versione stampabile Vivere senza lavorare. Utopia?
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M. G. Pellifroni | Una domanda vecchia quanto l’uomo. Le strade per raggiungere lo scopo di vivere a spese altrui sono sostanzialmente due: una legale ed una fuori della legge. I più furbi sono quelli che riescono a rientrare nella prima categoria, partendo comunque sempre dalla seconda: gli inizi dei grandi accentramenti di potere e ricchezze sono sempre oscuri, e i loro protagonisti riescono a riscattarsi soltanto dopo aver compiuto il salto di qualità ed aver promulgato leggi atte a promuoverli al rango di notabili, nobili, sovrani, banchieri. Ciò che accomuna tutti questi personaggi ai vertici della scala sociale è il loro parassitismo, ossia la loro capacità di prelevare risorse dal lavoro dei loro sudditi, oggi chiamati contribuenti. |
Il loro capolavoro è quello
di apparire nella piena legalità, grazie al
fatto che le leggi sono loro a promulgarle,
utilizzando il braccio armato del potere per
combattere la concorrenza di quanti “non ce
l’hanno fatta” e sono rimasti ai piani
inferiori, della criminalità individuale od
organizzata. A differenza di questi ultimi, ai
piani alti non si spara in prima persona, ma
attraverso forze armate regolari; anche se il
fine ultimo è poi sempre lo stesso: spogliare
chi lavora del frutto delle sue fatiche e far
passare questa appropriazione come lecita. Una
appropriazione cui si dà il nome di tassazione. La parte lecita della
tassazione, tuttavia, è solo quella utilizzata
per opere di comune interesse e per il
mantenimento di un organismo pubblico che sappia
oculatamente amministrarla; la parte
parassitaria è quella dedicata agli agi della
classe dominante. La forbice tra queste due
parti si è venuta via via sbilanciando a favore
della seconda, determinando un profondo disagio
sociale, oggi giunto alla sua forma più acuta. Al di sopra del parassitismo
di stato opera, assai più discretamente, quello
bancario, connotato da una doppia furbizia,
avendo trovato il modo di rendere subalterna la
classe politica e farsi da questa legalizzare
l’intrinseca illegalità alla base del suo
meccanismo operativo: in sostanza il signoraggio
primario e secondario (rimando ai miei articoli
sul tema nell’archivio di
www.truciolisavonesi.it). Le banche hanno davvero
trovato il modo di riversare, in forma occulta
ai più, il frutto del lavoro delle nazioni non
già nei loro bilanci, ma in una contabilità
parallela, che ha avuto sinora sbocco,
attraverso canali riservati, nei cosiddetti
paradisi fiscali, dai quali poi rientra per
l’acquisto, attraverso le multinazionali, di
fette crescenti delle attività produttive. |
I paradisi fiscali sono nazioni, di dimensioni territoriali da ridotte a minuscole, che hanno deciso di praticare il parassitismo, anziché sulle proprie popolazioni, su quelle straniere. Come? Trasformandosi esse stesse in agglomerati bancari i cui depositi sono caratterizzati da imposte irrisorie rispetto a quelle degli stati di provenienza e dalla indulgente chiusura di entrambi gli occhi sulla loro natura. Tutto nella piena legalità locale, trattandosi di stati sovrani e quindi liberi di dotarsi delle leggi che più gli convengono. La contraddizione è che questa indulgenza conveniva anche agli stati di provenienza dei capitali, in quanto i loro proprietari erano quegli stessi che avevano varato leggi fiscali sempre più severe nel tentativo velleitario di catturare, attraverso le tasse, sempre più risorse dalla maggioranza produttiva della nazione per compensare la propria voracità. |
Ho usato l’imperfetto, in
quanto ultimamente gli stati produttori hanno,
almeno a parole, dichiarato guerra agli
staterelli “canaglia”, per evitare il
perpetuarsi dell’espatrio di capitali. Autogol?
Difficile da credere, perché questa
“conversione” troncherebbe la stessa ragion
d’essere della finanza creativa, ossia del furto
di denaro alla collettività, se venisse a
mancare un luogo di ricettazione e “lavaggio”
dei profitti evasi. Staremo a vedere.
