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<Diciamo le cose come stanno, ad iniziare dalle elezioni regionali del 2010>

Partitini e uffici di collocamento

Chi vive di politica e non per la politica

La proposta? Rinunciare alla Regione e darsi “appuntamento” per il 2013

   di Franco Astengo

E' probabile che le affermazioni che seguiranno nel corso di queste brevi note appariranno troppo brutali e di difficile pubblicazione in tempi di politically correct (una moda che, per fortuna, la destra italiana sta superando contagiando anche gli altri...): pur tuttavia riteniamo che, rispetto alle alterne vicende della sinistra extraparlamentare (non dimentichiamolo!) italiana, sia necessario sviluppare alcuni punti chiari di analisi, cercando di dire le cose come stanno.

Il rapporto tra politica e società, partiti e militanza, ruoli organizzativi e ruoli istituzionali, progetto e pratica quotidiana, si è ormai completamente rovesciato rispetto all'epoca in cui noi, ormai di una certa età, abbiamo cominciato a occuparci di queste cose.

Si tratta di un “refrain” già sentito da tempo, ma è bene sintetizzarlo e riuscire, una volta per tutte, a socializzarlo a largo raggio.

Le difficoltà a costituire un nuovo partito di sinistra (come doveva essere il caso di “Sinistra e Libertà”), oppure a promuovere un dialogo tra le diverse componenti, oggi separate ed arroccate sui rispettivi principi identitari, che avevano contribuito al disastro delle elezioni del 2008 (Arcobaleno e altri gruppetti..) derivano essenzialmente dal dato che stiamo per esporre: quello della politica intesa come professione da svolgere vita natural durante e dalla quale trarre non solo e semplicemente un dato di sostentamento materiale (ricordate i funzionari del PCI pagati con la V super dei metalmeccanici ed i Sindaci delle grandi città che avevano una indennità collocata al di sotto di quella cifra, così che il partito doveva provvedere all'integrazione) ma benefici ben più ampi, sul terreno economico e su quello dello status sociale (entrare, a vita, come si diceva in un circolo di privilegiati).

La situazione italiana, sotto questo aspetto, di chi “vive di politica” e non “per la politica” va ormai, da anni, ben oltre la teoria dell'elites, Michels, Pareto, Mosca, Weber e quant'altri: teoria delle elites, del resto, indispensabile da applicare quando si intende reggere l'ipotesi di un grande partito ad integrazione di massa.

Nel nostro caso, invece, ci troveremmo con partitini dalla funzione, sostanzialmente, di uffici di collocamento.

La situazione della sinistra italiana è ben diversa insomma, da quella descritta dai grandi maestri della politologia di inizio secolo XX, e la corsa che si sta verificando verso le riconferme o  le autopromozioni in direzione delle elezioni Regionali (la Regione è una delle sedi privilegiate di quei benefici economici e quant'altro, cui abbiamo già accennato) appare emblematica: restiamo a “Sinistra Libertà”, perché tutti i posizionamenti in  corso, gli scarti, le prese di posizione, gli arretramenti rispetto all'idea di andare verso la formazione di un nuovo soggetto politico, derivano quasi completamente dall'eventualità del posizionamento o meno di alcuni personaggi all'interno di questo scenario (la Puglia, piuttosto che la Toscana, l'Emilia piuttosto che la Liguria, regione dove i coordinatori regionali mai eletti hanno già stretto l'accordo con il centrosinistra imbarcando un ex-assessore socialista, che siede in Regione dal 1985). Analoghe manovre, ovviamente, si stanno realizzando anche sul fronte della cosiddetta “Lista dei Comunisti”.

Questi casi (le Regioni rappresentano l'ultima spiaggia dopo l'uscita dal Parlamento italiano e da quello europeo) dimostrano come la volontà pervicace è appunto quella di avere soggetti composto essenzialmente da “professionisti”, lasciando la militanza nella marginalità, a supporto appunto di “leader” e “leaderini” che arrivano da lontano e intendono andare lontano.

