TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni I RACCONTI DI CRISTINA RICCI Per sempre
Ricordava ancora la prima volta che era entrato
in quella casa al terzo piano senza ascensore. Un universo di pianeti e meteoriti appariva
nelle galassie formatesi dai raggi di sole che si filtravano attraverso
le persiane prima di andare a formare binari di luce che percorrevano le
pareti. Era rimasto estasiato, ma il miracolo era
durato pochi minuti appena; giusto il tempo che mamma aveva impiegato a
spalancare le finestre. La scena era di colpo cambiata. Per un attimo, aveva socchiuso gli occhi;
abbagliato. Poi, lentamente, li aveva riaperti. L’azzurro aveva riempito il buio di poco prima
e i volteggi della polvere erano svaniti. Ma il miracolo quello no,
quello restava. Aveva solo cambiato forma. Il mare, con la sua presenza,
riempiva le stanze. Sembrava di poterlo toccare allungando appena la
mano. Mamma aveva appena aperto le finestre. La
brezza l’aveva accarezzato; aveva smosso i capelli e il profumo l’aveva
colto di sorpresa circondandolo. Un odore nuovo, mai sentito in città.
Un misto di salsedine e delicate fragranze di salvia e rosmarino. Ma
questo l’avrebbe capito solo più tardi. Ora quella era soltanto “l’aria
buona” quella che il dottore consigliava per farlo crescere, quella che
avrebbe trasformato il mingherlino in un ragazzo come tutti gli altri. Erano passati anni da quel giorno. Quella era
ormai diventata casa sua. Le galassie apparivano ancora ogni mattina.
Dopo aver spento la sveglia gustava ancora la meraviglia infantile e il
buonumore lo accompagnava spesso per il resto della giornata. L’incuria dell’uomo aveva compromesso non poco
la presenza della macchia mediterranea in paese e l’antico profumo si
era fatto a poco a poco più tenue. Durante l’estate, quando il paese si
riempiva di abiti colorati l’odore degli abbronzanti al cocco misto al
fumo dei motori aveva quasi la meglio; ma non lassù. Bastava aprire le finestre, uscire sul
terrazzo, socchiudere gli occhi e tutto tornava come un tempo. Sedendosi
sotto il pergolato l’odore era ancora lì; con la stessa forza e
intensità di allora. Se chiudeva gli occhi, se si lasciava trasportare,
sembrava che il tempo non fosse passato. Poteva ancora sentire le urla del bambino
impaziente che era “Andiamo a fare il bagno?” e il tono stanco di chi lo
rimproverava per l’ennesima volta “Ora riposa. Non sono ancora le
quattro”. A settembre rientrare in città era sempre
triste, quasi doloroso. Il ricordo delle vacanze sfumava a poco a poco.
Andava a pari passo con lo stingersi della sua abbronzatura ma la voglia
di tornare restava. Si rinnovava ogni volta che lo sguardo cadeva sulle
natiche bianco latte sempre pronte a ricordare l’estate finita. Anno dopo anno aveva imparato ad amare il mare,
le lunghe passeggiate in riva, il rumore delicato dell’onda come il suo
ruggito quanto il vento alimentava la mareggiata. Aveva scelto di non rinunciarci, come se la sua
esistenza potesse diventare misera ed insignificante costretta nella
vita di città; rinchiuso in convenzioni che non condivideva. Preconcetti
assurdi che stonavano ai suoi occhi come quei pochi centimetri bianco
latte sul suo corpo abbronzato. Aveva più volte sentito il padre vantarsi per
la lungimiranza di aver saputo vedere lontano. L’acquisto del vecchio
appartamento era stato un vero affare; solo un piccolo insignificante
difetto: quella pianta. Incastonato in mezzo ai tetti, il terrazzo
sembrava voler sovrastare il centro storico e nessuno sapeva
giustificare la presenza di quell’arbusto. Il tronco sembrava essere tutt’uno con il
parapetto; le radici correvano chissà dove e chissà come la pianta
riusciva a sopravvivere. A nulla era valsi gli sforzi per sradicarla. Alla fine si erano arresi. Era successo davanti
a una semplice gemma. Avevano tagliato la chioma, poi il tronco.
Settembre era arrivato e loro erano tornati in città. La sorpresa era
giunta l’anno dopo. Sul moncone c’era un puntolino verde, una semplice
gemma. Sembrava che il miracolo dell’aria buona esistesse davvero. Davanti alla forza della natura nessuno aveva
avuto il coraggio di opporsi. La gemma si era delicatamente dischiusa;
la prima foglia era spuntata dando vita a nuove fronde. Così il cespuglio di cui nessuno conosceva
l’origine ma che tutti ricordavano di aver sempre visto lì
continuò a fiorire negli anni. La vecchia si avvicina alla pianta.
Delicatamente stacca un bocciolo e lo porta via con sé. L’appartamento è
stato venduto a gente nuova, gente di città. Ha radunato le sue misere
cose in una valigia vecchia come lei che i nipoti si sono già premuniti
di portare all’ospizio. Scende per l’ultima volta le scoscese scale
d’ardesia che, negli anni, si è ostinata a rendere lucide. Si chiude per l’ultima volta l’uscio alle
spalle e alza, ancora una volta, gli occhi. Dal parapetto la verde
chioma le regala un ultimo saluto. La brezza si alza e una pioggia
leggera di petali si posa sulla suo capo canuto. Un vecchio ricordo si accende. Il ragazzo cingeva delicatamente le mani di lei
“La guerra finirà presto, vedrai. La prossima volta che tornerò sarà per
sempre. Abbi fiducia e aspettami”. Si era avvicinato e delicatamente le
aveva posato un bacio sulla guancia delicata arrossata dall’arsura della
tramontana. “Tieni, ti ho portato un regalo. E’ solo un seme ma contiene
la forza del mio amore. Piantalo e prima che i fiori siano sbocciati
sarò tornato. Se così non dovesse essere resterò comunque con te per
sempre”. Cristina Ricci
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