Il super-attentato ha l' ok del compaesano le carte di
Firenze che turbano la politica
Repubblica — 13 settembre 2009
ROMA - Prima ha parlato dell' uccisione di
Paolo Borsellino con i procuratori di Caltanissetta, poi ha
continuatoa parlare con i procuratori di Firenze sulle stragi
mafiose in Continente del 1993. E Gaspare Spatuzza, boss del
quartiere palermitano di Brancaccio soprannominato "U' tignusu"
per le sue calvizie, ha cominciato dalla fine. Ha cominciato dal
fallito attentato all' Olimpico, da quel massacro che nei piani
di Cosa Nostra corleonese sarebbe dovuto avvenire una domenica
pomeriggio allo stadio «per ammazzare almeno 100 carabinieri»
del servizio d' ordine. Per fortuna, quella volta qualcosa non
funzionò nei circuiti elettrici del telecomando che avrebbe
dovuto far saltare in aria un' auto - una Lancia Thema - con
dentro 120 chili di esplosivo. Non ci fu strage. Ma rivela oggi
il pentito Gaspare Spatuzza ai magistrati di Firenze: «Giuseppe
Graviano mi disse che per quell' attentato avevamo la copertura
politica del nostro compaesano». Le indagini riaperte sui
massacri di diciassette anni fa sono disseminate di indizi che
stanno portando gli investigatori a riesaminare uno scenario già
esplorato in passato, ipotesi che girano intorno agli ambienti
imprenditoriali milanesi frequentati dai fratelli Giuseppe e
Filippo Graviano, boss di Palermo più volte citati - in
inchieste e anche in sentenze - come vicini al senatore Marcello
Dell' Utri. E' a Firenze che hanno dato a Gaspare Spatuzza lo
status di pentito (è entrato nel programma di protezione su
richiesta della procura toscana), è a Firenze che il mafioso di
Brancaccio sta svelando tante cose su quella stagione di
«instabilità» mafiose a cavallo fra il 1992 e il 1994.
Rapinatore e poi sicario - è uno dei killer di don Pino Puglisi,
il parroco ucciso a Palermo nel settembre 1993 - capo del
mandamento di Brancaccio, legatissimo ai Graviano, Gaspare
Spatuzza dopo avere fornito una diversa ricostruzione della
strage di via D' Amelio (autoaccusandosi e smentendo il pentito
Vincenzo Scarantino che a sua volta si era autoaccusato dello
stesso massacro), è stato ascoltato sulle bombe di Firenze e
Roma e Milano, dieci morti e centosei feriti. E poi anche sul
fallito attentato all' Olimpico, quello che - se fosse avvenuto
- sarebbe stato uno degli ultimi atti della strategia mafiosa
nell' attacco contro lo Stato. La «comprensione» del fallito
attentato dell' Olimpico potrebbe, a questo punto, diventare la
chiave per entrare in tutti i misteri delle stragi. Inizialmente
le ricostruzioni poliziesche avevano fatto risalire il progetto
dell' attentato nel periodo ottobre-novembre 1993, poi il
pentito Salvatore Grigoli aveva indicato una data precisa
(domenica 31 ottobre, la partita era Lazio-Udinese), poi ancora
un altro pentito - Antonio Scarano - aveva spostato di qualche
mese il giorno della strage: 6 febbraio 1994, ventiduesima
giornata di campionato, all' Olimpico l' incontro Roma-Milan.
Gaspare Spatuzza racconta adesso alcuni restroscena cominciando
con quella frase sulla «copertura politica». Dichiarazione che
va ad aggiungersi a quelle precedenti scivolate nell' inchiesta
sui «mandanti esterni» per le bombe in Continente, prima fra
tutte quella di Nino Giuffrè, il capomandamento di Caccamo.
Spiegava Giuffrè ai giudici di Firenze: «L' attentato dell'
Olimpico doveva essere un messaggio mandato in alto loco... Sarà
stato uno dei soliti colpi di testa di Leoluca Bagarella contro
i carabinieri, magari perché gli avevano arrestato il cognato
Totò Riina, o perché mirava ad altri discorsi, ad eventuali
contatti che poi ci sono stati fra i carabinieri e parti di Cosa
Nostra». Ma Antonino Giuffrè, più che della seconda ipotesi era
convinto della prima. E spiegava ancora che - in quel periodo -
dentro Cosa Nostra era già stato impartito l' ordine «di
appoggiare la nuova formazione politica che era Forza Italia»,
che Cosa Nostra non avrebbe mai più continuato con le stragi,
che «se ci fosse stato l' attentato dello stadio Olimpico a
Bagarella gli avrebbero senza dubbio staccato la testa: sarebbe
morto». Le indagini di Firenze si incrociano con quelle della
procura di Caltanissetta su Capaci e su via D' Amelio, con
quelle di Palermo sulla famosa «trattativa» fra i Corleonesi e
apparati dello Stato e infine quelle di Milano sugli
investimenti in Lombardia dei fratelli Graviano. Dallo sviluppo
di tutte questi filoni fra qualche mese affiorerà probabilmente
qualcosa di più concreto, di più chiaro. Al momento sono
soltanto «spunti investigativi», sono tracce. -
ATTILIO BOLZONI