TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
STORIA SURREALISTA DI ROMA NEL
BASSO IMPERO LA VITA E LE GESTA DI DIVO REO SILVIUS DUX di Franco Ivaldo Tratto da un Acta Diurna
dello scriba Publius Franciscus Ivaldus Sempronius Tranquillus Narrano gli Annali di Tacitus, che Divo Reo
Silvius Dux, verso le Idi di Marzo - dopo aver letto un acta diurna
scritto da Invictus Feltrus – ebbe sentore di un complotto ordito ai
suoi danni da un gruppo di senatori del partito restauratore di
vecchie oligarchie repubblicane, che volevano abbattere l'edificio dei
Cesari e ristabilire, per l'appunto, le antiche virtù della repubblica
dei padri fondatori, eliminando il cesarismo del basso impero. Che già
la parola “basso” a Divo Reo Silvius Dux lo mandava in bestia. Guardati dalle calende di Ottobre .” Aveva ammonito l'oracolo Emilius Fidus che come le tre scimmie dei gialli, era muto, sordo e cieco, ma il pericolo di ribaltoni lo fiutava a chilometri di distanza. La sibilla aveva ampiamente confermato il
vaticinio, essendo solita frequentare le stanze del potere come le
vergini vestali, nel tempio SPQR del circo Flaminio,
bianco-azzurre e giallo-rosse vestite. Divo Reo Silvius Dux , da quando aveva
strappato nuovamente la porpora, lo scettro e la corona d'alloro a
Probus Produs Virus Romanus, caduto sotto i colpi di pugnale di
Clementius Mastellus e di altri congiurati, proprio lì, in Senato, sotto
la statua di Padoa Schioppa, Reo Silvius, dicevo, era diventato
insolitamente sospettoso e diffidente. Guardava storto tutto e tutti.
Non si fidava più di nessuno e faceva assaggiare le coppe di champagne
ai consiglieri più vicini, Paolus Bonaiutus e Publio Gianus Lectus. Pretendeva di essere sempre attorniato da “
escort” di valchirie germaniche e di amazzoni fenicie, tutte
guardie del corpo in gonnellino rosso, armate fino ai denti, che – per
quanto sorridessero a tutta bocca – i denti non erano l'unica cosa che
avevano sempre bene in mostra. Poi c'erano i pretoriani del prefetto Maronius,
le legioni di Ignatius il condottiero, i guerrieri barbari e celtici
delle verdi foreste di querce, comandati dal druido della Padania (“Ite
sul Colle o druidi” ) ed arringati dalla vestale rossonera, la
sacerdotessa di Mediolanum, la possente Norma Brambilla con la corona di
verbena che le cingeva la chioma rossa. Aveva, particolarmente, timore Dux di
congiure come quella che avrebbero potuto ordire i Triumviri dei patrizi
e della plebe (SopraFinus ,Enricus Lettas et Casinis). C'era un
manovratore occulto – sospettava Dux – un deus ex machina, proprietario
di una scuderia di bighe da corsa, certo Luca Corderus de Prezzemolus.
Infatti, Prezzemolus era dappertutto e, allo stesso tempo, non lo
si vedeva da nessuna parte. Un po' come il fantasma di Amleto. Essendo
dappertutto, aveva l'ambizione di coprire l'intero spettro politico
futuro. La sua fondazione “Urbe Futura” apparente “ufficio studi” era in
realtà – almeno secondo le informazioni dei servizi segreti di Silvius –
un vero e proprio covo di cospiratori, ispirati dalle vecchie virtù
dell' ancien regime, quello dei dolci Savoiardi della premiata
ditta torinese, Sabaudia. “Di quello proprio non mi fido. Mi ricorda
troppo la congiura di Ferrarina! Eh ma io quelli li tengo d'occhio, mica
so scemo! Cribbio, mi consenta. Ghe pensi mi! Comunque, devo
consultarmi prima con i miei più fidati consiglieri. ” Consultò, Julianus Ferrarelle , un gallico
sapiente e saggio dalle idee frizzanti. “Se non puoi batterli – suggerì
il fine politologo – comprateli !” Silvius cominciò a staccare assegni al
portatore ed a distribuirli a destra e a manca, ai giuristi, ai
giureconsulti, ai legislatori, ai gazzettieri, agli azzeccagarbugli,
agli scriba, agli attori del teatro tragico e di quello comico (in
fondo, in gioventù era stato uno di loro), ai registi dei kolossal di
Cecchi Gori, ai tribuni , ai littori, alle vestali, ai calciatori
rossoneri, a Kakà. Fece confusione e distribuì qualche sesterzio di
troppo a chi proprio non poteva accettarli. Corruzione ? No, che
parolone. Semplice sbadataggine. Era così distratto, così nonchalant,
come tutti i veri aristocratici. Altro che parvenu! Tuttavia, il Supremo Inappellabile Tribunale
dell'Urbe lo condannò a risarcire uno dei suoi antichi rivali nella
corsa alla corona d'alloro, Regius Carlus de Benedictis, governatore di
Ivrea, che per consolarsi dalla perdita della corona d'alloro si era
cinto, per qualche tempo, il capo con la corona di Olivettus, uno dei
simboli onorifici più ambiti della Res Publica. Ma per il potere
centrale l'orizzonte si incupiva di nubi sempre più nere e minacciose.
