TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni IMPRONTA ECOLOGICA
L’AD Fiat Marchionne ha definita tragica
l’eventuale mancata ripresa degli incentivi statali per la rottamazione
delle auto. A questo meccanismo ci siamo così familiarizzati negli anni
che la cosa ci sembra normale. Mentre si tratta di un evidente aiuto di
Stato, elargito ad un ristretto numero di aziende e negato a tutte le
altre. In sostanza, tutti i cittadini sono chiamati a concorrere al
rinnovo del parco auto (o altri ex-beni “durevoli”), drogandone in tal
modo la produzione, al di là delle fisiologiche richieste del mercato,
che pur continua a voler definirsi “libero”. In America, l’incentivo, sino a $ 4.800, per
cambiare auto è stato un esperimento nuovo, bollato come cash for
clunkers (soldi cash per i macinini) e avversato fortemente dai
repubblicani e dalle destre in genere. I fautori di questi incentivi,
che hanno fatto seguito a massicci sussidi pubblici a General Motors e
Chrysler – per non dire delle grandi banche, li giustificano in base al
minor consumo di carburante ed al minor inquinamento delle auto nuove
rispetto a quelle usate che vanno a sostituire. Detto questo, è utile fare qualche riflessione
sulla maggiore o minore compatibilità ambientale di tutto un ventaglio
di scelte operative, sia a livello di governi che di piccoli gesti
quotidiani da parte dei singoli. Cerchiamo insomma, a grandi linee, di
valutare il nostro personale impatto sull’ambiente (ecological
footprint: impronta ecologica). Partiamo dalle auto. Ci vorrebbero degli studi
molto dettagliati su quello che è il costo ambientale relativo alla
fabbricazione di una vettura nuova, partendo dalle miniere del minerale
di ferro, nonché della plastica, nel suo percorso dal pozzo petrolifero,
dei trasporti connessi alle varie operazioni, delle lavorazioni in
officina e così via. Non so se siano disponibili studi siffatti; ma non
mi stupirei di apprendere che non è così scontata la superiorità
ambientale della sostituzione nuovo per vecchio, a meno che l’auto da
rottamare sia veramente in condizioni tali da non superare i periodici
collaudi. Quello che invece so per certo è che il mancato
uso dell’auto in favore del mezzo pubblico, sia per circolare in città
che per spostarsi da una città all’altra, è una scelta gentile verso
l’ambiente, specialmente su percorsi di intensa utilizzazione. Talmente
gentile ed ecologicamente superiore da farmi optare, qualora fossi al
governo, per l’uso totalmente gratuito del mezzo pubblico. Non è
una proposta demagogica (non devo farmi eleggere da nessuno!), ma sana
anche economicamente. Infatti, il contributo dei biglietti alla
copertura dei costi di tram, autobus e treni è inferiore al 20%. La loro
gratuità ne incentiverebbe un maggior uso, compensando certi disagi
intrinseci al trasporto collettivo (in primis, il mancato trasferimento
dal luogo esatto di partenza al luogo esatto di arrivo). Si eliminerebbe
peraltro tutta l’organizzazione di controlli degli “evasori”, mentre
l’aria, specie urbana, ne trarrebbe enormi vantaggi, e con essa la
nostra salute. Inoltre, il minor uso dei mezzi privati ne limiterebbe
l’usura, anche per lo snellimento del traffico, prolungandone quindi la
vita. Ne beneficerebbe anche il debito estero, col drastico taglio alle
importazioni petrolifere. Treni e tram, muovendosi a propulsione
elettrica su rotaia, hanno rendimenti di circa 6 volte superiori ai
mezzi su gomma, a causa del minore attrito (e in più utilizzano ridotte
sedi di marcia): basta vedere quanti TIR sarebbero necessari per
trasportare il carico di un treno merci con 30 o più vagoni su
un’autostrada larga più del doppio! Inoltre, l’usura dei mezzi elettrici
su ferro è assai minore di quelli su gomma a combustione interna. A questo punto, si inserisce un altro dilemma,
agitato dai governi e dai sindacati: macchine a vita più lunga,
l’abbiamo appena visto, abbassano l’esigenza di sostituirle, quindi il
famigerato PIL, e quindi la forza lavoro. Ragionamento che stride con l’entusiasmo che ha
caratterizzato l’ultimo secolo di meccanizzazione e automazione spinta,
che pur ha buttato fuori delle fabbriche un numero sproporzionato di
operai, attuali o potenziali. L’automazione andava bene, finché il
grosso dei risparmi dovuti all’innovazione finiva nelle tasche dei
capitalisti, e solo le briciole in quelle dei lavoratori. Al contrario,
produrre meno macchine, mentre migliora la sanità dell’ambiente di
tutti, sgonfia però i fatturati, sia dell’industria meccanica che
farmaceutica, e quindi gli utili dei capitalisti, oltre a falciare posti
di lavoro. Questo spiega la coalizione contraria di capitalisti e
lavoratori (con la penalità, per i secondi, di potere d’acquisto di
salari e stipendi in costante discesa, grazie ad outsourcing e
