Europa Horror. Tutti gli agghiaccianti retroscena
NON VOGLIONO
IL
CROCEFISSO NELLE SCUOLE
di
FRANCO IVALDO
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Strasburgo,
novembre 2009 - Questa storia agghiacciante mi è
stata narrata da un commerciante genovese,
recatosi recentemente a Strasburgo, la città
alsaziana delle cicogne, sede del Parlamento
europeo e della Corte europea dei diritti
dell'uomo. E' meglio che la riferisca con le
stesse veritiere parole usate dall'uomo
d'affari. Eccola: |
Carletto disse “Vogliamo
invitarli a cena ?”
“Ma certo.” - dissi io.
Ci facemmo loro incontro.
Carletto ne aveva conosciuti alcuni, in
Transilvania, come mi raccontò in seguito.
Vi furono le presentazioni,
scambio di cortesie e – siccome era ormai giunta
l'ora di cena – l'invito alla riunione
conviviale, accettato di buona grazia dai
giudici che si dichiararono lieti ed onorati di
cenare con noi per approfondire la conoscenza.
Erano di varie nazionalità europee. Tutti
nord-europei, alcuni dell'est, come ho già
detto.
“Qui a Strasburgo – proposi
io – c'è un ristorante italiano che fa delle
trenette al pesto che sono la fine del mondo. Ci
stavamo andando, se a voi va bene...”
Entrammo, dunque, nel
ristorante “U' Ciuppin” tenuto da discendenti di
un cuoco genovese che era emigrato in
Alsazia-Lorena, stabilendosi poi a Strasburgo.
Dopo alcuni antipasti a base
di trota a salmone, annaffiati da vini
bianchi del Reno e della Mosella,
ordinammo il primo piatto: le mitiche trenette
al pesto.
Ci mettemmo a mangiare di
buona lena. Ma dopo le prime forchettate di
trenette al pesto, i sette giudici – la
presidentessa fiamminga per prima – scattarono
in piedi, pallidissimi in volto, di un pallore
direi terreo quasi cadaverico, rovesciando
bicchieri e posate e gridando con toni
atterriti: “Qui, c'è dell'aglio!”
Noi, cercando di mantenere
la calma, spiegammo: “Beh, sì, cari amici.
Altrimenti che pesto sarebbe. E' una ricetta
ligure. Aglio, olio vergine purissimo di oliva,
basilico possibilmente di Prà e formaggio
sardo-sardo...”
I giudici della corte
europea non erano rimasti a sentire le nostre
spiegazioni, non aspettarono il resto del menù.
Fuggirono, con aria terrorizzata, verso l'uscita
del locale senza dare spiegazioni con i volti
bianchissimi, anemici, ed una espressione
spaventatissima negli sguardi. Non ci salutarono
neppure.
“Non hanno aspettato le
belle bistecche al sangue che avevano appena
ordinate.” disse con disappunto Carletto.
“E no. Chissà cosa hanno
contro l'aglio...” dissi io.
Ci era passato l'appetito.
Pagammo il conto, ci scusammo col ristoratore e
ci avviammo anche noi all'uscita, tristi e
sconsolati. Affamati, per giunta, perché non
avevamo toccato cibo ed erano andate sprecate –
delitto imperdonabile – le belle, fumanti,
trenette al pesto che dicevano una sola cosa:
“Mangiami!”
Maledetto aglio! Eppure
dicono che fa così bene.
“Questa sì che è sfortuna –
dissi all'amico – però potevano anche avvertirci
della loro allergia. Collettiva per giunta!
Davvero strano...”
Rimasti a stomaco vuoto,
avendo divorato solo gli antipasti, ci
accingemmo a fare un giro per la bella città.
Sapete, se si salta la cena, è difficile che
venga sonno. Gira di qua e gira di la. Facemmo
le ore piccole, vedendo monumenti e cose molto
interessanti.
Giungemmo così in una zona
un po' periferica, nei pressi di un antico
cimitero
ormai abbandonato.
Rimanevano, però, bene in vista tombe e lapidi.
Sorpresa! Lungo il viale del
camposanto scorgemmo i giudici che parlottavano
tra loro, sotto un cipresso. |
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Bentrovati!” esclamò il mio
amico Carletto – siamo davvero spiacenti per ciò
che è accaduto al ristorante. Magari se domani
sera siete liberi, si potrebbe organizzare
un'altra cenetta conviviale. Vi andrebbero dei
gamberoni all'aglio
Oppure, spaghetti aglio, olio, e
peperoncino... Oh, pardon...” esclamò di colpo,
rendendosi conto della tremenda gaffe.
“Ma che cavolo dici ?” avevo
esclamato io, dandogli una gomitata nei fianchi.
I giudici parvero non farci
caso. Sorrisero forzatamente, mostrando dei
denti bianchissimi con i canini un po'
pronunciati a dire il vero. Anche la
presidentessa. Non ci avevo fatto caso, prima.
Anche perché ridevano così poco.
Ma sembravano impazienti di
andarsene a riposare.