Un impero troppo vasto ed irrequieto. Moti popolari, insurrezioni,
proteste in piazza delle legioni rosa di Gaius e della inquietante
Luxuria, con la Gazzetta dello Sport (la mitica Rosea) sotto il
braccio per fare bene informata nei circoli calcistici che contavano; e
ancora: le Primarie del PD (con la minaccia di spedizioni delle camice
rosse del generale Marinus alla testa dei Mille, dallo Scoglio di
Quarto). Con gli esorcismi di Mago Mefistus Bersani. Insomma, un caos.
Una vera Infernalia, con la cospirazione delle mezze calzette turchesi
della Fata Turchina. Eppoi c'erano i catoni censori di Bruxelles, con le
loro lagne di austerità: attenti a non sfondare il tetto del disavanzo
deficit-Pil. Ma quale tetto, che questo è diventato un impero di
senzatetto. Per uscire dalla situazione di stallo, e
dall'incertezza er dux ebbe una pensata, ma che dico una pensata,
una idea luminosa. Non per nulla aveva privatizzato l' Enel. La
miglior difesa è l'attacco, si disse, seguendo le massime del capo dei
gladiatori, Trapattoni . Senza porre indugi, direi quasi seduta stante,
convocò l'ambasciatore d'Egitto e si fece spiegare come avevano fatto i
faraoni a fare tante opere faraoniche, appunto. “Vuole fare una piramide ?” gli chiese il
diplomatico. “Ma quale piramide d'Egitto! Quelle ce l'avete
già voi. Bastano e avanzano, considerando quella davanti al Louvre a
Parigi. No, qui, ci vuole un'altra opera faraonica. Lasciatemi
riflettere per uno o due anni.” Pensa e ripensa nel pensatoio di Brunus Vispus.
Non gli veniva in mente nulla. Poi, un giorno, siccome era uno studioso
erudito e non si perdeva uno spot culturale, vide una pubblicità su SPQR
Sky News, il suo nuovo canale appena fregato a Murdoch, lo spot era
quello sulla gomma del ponte Brookkhelinne . Miracolo dell'intelligenza
e dell'acume, la lampadina si accese. Eureka! “Ecco cosa ci manca!” esclamò. “Il ponte!” Dapprima, pensò che avrebbe potuto costruirne
uno per collegare il Palatino al Tempio di Giove, oppure un altro sul
Tevere per collegare la sponda di sinistra all'altro Tempio della sponda
destra. Ma poi ritenne che di ponti sul biondo Tiber ce n'erano già
abbastanza. Forse troppi. Gli venne in mente lo Stretto tra Scilla e
Cariddi. Posto un pochino pericoloso, pensò, per via delle bande di
rivoltosi (di solito legionari disertori) che occupavano alcune zone,
come l'Aspromonte. Insomma, bisognava pure unire in modo definitivo una
così bella regione dell'impero, la Trinacria, al resto della Peninsula
Italica. Deciso! Convocò i direttori di tutti gli Acta Diurna e
dette l'annuncio solenne. “Un ponte tra Scilla e Cariddi. Sì, avete
capito benissimo.” La notizia si sparse, come il vento, per tutta
l'Urbe. Il primo che ebbe da eccepire fu un cristiano
che frequentava le catacombe di san Callisto, dove si riunivano i
cospiratori del PD. Don Franceschini, santo e martire –
successivamente , cadde anche lui vittima di una cospirazione ordita ai
suoi danni da una setta di eretici manichei, guidati da Baffinus
Spocchiosus, ma non anticipiamo gli eventi – Don Franceschini, dunque,
ammonì il tiranno: “Perché fare opere faraoniche, quando c'è tanta gente
in mezzo ad una strada, in mezzo al guado, come noi
cristiani-democratici ? Eh, Reo Silvius, rispondi un po' se sei
capace...” Dapprima, Don Franceschini, venne deportato
nelle miniere di sale della Sardinia, dove era già stato esiliato un
altro cristiano dissidente, Mefistus Bersanius, suo compagno di fede e
leale avversario politico. L'unica colpa di Mefistus Bersanius, agli occhi
dello spietato tiranno, era stata quella di interrogarsi ogni giorno,
sul significato della vita. Domande scomode per il dittatore. Scomode
perché ponevano insolubili questioni ed interrogativi filosofici ed
esistenziali che gettavano il dubbio nell'animo degli invitti legionari
romani e, peggio ancora, tra le toghe virili dei senatori, dei consoli,
dei governatori delle province dell'Impero . “Chi siamo? Cosa vogliamo ? Dove andiamo ? Che
ci facciamo qui ? Perché siamo al mondo ? “Diamo un senso alla nostra
storia...” “Te lo do io il senso, cristiano di Sinistra!”