delocalizzazioni). La soluzione ideale è solo una, echeggiante sin
dal ’68: lavorare meno, lavorare tutti. Con una aggiunta, nuova ed
antica insieme: quella del “superamento della lotta di classe,
dell’accordo tra capitale e lavoro, mediante la partecipazione degli
operai alla gestione e agli utili delle imprese”*. Idea antica,
perchè risale agli anni del futurismo (della cui nascita s’è celebrato
quest’anno il centenario) e della Carta del Carnaro, partorita da
Gabriele D’Annunzio e Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario e
braccio destro del “Vate” durante l’epica occupazione di Fiume nel
1919-20. Una Carta estremamente moderna e anticipatrice per molti versi
della nostra attuale Costituzione. Un altro esempio che richiede attenti e non
preconcetti calcoli di impronta ecologica riguarda le tariffe di beni di
prima necessità, come acqua e luce. Al contrario dei trasporti pubblici,
che andrebbero incoraggiati mediante il taglio a zero delle tariffe,
quelle di acqua ed elettricità andrebbero calibrate per scoraggiarne gli
abusi: superata la soglia minima di stretta necessità personale e
aziendale, il loro consumo andrebbe progressivamente penalizzato
mediante tariffe in crescita coi consumi stessi. Tra breve saranno
obbligatorie le lampadine a basso consumo; col difetto però di soffrire
per le frequenti accensioni, il che spinge a tenerle accese più a lungo,
per non abbreviarne la vita… Riscaldamento domestico: follia pura è quella
americana di farlo con lo stesso principio dell’aria condizionata,
utilizzando cioè energia elettrica, ossia una sorgente che spreca in
calore di scarto i 2/3 dell’energia del combustibile. Eppure, i calcoli
che colà si fanno per stimare quanta superficie desertica andrebbe
ricoperta di pannelli fotovoltaici per soddisfare la domanda, si basano
sui consumi elettrici anche per il riscaldamento domestico, alzando così
il fabbisogno alle stelle. Il principio cui attenersi è quello di uso
congruo delle varie forme energetiche, secondo una scala di “nobiltà”,
sulla cui cima svetta la preziosa energia elettrica, ottima per usi
meccanici (treni, tram, metrò), elettronici (computer e periferiche
varie), di illuminazione, ecc., ma NON per la vile funzione di
riscaldare un ambiente di pochi gradi partendo da reazioni, in centrale,
di migliaia di gradi (o peggio ancora, milioni, nelle centrali
nucleari). Se poi scendiamo ai beni di largo consumo, un
occhio di riguardo meritano le loro confezioni, da premiare in
proporzione alla loro riciclabilità o riutilizzo, anche con opportune
variazioni dell’Iva. I primi imballaggi da bandire, tramite tasse più
alte, sono quelli composti da accoppiati, specie di carta e plastica:
non è ammissibile che, ancora nel 2009, il “cartone” del latte sia un
accoppiato di cartone e film plastico o di alluminio, impedendo il
successivo ricupero di entrambi. Altro dilemma, ma di facile soluzione: se
potete scegliere tra un apparecchio a pile o a filo, optate decisamente
per il secondo, evitando le inquinanti batterie. E ogniqualvolta potete
fare uno spostamento in bicicletta, non esitate: datele la precedenza.
Ve ne saranno grati il vostro corpo e il vostro spirito, per il senso di
libertà che ne trarrete (nonché la salute di quanti vi circondano). Gli esempi si potrebbero moltiplicare; ma qui
mi limito a un suggerimento: qualunque azione stiate per compiere
durante la giornata, chiedetevi sempre, come faccio ormai da decenni,
senza neppure dover più porci mente, se esiste una maniera alternativa,
e più ecology-minded, di ottenere lo stesso scopo. A volte non è
facile, lì su due piedi, decidere cosa sia meglio. Tuttavia, se
cominciate a porvi la domanda, prima di accingervi a fare qualcosa,
qualsiasi cosa, è già un buon segnale che state avviandovi sulla strada
giusta. E se avete dei figli, il miglior insegnamento è l’esempio; e se
cominceranno a porsi le vostre stesse domande già da ragazzi, c’è buona
speranza che diventino adulti con l’innato senso di rispetto e
gratitudine per l’ambiente e per chi concorre a renderlo migliore.** Certo non è l’atteggiamento mentale di quei
terroristi che danno fuoco ai boschi; o dei camorristi che affondano
navi cariche di veleni. Per tutti costoro i media dovrebbero enfatizzare
non solo i crimini, ma anche i processi e le giuste condanne, a titolo
di avvertimento per quanti volessero riprovarci. Insomma, è fortemente
diseducativo riportare i delitti, e non, con altrettanta enfasi, pure le
pene. * Vedi l’ottimo libro di
Claudia Salaris “Alla festa della rivoluzione” sull’avventura di Fiume,
Ed. Il Mulino, 2002. ** Consiglio la lettura del
conciso saggio di Serge Latouche “Breve trattato sulla decrescita
serena”, Bollati Boringhieri, 2007. Marco Giacinto Pellifroni
20 settembre 2009 |