Comunque, il più anziano
concesse: “Se riuscissimo a trovare qualche
piatto senza aglio – disse – forse potremmo
cenare ben volentieri con voi, domani sera.
Magari,potremmo ordinare qualche bel
sanguinaccio...” |
“A proposito che ora è ? -
chiese il magistrato europeo più giovane –
perché si è fatto tardi...”
“Caspita! - esclamò
Carletto, dando un'occhiata all'orologio da
polso – sono quasi le cinque e mezza del
mattino...”
“A che ora si leva il sole
?” chiese uno dei giudici con aria angosciata.
“Beh non saprei -risposi –
eppoi, qui a Strasburgo, lo sapete il sole
quando lo vedono ? Piove quasi sempre...”
“E' l'alba e sta per sorgere
il sole... “ urlò un altro giudice, rivolto ai
suoi colleghi.
Tutti e sette fuggirono a
gambe levate verso l'ingresso del cimitero,
senza neppure degnarci di un cenno di saluto di
commiato. Solo il più anziano, forse rendendosi
conto della brutta figura si
voltò, urlando al nostro indirizzo:
“Dobbiamo proprio ritirarci. Sapete siamo
abituati a coricarci presto. In ogni caso, prima
del canto del gallo e prima del sorgere del
sole. Ci corichiamo all'alba e ci alziamo al
tramonto. Addio!”
Sparirono tutti e sette,
dietro il muro del cimitero abbandonato,
perdendosi tra le pietre tombali.
“ Ma che vanno a dormire
tutti assieme ? “- mi chiese Carletto.
“E che ne so, scusa. Forse
abitano nei paraggi, anche se la zona mi sembra
un pochino desolata. Per dei giudici, pensavo a
quartieri più eleganti. Magari in centro.
Invece, erano tutti qui attorno al vetusto
camposanto quasi medioevale.
Bah! Eppoi che strani orari
di lavoro hanno questi magistrati. Si coricano
all'alba e si alzano al tramonto. Forse i
tribunali alsaziani lavorano solo la sera e,
forse, in seduta notturna come i ministri della
UE quando, per mettersi d'accordo e raggiungere
un compromesso su qualcosa, ad esempio sul
prezzo comune delle caldarroste, fanno le
maratone notturne. Vatti a sapere.”
“Per me è insonnia. “
rispose Carletto.
“Dimmi un pò, da dove hai
detto che vengono alcuni di loro ?”
“Io ne ho conosciuti due in
Transilvania...”
“E come si chiamano, te lo
ricordi ?”
“Draculescu
de' Draculeschi, uno. Di famiglia nobile. Mi
pare che i suoi avi fossero dei conti o dei
marchesi...”
“E l'altro ?”
“Nosferatu
de' Nosferati, mi sembra, anche lui di famiglia
aristocratica. Sì i conti Nosferati. Insomma,
sangue blu.”
“Va beh, torniamocene
all'hotel. Li rivedremo prima di ripartire
forse. Bella serata che abbiamo trascorso...”
Non li rivedemmo mai più. Ma
prima di tornare a Genova assieme alla comitiva
di commercianti – concluso per tutti il viaggio
di affari – una terribile notizia ci illuminò di
colpo sulla vicenda che avevamo vissuto e sui
fatti dall'apparenza banale che ci erano
accaduti.
L'agghiacciante annuncio era
sulle prime pagine di tutti i quotidiani dell'Alsazia-Lorena.
I giudici della corte europea, i nostri amici di
quella sera, avevano emesso una storica sentenza
che doveva fare parecchio rumore in Vaticano.
“Via i crocifissi dalle aule
scolastiche di tutta Europa, Italia compresa,
anzi Italia per prima!” |
Carletto ed io non osavamo
più profferire parola. Ritrovandoci nella hall
dell'albergo, dopo la piccola colazione, ci
guardavamo in faccia, attoniti, increduli. Fuori
dell'albergo pioveva a dirotto. L'atmosfera era
plumbea, grigia, cupa, sinistra. Si udivano in
lontananza i rintocchi della cattedrale gotica.
“Nel Medioevo – si decise a
dire Carletto – uccidevano i vampiri nelle loro
tombe, piantando loro un paletto di acero nel
cuore. Era l'unico modo di liberarsene...”
“Perché diavolo mi parli dei
vampiri ?” gli chiesi, rabbrividendo, in quando
sapevo benissimo di cosa stavamo parlando e a
cosa pensavamo entrambi.
Poi sbottai : “Pensi anche
tu quello che penso io ?” gli chiesi.
“E come diavolo faccio a non
pensarci, porca miseria! Non sopportano neppure
l'odore dell'aglio, scappano prima del levar del
sole e sono allergici, soprattutto, ai
crocifissi che vogliono persino togliere dalle
scuole.”
“Non ne sopportano la vista.
Va de retro Satana! Ricordi ?”
“Appunto, dico! Che vuoi di
più ?” |
Risalimmo di corsa nelle
nostre stanze, facemmo in fretta e furia i
bagagli. Dopo un quarto d'ora, eravamo lì nella
hall a pagare i nostri conti. Chiamammo al volo
un taxi. “All'aeroporto, presto!” ordinammo.