aveva esclamato, irritatissimo, Divo Reo Silvius Dux. E lo aveva
fatto spedire, in catene, al confino sulla Costa Smeralda, dove lui
aveva alcuni possedimenti minori. Va anche riconosciuto che Divo Reo Silvius Dux
aveva i suoi momenti di magnanimità e munificenza. Per consentire al vecchio flamen di Giove, che
abitava in una vecchia grotta sull' Esquilino, di trascorrere una
vecchiaia serena e senza troppe preoccupazioni – avendolo perdonato per
certe sue critiche frondiste – gli consegnò, solennemente, le chiavi di
un vecchio edificio sul Quirinale, costruito all'epoca dei sette re di
Roma, invitandolo ad entrarvi, a rimanervi, ed a fare come se fosse a
casa sua. “Soltanto – lo ammonì – devi smetterla di
criticare tutto quello che faccio. Non mi ricordare che esiste il reato
di lesa maestà. Siamo intesi ?!” L'anziano saggio – che di dittatori in vita sua
ne aveva conosciuti tanti, neri e rossi o rossoneri, biancazzurri e
giallorossi – tacque.” “Il silenzio è d'oro”, sentenziò, accettando la
proposta di coabitazione. “Il mattino ha l'oro in bocca” – aggiunse – e
“l'alba è più giovane del tramonto” , “chi la fa l'aspetti” , “Il
Tempo è galantuomo, speriamo che regga e Il Messaggero non
porta pena”, “Il buongiorno si vede da Il Mattino “se son rose
fioriranno”, “meglio l'uovo oggi che la gallina domani”, “nessuno è
perfetto ”, “se trovi un amico, trovi un tesoro”, “le bugie hanno le
gambe corte”. Il ministro Brunetta questa ultima sentenza, al Vecchio
del Colle, non gliela perdonò mai. Ma il vecchio saggio non ci faceva caso;
col suo consigliere La Palisse se ne andava a pranzo nell'edificio in
cui il tiranno (bontà sua) gli aveva consentito di vivere. A leggersi Il Secolo XIX
che gli ricordava i bei tempi, la Belle Epoque. Il dux, come dicevo, aveva i suoi momenti di
magnanimità. Su proposta di uno dei suoi consiglieri Ursus, volle
istituire un'ora di religione nelle scholae, non soltanto per celebrare
degnamente gli dei pagani come lui, ma anche per altre religioni che
venivano, bene o male, seguite in ogni parte del mondo romano. Fu così
che iniziarono le ore di religione per gli islamici maomettani, sciiti e
sunniti, per i buddhisti delle due correnti Mahayana e Theravada, gli
scintoisti, gli animisti, gli induisti, gli assiro- babilonesi, gli
egizi, i zoroastriani, gli ebraici, i testimoni di Geova, i
taoisti, i giainisti, i Bon -Po tibetani, i seguaci dello Zen, gli
ortodossi, i calvinisti, i luterani, gli agnostici, i manichei, i
valdesi, i seguaci del Confucianesimo. Gli unici che non avevano diritto
al culto erano, naturalmente, i cristiano-democratici, eredi della setta
più eretica e pericolosa, quella che aveva per simbolo una balena
bianca. Diccì!