Questo fenomeno ha origini concrete, e non è soltanto frutto di una volontà negativa: la riflessione va appuntata sul cedimento, realizzato da molti anni almeno a partire dalla “fase di transizione” italiana dei primi anni '90 caratterizzata dal passaggio tra sistema elettorale proporzionale e sistema elettorale maggioritario, al riguardo dello spostamento della sede di formazione legislativa e delle politiche pubbliche dai consessi elettivi (Parlamento, Consigli Regionali, Comunali, ecc..) agli Esecutivi (Governo, Giunte) con il passaggio della guida di questi ultimi, sostanzialmente,a  figure monocratiche ( si è arrivati a sfiorare la violazione costituzionale consentendo l'indicazione del “capo della coalizione” sulle schede delle elezioni politiche; si è proceduto all'elezione diretta di Sindaci, Presidenti di Provincia, Presidenti di Regione: con l'aggiunta, per queste figure, della possibilità di scegliere direttamente i componenti delle giunte e di creare propri “staff” trasformatisi  in centri di potere parallelo a quelli istituzionalmente definiti).

Non apro il discorso sul passaggio relativo all'utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa per ragioni di economia del discorso: non tutte le responsabilità, in questo senso, vanno demandate all'Uomo Nero verso il quale si puntano tutti gli strali; occorrerebbe una riflessione ben più ampia ed approfondita sull'idea della personalizzazione oggi, dell'apparire in luogo dell'essere, sulle “vocazioni maggioritarie” costruite, appunto, attraverso una certa idea della comunicazione.

I militanti sono ormai in via di sostituzione con il “popolo delle primarie”, all'interno di un discorso di dialogo diretto “candidati/masse” (chi ha determinato i candidati, però, resta un fatto misterioso): la gente va a votare ogni tanto, per scegliere questo o quello e l'attività di partito si riduce a montare e smontare i gazebo e a contare le schede.

Anche in questo caso la riflessione andrebbe aperta sulla reale valenza democratica di questo tipo di primarie, tutte giocate – appunto – sull'immagine, sugli slogan più o meno scanditi, sugli annunci ad effetto.

Una possibile realtà di un nuovo partito di sinistra che puntasse a raccogliere le tante compagne e i tanti compagni sparsi per l'Italia e smarriti di fronte a questi fenomeni e sottoposti all'attacco, nelle loro condizioni materiali di vita sociale e di espressione democratica, di una destra sulla quale il giudizio non può che essere di vero e proprio allarme, dovrebbe puntare al rovesciamento di questo stato di cose, proprio sotto l'aspetto dell'agire politico.

Proprio il terreno della forma della politica potrebbe rappresentare il punto di partenza per una stagione diversa, da costruire, certo con grande fatica e grandi contraddizioni.

Ribadisco la mia proposta, rivolta alle forze che si sono chiamate in causa: costruzione di una platea di militanti attraverso adesioni individuali, elezione attraverso assemblee provinciali di 100 delegati da mettere al lavoro in due-tre mesi per elaborare progetto politico, documento programmatico, schema organizzativo, statuto: congresso costitutivo nel giro di pochi mesi.

Le elezioni regionali sono un giro che si può anche saltare, anche per azzerare completamente le posizioni di privilegio (che fanno agio, voglio dirlo chiaramente, con la capacità di incidenza nelle istituzioni di determinati personaggi: pensiamo alla presenza del PRC in certe giunte...), per puntare ad un obiettivo ben più importante: la costruzione di un partito ad integrazione di massa che parta dalla propria autonomia e da lì si misuri con il tema delle alleanze e del governo. Un partito ad integrazione di massa strutturato in maniera del tutto controcorrente – ripeto  - rispetto al panorama corrente.

L'altro obiettivo deve essere quello del rientro della sinistra in Parlamento nel 2013, non semplicemente superando lo sbarramento del 4%, ma attraverso una affermazione elettoralmente consistente, derivante da un ritrovato radicamento sociale e da una effettiva capacità di rappresentanza politica.

Rientro in Parlamento del tutto indispensabile se vogliamo far sì che i nostri contenuti (sui quali non mi sono soffermato, ma in questi mesi, proprio a livello parlamentare ne abbiamo viste di tutti i colori: scudo fiscale, temi riguardanti la laicità dello Stato, ora vedremo il rifinanziamento delle missioni all'estero...) siano vissuti come “effettivamente” politici.

Scusatemi il tono.

Savona, 5 Novembre 2009                                                       Franco Astengo