Ci precipitammo a bordo del
velivolo, primi tra tutti i passeggeri.
Affari a Strasburgo ? Mai
più in vita nostra. Poco, ma sicuro.”
Ecco, in tutto il suo
allucinante e crudo realismo, la drammatica
narrazione così come mi è stata fatta dal
commerciante genovese. Un racconto surreale. Ma
la sentenza contro i crocifissi nelle scuole ci
fu davvero. Eppoi, i giudici esagerarono.
Pretesero di portare l'anti-crociata
uber alles.
Ovunque nel mondo. Così, spingendosi forse
troppo oltre proibirono tutte le croci. Cominciarono dalla croce latina dei cristiani, ma
non si fermarono lì. Ordinarono, dopo un paio di
sedute notturne, la rimozione delle croci
seguenti: celtica, greca, croce di Malta, croce
russa, croce rossa, croce bianca, croce verde,
croce di Sant'Andrea (persino dai cartelli
stradali con grande confusione per gli
automobilisti). Insomma, tutte. Ma quando
vollero togliere anche la croce di Lorena,
simbolo gollista per eccellenza, in
Alsazia-Lorena , i contadini che avevano
combattuto assieme al generale Charles De
Gaulle, contro quelli della croce uncinata, la
svastica, si ribellarono. Armati di forconi e di
tridenti, presi nei fienili, si misero a caccia
dei giudici per dare loro una bella lezione. I
giudici dal canto loro avrebbero voluto
proseguire la battaglia togliendo le croci
persino dalle bandiere scandinave, norvegese,
svedese, danese e finlandese. Questa ultima
pretesa gettò nello sconforto la signora
finlandese che aveva presentato l'istanza presso
il tribunale europeo.”Volevo far togliere il
crocefisso dalle scuole italiane – esclamò la
finlandese –
non la croce dalla bandiera del mio
Paese!”. Ma i giudici, imperterriti volevano
strapparla da tutti i vessilli che ce l'
avevano, comprese le bandiere dei comuni (
Genova, croce rossa in campo bianco; Albenga,
croce rossa in campo giallo e via dicendo). Il
popolo era esasperato. Come reagì la gente nel
resto dell'Europa?
Lo sapete no. Da Roma a
Bruxelles, da Parigi a Stoccolma, da Lisbona ad
Atene.
Tutti quanti, non solo
lasciarono i crocifissi nelle scuole, anzi
raddoppiarono il loro numero distribuendoli ai
negozi di barbiere, ai panettieri, alle manicure
e pedicure, ai dentisti, alle sarte, negli asili
infantili. In più,
non c'era finestra di una casa europea
che non avesse mazzi d'aglio alle finestre,
soprattutto all'imbrunire, quando calava il sole
e si sentiva in lontananza l'ululato spaventoso
dei lupi mannari, il gracchiare dei corvi ed il
grido acuto e sinistro delle civette.
I preti dovettero fare gli
straordinari, improvvisandosi esorcisti, per
pronunciare formule di rito del tipo :”Va de
retro Satana. Mefistofele o Belzebù, Satanasso o
Lucifero, come diavolo ti chiami, esci
dal corpo di questa giovane escort !”
Gli abitanti di Strasburgo,
muniti di paletti di acero, si aggiravano, nelle
notti di plenilunio,
tra le tombe
dei camposanti alla ricerca dei giudici.
Ma di loro non si ebbero mai più notizie certe.
Il commissario della polizia rumena, Acchiappalu
Silupescu, dette loro la caccia inutilmente.
Forse almeno due – Draculescu e Nosferatu -
erano tornati in Transilvania, paese dal
quale giunse – un giorno - a Palazzo Berlaymont,
sede dell'Esecutivo Ue, una richiesta -scritta
su una antica pergamena -
che sollecitava l' adesione, assieme alla
domanda ormai annosa della Turchia,
all'Unione europea.
La domanda della
Transilvania venne naturalmente accolta.
Quella della Turchia,
invece, alla fine venne respinta.
“Abbiamo già abbastanza
croci...” dissero i Ventisette dell'Unione
Europea, che avevano appena eletto il
pontefice Massimo D'Alema come loro
ministro degli Esteri, in virtù della ratifica
del Trattato di Lisbona.
Il Massimo Pontefice era
stato sostenuto a spada tratta dal Cavaliere
Templare che, per l'appunto indossava la veste
bianca immacolata con la croce rossa dei
Templari.
Insomma, per farla breve, ai
Turchi, l'Ue disse di no.
“Abbiamo già troppe croci da
portare sulle spalle per aggiungerci anche la
Stella e la Mezzaluna bianche in campo rosso. Ci
dispiace per voi, ma ripassate un'altra volta.
Adesso, non è proprio aria ” dissero al deluso
governo di Ankara.
“Al massimo – propose il
supremo ministro degli Esteri ai partners
europei – potremmo accettare una falce e
martello con una stellina, tutte bianche in
campo rosso. Fate un po' voi...”
Franco Ivaldo
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