Salute, brutto raffreddore. Si curi che c'è in
giro l'influenza. Ma che sto dicendo ? Mi riprendo. Diccì, Democrazia
Cristiana, una setta che aveva avuto appunto una grande influenza, in
passato, nel mondo catto – comunista. Ah proto, attento con 'sti refusi
de stampa; ho detto catto non gatto. Miaoista cinese che non sei
altro ! * *Ndr. Questa è, in assoluto,la peggiore
battuta del mio repertorio. Ma andiamo avanti. Altrimenti la storia del
basso impero diventa il varietà dell'Ambra Jovinelli, con le ballerine
di Macario e di Dapporto. Il flamen di Giove, però, con tutte quelle ore
di religione nelle scholae, non ci si ritrovava più. “Minerva, aiutami
tu!” esclamò. E la ministra della P.I. (Precari Istruiti) revocò –
dopo aver consultato Ursus, Silvius, Soprafinus et D'Alemus - lo
sgangherato , estemporaneo, stravagante, decreto sull'insegnamento
dell'ora di religione nelle scholae dell'impero. Ognuno, da allora, si
fece le religioni sue. E tanti saluti. Questa storia, naturalmente, è lunga ;
non finisce qui. In fondo, è soltanto agli inizi. Almeno così assicurano
i maitres à penser, les intellectuelles dei tre sessi e del
quarto potere che frequentano i salotti buoni, i Vip con diritto
a redigere gli unici editoriali esistenti al mondo, la
sputasentenze di turno che ti guarda dal video, con sguardo
acchiappesco, lanciando messaggi subliminali (“ce l'ho solo io !”
). Una storia lunga, quasi quasi direi infinita. Per ora, vi basti sapere che – all'improvviso –
Silvius decise di mettere mano alle leggi. Una grande riforma, come
quella monetaria che aveva realizzato alcuni anni prima. “Il diritto romano – esclamò rivolto a
Belpietrus , un liberto che aveva messo a capo dell'acta diurna
Liberus- così com'è non funziona. Dev'essere riformato,
assieme a tutto l'edificio della giustizia. Sì, giustizia. Si fa presto
a dire... Adesso, ghe pensi mi.” I sudditi cominciarono a preoccuparsi, anche
perché la precedente grande riforma non è che avesse accontentato
proprio tutti. Raccontiamo ancora come andò la riforma aurea e
poi la smettiamo di dettare queste memorie allo scriba. Dunque, in pieno accordo con i suoi amici
governatori imperiali, il gran tesoriere Carlus Azelius Inciampus aveva
consigliato: “Sarebbe opportuna una moneta unica per tutto l'Impero, per
evitare le complicazioni dei cambiavalute (dinari, sesterzi, dracme,
talleri, franchi gallici, pesetas iberiche, fiorini olandesi, sterline
della lontana Caledonia...). Troppe complicazioni. Divo Reo Silvius Dux, appena investito della
porpora dal Senato, fu d'accordo, attribuendosi – data la sua innata
modestia – solo una piccola parte del merito per la nascita di Eurus. Fissò una data, le calende di gennaio. Tutti si precipitarono all'erario a cambiare
moneta. Lira contro Eurus. Una bella suonata di Lira. Poi tutti andarono, fiduciosi, ai mercati di
Traiano e, qui, manco a dirlo, cominciarono i guai. Ma lasciamo la narrazione al Divo in persona.
Ecco come la raccontò. “Caro Diario, anch'io, dopo essermi rasato barba e baffi per
non farmi riconoscere, sono andato a fare un giretto al mercato con la
scusa di comprare un chilo di broccoletti. Non sembrava di essere ai
mercati di Traiano, ma all'Olimpico per il derby Roma- Lazio. “Ma chi è quell'imbecille che ha messo 'stò
eurus ? Esclamò uno che aveva visto raddoppiare, di punto in
bianco, il prezzo delle caciotte. Così dall'oggi al domani. Ero davvero
sorpreso perché erano imbufaliti tutti. Patrizi e plebei. Tutti si
lamentavano di aver l'euro in saccoccia. Un batavo urlava: per due chili di aringhe ho
speso più io di Vercingetorige, per comprarsi la corona tutta tempestata
di perle. Un ellenico voleva pagare con le sue vecchie
dracme ed i pretoriani hanno dovuto trascinarlo via, urlante. Mercurio, il dio del commercio, in quei giorni,
se l'è vista brutta pure lui. “Aridatece i sesterzi!” urlava una trasteverina
imbufalita come la maga Circe, quando s'era accorta della fuga di
Ulisse. “Ma che fa quel cesto di lumache
dell'imperatore ?” aveva gridato una matrona di Albano , venuta ai
mercati traianei per la spesa mattutina. I pretoriani, tutti attorno a me per la mia
sicurezza, facevano finta di niente ma se la ridevano sotto i baffi. Ero indeciso come il sor Tentenna e pronto a
ripensarci come ( non lo scrivere, scriba, se no – bene che ti vada –
parti per l'esilio ). Ma ormai l'euro c'era e ce lo siamo tenuti. Come
tutto il resto.” Ma adesso Silvius era convinto che sarebbe
andata molto, ma molto, meglio con la riforma della Giustizia. Anche lì
c'era il simbolo della Dama Bendata, con la bilancia, pronta a pesare. A
destra, come a sinistra. La Giustizia ha la benda sugli occhi, come la
Dea Fortuna. Chi ha un po' di culo se la cava! Comunque, la Dea non guardava in faccia
nessuno. Sappiatelo. Tutti uguali, identici, di fronte alla legge.