L’elenco degli staterelli è lungo, ma stupisce i
più ingenui trovarvi in posizione primaria la
banca del Vaticano, l’IOR, Istituto per le Opere
di Religione, generosamente aperto per decenni,
in contrasto col suo stesso statuto, ad entità
esterne che nulla avevano a che fare con È necessario a questo punto
un inciso. All’interno delle forme di
parassitismo legalizzato si distinguono due
sottoclassi: quella laica, cui ho sopra
accennato, e quella spirituale, che fa appello
alla metafisica e all’inclinazione dell’uomo di
ricorrere ad enti intermedi tra lui stesso e la
divinità. Questo bisogno intimo, presente nei
più, è stato abilmente sfruttato nei millenni
dalle caste sacerdotali, le quali, vantando
arcane ed esclusive doti di contatto con
l’aldilà, nonché il possesso delle chiavi per
consentirne l’accesso ai propri fedeli, hanno da
sempre prosperato su questa aspirazione
dell’uomo verso la trascendenza, accumulando nel
tempo immense ricchezze attraverso donazioni e
lasciti testamentari, assimilabili a
circonvenzioni di massa, ma intesi dai donatori
come “pedaggi” per il paradiso, ultraterreno
stavolta. (Secoli fa si chiamavano indulgenze e
furono la causa prima della Riforma protestante
di Lutero). |
Il secolo XX,
con la sua rivoluzione scientifica, ha ridotto
grandemente la mole di queste appropriazioni,
così da spingere il clero a dover escogitare
altre forme di sussistenza. Dapprima il
concordato del 1929 tra santa sede e stato
italiano, che ne riconosceva la completa
sovranità sul suo minuscolo territorio,
schermandolo quindi da eventuali indagini
giudiziarie; e poi le modifiche del 1985, con il
sussidio dell’otto per mille, hanno in modo
diverso permesso al Vaticano di sopperire alle
decrescenti entrate dei sempre più secolarizzati
fedeli. Soprattutto l’extra-territorialità e la
natura di vera e propria fortezza inviolabile
alle forze dell’ordine e alla magistratura
italiane, nonché l’esempio di altri piccoli
stati che, dall’iniziale vocazione agricola e
poi turistica, erano passati a quella
finanziaria (vedi, per non andar troppo lontano,
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Con parecchi vantaggi in
più rispetto agli altri staterelli: come
l’essere al servizio di un’entità, Sulla base dei suddetti
vantaggi, negli anni ’70 si aprì per l’IOR il
periodo, dapprima aureo e poi sempre più
burrascoso, dei traffici con faccendieri in
odore di mafia o P2, come Sindona, Calvi, Gelli,
ecc., che proseguì, dopo una breve pausa di
leccamento delle ferite all’immagine della
Chiesa, con l’era tangentizia, che raggiunse il
suo apice negli anni ’80 con la maxi tangente
Enimont, transitata in parte per le casse
dell’IOR, e proseguì negli anni ’90, con
l’imbarazzante catena di ripetute rogatorie
spiccate dal pool di Mani Pulite. Rogatorie che
adombravano l’esistenza di una “lavanderia” di
denaro di dubbia provenienza nel cuore stesso di
Roma attraverso tutti quegli anni. Come ho succintamente
illustrato, la tentazione di vivere “a sbafo”,
che Dante avrebbe ascritto al girone degli
avari, è una delle più forti che il diavolo
esercita (seconda solo alla tentazione della
carne, la lussuria), ed evidentemente neppure
gli esorcisti in abito talare riescono a
fugarla. Sembra che papa Lucani fosse fermamente
intenzionato a porre fine alle acrobazie
finanziarie dell’epoca avviata da monsignor
Marcinkus, ma l’uomo ebbe letteralmente vita
breve, morendo nemmeno un mese dopo la sua
elezione a pontefice in circostanze quanto meno
sospette. Per concludere, l’avvento del
denaro ha consentito ad una ristretta cerchia di
individui di raggiungere l’ancestrale scopo di
vivere facendo lavorare altri al loro posto. Chi
ci è riuscito meglio di tutti sono stati in
tempi remoti i monarchi assoluti, con il loro
corteggio di nobili; e in tempi moderni i
banchieri, dapprima su scale nazionali, e infine
su scala planetaria, con vassalli più consoni ai
tempi, scelti tra i politici. * V. il recente libro di
Gianluigi Nuzzi “Vaticano SpA”, Settembre 2009,
8^ edizione Marco Giacinto Pellifroni
8 novembre 2009 |