anche andare bene. Così Pier Ferdinando Casini propose semplicemente di renderlo più costituzionale ed il gioco era fatto.

Ravvivando la fiamma nel caminetto della Camera, Sua Sufficienza Gianfranco Fini assieme al caporale Ignazio La Russa – sempre in piena intesa con il saggio del Colle – proposero anch'essi di rendere più costituzionale il gioco delle tre carte.

Angiolino Alfano non era disposto a tanti sacrifici. “Accetterò di rendere più costituzionale il mio gioco se Fini e Berlusconi accorderanno i loro violini. Altrimenti, non c'è armonia. Si va al voto!”

“Sì, ma che sia un voto di castità “ chiese la monaca di Monza, Rosy Bindi.

Marino Marini ed i musicisti del suo complesso democratico affermarono che era un'operazione giusta e pulita e Pierluigi Bersani, il loro direttore d'orchestra avrebbe dovuto prendere esempio da Angiolino. Pierluigi Bersani era impegnato a fare una serenata a suor  Rosy Bindi e si offese moltissimo per le critiche al suo operato da parte di Marino. “Faccio capo orchestra a Montecitorio don Franceschini, così impari! Quanto al voto anticipato meglio non pensarci: ci mancherebbe solo quello con l'aria che tira.”

E poi – dopo una pausa di riflessione perché Bersani era un tipetto riflessivo, hegeliano e riflessivo – sbottò: “Ma insomma, alla musica democratica ci penso io, tanto sta per arrivare il festival di Sanremo e non posso lasciare a Marino le canzoni in genovese per fare bella figura con le giurie padane, le quali voteranno per le canzoni in dialetto. Io e don Franceschini siamo emiliani vogliamo canzoni della nostra terra, del genere Romagna mia bella, in vista delle elezioni regionali. Ci siamo capiti ?” Fini chiese: “Perché votare in anticipo? Non c'è nessun complotto. Io e Napolitano non complottiamo mai. Al massimo, ci facciamo una partita a tre sette.

Per mandare il cavaliere in pensione c'è ancora tempo. D'accordo: è un mistico, ma ce lo vedete voi che va a prendere i voti ?” Infatti, il cavaliere smentì nel modo più categorico la sua intenzione di entrare nella cabina elettorale o di farci entrare i poveri elettori italiani:”In costume da bagno, in questa stagione? Ma siete matti?”

Intanto, gli anni passavano e ne erano trascorsi più di quindici dall'inizio delle procedure depositate presso le procure.

Una montagna di incartamenti processuali. Dotate di modernissimi mezzi tecnologici, le procure della snella, agile e veloce magistratura avevano ingaggiato, Roberto Benigni, il piccolo scrivano fiorentino, per trascrivere i testi stenografati delle udienze.

Durata media dei processi, una ventina d'anni; a volte cinque lustri, raro il mezzo secolo. Quelli condannati all'ergastolo uscivano subito perché avevano già scontato la pena, in attesa della sentenza definitiva della Cassazione.

Primo grado, secondo grado, Cassazione e – non di rado – terzo grado come a Guantanamo. In tutto il mondo c'erano scambi di carte bollate. I generali dell'esercito austriaco avevano appreso con stupore che i brasiliani stavano per estradare Cesare Battisti: forse era evaso, a loro insaputa, dal castello del buon consiglio di Trento, prima della guerra '15-18. Vatti a sapere.

Insomma, ci voleva tempo. Certi processi non finivano mai, anzi non cominciavano neppure. Tanto se non finivano mai, cosa cominciavano a fare ?

Era proprio il tipo di processo nel quale sperava Reo Silvio: il processo lungo come la Quaresima. Per questo Marco Pannella ed Emma Bonino digiunavano, essendo in Quaresima.

Romano Prodi, pedalando sulla sua bicicletta, spiegava ai giornalisti sportivi di Tuttosport e del Corriere dello Sport: “Silvio pedala in vista del traguardo della prescrizione.”

Vi era stato un po' di sbandamento tra i gregari. “Ma il capo vuole il processo di tappa breve oppure lungo ?” chiedeva angosciato Daniele Capezzone, detto la voce del padrone, al quale per non sbagliare dava sempre ragione.

Angela Finocchiaro, minimizzando gli effetti collaterali dell'influenza Marrazzo, gridava a chi voleva sentirla: “Non ci faremo infinocchiare, col trans-ferimento del processo ad una nuova sede, come Brescia.”

La leonessa: “Lo credo bene. Ho già detto di no. Come ve lo devo dire? Con un maxi ruggito ? Non voglio maxi-processi.”

Casini: “Questa legge sul processo breve è una porcheria. Non me la bevo. Non metterò mai più piede alla buvette di Montecitorio.”

Schifani: “Non volevo dirlo, ma certo che fa proprio schifo!”

Bersani: “Nemmeno io me la bevo. E chi sono io per berla ?”

Bonaiuti: “Zitto tu che ti sei bevuto tutte le panzane del post-comunismo.”