Patrizi e plebei, liberti e schiavi, consoli e gladiatori. Niente due pesi, né due misure. La legge,
uguale per tutti, è dura lex, sed lex. Giustizia cieca,
imparziale, equanime. Sennò, scusate, l'avrebbero chiamata Ingiustizia,
vi pare ? Per questo, forse, come nel caso dell'Euro, nell'Urbe qualcuno
cominciava a mormorare, a denti stretti. Era solo un mormorio, un sussurro, però era pur
sempre la vox populi. Beh, ripeteva alcune frasi che si ascoltavano,
comunemente, nella Roma Eterna. Tipo:“Ma a noi che ce frega de quelli
della società dei magnaccioni ?” “SPQR , lasciateci passare, semo romani. Sì :
Squattrinati Pensionati Qualunque Romani” Ed a proposito della Giustizia bendata,
simbolicamente cieca, che non guarda in faccia nessuno, c'era chi
gridava, ammonendo la folla dei plebei: “ State attenti che mò, Divo Reo Silvius Dux
arifrega l'orba.” Sempre più preoccupati, i benefattori della
Confindustria ( la dama della carità, Emma Marcegaglia in testa) ed i
governatori del Tesaurus Aureus de Zecca ( il pio Draghi in testa)
avevano esortato Silvius: “ In attesa che tu vada in pensione – tanto
hai già alzato l'età del pensionamento,vai ancora avanti tu, che a noi
ce scappa da ridere. ” E Divo Reo Silvius Dux, sempre olimpicamente
sereno, aveva risposto: “E io vado. Però voglio il posto fisso che mi ha
promesso Tremonti. ” Calò il gelo. La dama della carità lo fulminò
con uno sguardo: ”C'è la mobilità e indietro non si torna. Al massimo,
potrai fare il precario in un call-center, altro che il premier a vita.
Scordatelo!” Persino Brunetta disse, che con tutto il rispetto per il
capo,” nessuno era all'altezza di contestare il volere della
Confbeneficenza.” Per la storia, un' associazione benevola senza fini di
lucro, Confraternita delle pie dame patronesse i cui meriti erano sotto
gli occhi di tutti , compresi i soci della Fatebenefratelli che avevano
appena chiuso le piccole e medie imprese . Dux, per una volta, stette zitto. Ubi major,
minor cessat, si disse. Volle, comunque, rifarsi l'immagine agli occhi
della società sindacale di mutuo soccorso, compiendo un altro rilevato
gesto di grandeur. Consentì che quelli del Pd tornassero dal confino e
tenessero le loro primarie nelle catacombe. Don Franceschini aveva
convocato tutti i ragazzi dell'oratorio e tutti i boys scouts, Mefisto
Bersani era apparso ai congressisti ed ai votanti alle primarie,
all'improvviso, attorniato da una nube sulfurea, assistito da Mago D'Alemus
che, per le primarie, aveva prenotato il circo Massimo. Infine,
arrivarono nell'Urbe, passando, assieme ai bersaglieri di La Marmora,
per la breccia di Porta Pia, i garibaldini di Marinus, detto
l'amarissimo che fa benissimo. Mille furono i voti che la camicia rossa
di Quarto si vide attribuire. Neppure un quinto o un sesto del totale
generale. “Qui c'è qualcuno che ha fatto come Karzai in Afghanistan!”
gridò Marinus indignato. “Voglio il ballottaggio. Lo chiederò all'Onu.” Insomma, non vi rivelerò, anzi tempo, come
andarono a finire le Primarie ed il congresso del PD. Per dirvelo,
“Trucioli Savonesi” uscirà in edizione straordinaria; prossimamente qui
su questo schermo.
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