Bersani: “Sì, ma non erano ghiacciate come questa legge che vuole congelare i processi. Eppoi, Bonaiuti, fatti gli affari tuoi. Io mi sono bevute le panzane ma erano i tempi del disgelo. ”

“Bei tempi!” disse Massimo D'Alema dal suo trono europeo, da Bruxelles.

Ma, insomma, come dicevano i bravi a Don Franceschini: “Questo processo non s'ha da fare...”

Persino l'inquisitore De Petrus, sempre in piazza anche nella brutta stagione, aveva i suoi grattacapi: “Non ho bisogno di prendere lezioni da De Magistris all'interno della mia squadra. Ho i miei valori!”

Si fa o non si fa, questo benedetto processo al reo, chiedeva la gente  molto annoiata dai racconti dei cappuccetti rossi, vecchi di anni.

“Dobbiamo farla finita!” disse il consiglio delle toghe rosse. “Troviamo una sede processuale e amen!” gridò De Petrus.

Biscardi propose immediatamente il processo del lunedì. La Rai rimise in onda il processo alla tappa. Gigi Proietti propose come tribunale il cinema- teatro Brancaccio di via Merulana, a Roma.

“Troppo vicino a Santa Maria Maggiore – obiettò De Petrus – e lì,si sa, tutti i santi finiscono in gloria.”

Luciana Littizzetto e Fabio Fazio proposero “Che Tempo che fa”.

De Petrus obiettò che come sede giudiziaria “Che tempo che fa” non andava bene perché “quella trasmissione lascia il tempo che trova.”

“Porta a porta - disse ronzando con insistenza Bruno Vespa – per me sarebbe il luogo ideale. Con tutti i processi che ho già celebrato. Che ci vuole ? Chiamo uno psicologo, un criminologo, una magistrata, qualche chilo di giornalisti ed è fatta.”

“Meglio Annozero!” proposero, sogghignando  Santoro, Travaglio e Vauro.

“Dove lo mettiamo Ballarò ?” chiese con petulanza l'editorialista, autore di autorevoli fondi, Maurizio Crozza. “Perché no l'emiciclo di Zelig, chiese molto contrariato Nino Bixio.

“Se è per questo ci sarebbe il mio hotel a cinque stelle!” dichiarò ai cronisti de Il Secolo XIX e di Radio 19 il magnate delle catene alberghiere, Beppe Grillo, il mio blog è anche parlante.”

Massimo D'Alema, dalla reggia di Bruxelles, propose l'atomium, le sfere d'acciaio vuote, raffiguranti atomi di ferro, costruite per una esposizione universale, nel quartiere del Centenario.

“No, l'atomium non va bene, perché gli avvocati raccontano troppe palle e lì troverebbero l'ispirazione.” obiettò, spazientito, De Petrus.

“Venite a chi l'ha visto il processo ?” propose un dirigente Rai- Tv.

“Venite al Tg 5” propose con clemenza Clemente Mimum e, con altrettanta clemenza, Clemente Mastella propose di abbinare i processi: “Quello alla mia Lady innocente e quello al reo.”

Fido Fede assicurò un processo equo e neutrale da parte del Tg 4.

“Striscia la notizia” per voce di Greggio, Iacchetti e del Gabibbo avanzò la propria candidatura, sostenuta da Antonio Ricci, poco convinto dell'offerta: “Poi mi tocca mandargli un tapiro d'oro da Staffelli ” aveva pensato, con un pizzico di avarizia tutta ligure o ingauna. Beppe Grillo che – prima di aprire una catena di hotels a cinque stelle, cioé prima di diventare  miliardario – faceva il clochard a Parigi, sotto i ponti della Senna, propose un ristorante alla moda di Montmartre, gestito da un suo amico, certo Ratatouille. Topo Gigio si disse disposto a sacrificare il dente del giudizio se Bonaiuti gli lasciava fare uno spot alla televisione. Beppe Grillo propose un altro hotel a cinque stelle: La Sirenetta di Copenaghen. “L'imputato dovrebbe trovarsi a suo agio.”   

“Ma no. Ho aperto io un modesto residence a Maranello. Venite tutti nel mio residence, si chiama “Italia Futura”. Facciamo lì un bel processo rapido da formula uno, come quello fatto a Briatore e alla Renault dalla federazione internazionale automobilistica. Ci saranno naturalmente le hostess vestire in rosso in onore del cavallino rampante. Hostess bionde, brune, more di bosco, castagne di stagione.

Venite nel mio residence.” suggerì il gran patron   della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo.

All'apertura del processo a Maranello ci andarono tutti i politici.

Di corsa.   

Il premier fu il primo ad arrivare.

*Franco Ivaldo è giornalista e scrittore. Savonese, ha 69 anni. E' vissuto parecchi anni a Roma ed a Bruxelles. E' autore del libro

Inchiesta sul delitto Pertinace” (Fratelli Frilli Editori.Genova).