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La Lega Nord propone il dialetto a scuola, ma chi si preoccupa dei fornelli?

Sapori liguri e cultura a tavola:

va di moda il cuoco straniero

In Trentino Aldo Adige prospera la qualità, rilanciando piatti del territorio in albergo e al ristorante. In Riviera personale multirazziale. Tutti zitti, perché?

Un pizzaiolo egiziano, gravemente ustionato, quasi in pericolo di vita, per un “ritorno di fiamma” mentre si trovava davanti al forno della pizzeria di Pietra Ligure dove lavorava, regolarmente assunto. L’inchiesta accerterà, come scrivono i giornali di domenica 6 settembre, se ci sono responsabilità.

L’argomento che vogliamo trattare è un altro. Assai taciuto dai media, poco dibattuto, quasi un tabù. Eppure ha aspetti sorprendenti.

In provincia di Savona sono attivi 1700 locali pubblici, che fanno uso di cucina: ristoranti, pizzerie, alberghi, campeggi, tavole calde-bar, pub, stabilimenti balneari. Almeno 700-800 con apertura annuale. Quanti sono i cuochi che ormai hanno preso il posto degli italiani? Qual è il numero del personale di cucina impiegato? La proporzione italiani-stranieri? 

Ci limitiamo ad occuparci di cucina perché, a leggere i giornali, ad ascoltare le dichiarazioni dei rappresentanti di categoria, il “tema cuochi e personale straniero in cucina” sembra non interessi proprio a nessuno. Non esiste. Facciamo finta di niente, in perfetto stile italiano.  

Leggiamo spesso, peraltro ci siamo abituati, di ritorno a tavola delle ricette locali, rilancio della tradizione, dei prodotti della nostra terra nostra (argomento rilanciato anche dai rappresentanti delle categorie agricole). Titoli dei tipo: ecco il menù dei nostri nonni, delle nonne.

Ci siamo per caso chiesti il livello del bagaglio professionale e culinario (della cucina ligure, savonese, imperiese) tra il sempre più diffuso personale extracomunitario e comunitario che popola ormai molte cucine dei nostri locali, soprattutto quelli lungo la fascia costiera e nell’immediato entroterra? Quali scuole professionali hanno frequentato, quali titoli, quali esperienze?

Gli uffici provinciali del lavoro, l’Inps hanno certamente dati precisi, aggiornati. Non siamo autorizzati a divulgare cifre e statistiche che ufficialmente nessuno vuole confermarci. Lanciamo un’indiscrezione-provocazione: il 90 per cento della forza lavoro che opera nelle cucine di tanti esercizi pubblici sono cittadini stranieri. In molti casi, soprattutto laddove si lavora stagionalmente, capita di trovare l’intero staff ai fornelli (dunque chef, assai meglio dire cuoco per non offendere i veri professionisti del mestiere, con aiuti e sottoaiuti vari) di nazionalità straniera. Egiziani, albanesi, rumeni, marocchini, africani, asiatici. Spesso impiegati come tuttofare.

Ovviamente non ci interessa “gridare alla scandalo”, all’ulteriore mazzata alla sempre decantata parola “qualità, professionalità”. Peraltro succede anche al bancone del bar, tra i tavoli. Semmai dovrebbero essere altri a prendere atto, farsi carico di una situazione notoriamente taciuta.

Certo, sono importanti nel contesto sociale badanti e colf; altrettanto dibattuto il tema degli extracomunitari impegnati nell’agricoltura, nell’edilizia (ormai in maggioranza).  Ricordate l’articolo di Trucioli Savonesi in cui raccogliendo alcune confidenze, dapprima nello studio di un veterinario dell’entroterra e poi di due giovani tecnici, avevamo rivelato che almeno cento chilometri dei nuovi e caratteristici muri in pietra (a secco) della fascia ligure è opera di albanesi e romeni? Utilizzati sia per la convenienza economica (almeno 40 per cento in meno rispetto alle richieste di imprese italiane), sia per la specializzazione nel settore.

Una domanda si potrebbe porre proprio alla Lega Nord che si propone come baluardo in difesa delle tradizioni: visto che la maggioranza delle nostre “cucine” funzionano solo grazie alla presenza di personale straniero, si può fare qualcosa per riqualificare il loro lavoro? Cosa sappiamo del bagaglio di conoscenze culinarie?

Non è questo il momento per soffermarci su qualche storiella vissuta in questo e quel locale. Oppure ascoltare la testimonianza di fornitori, o di colleghi cuochi italiani, allontanati dal lavoro e sostituiti con i più convenienti “cuochi”, aiuto cuochi, dell’est o extracomunitari.

Non serve la polemica, i piccoli scandali sulla pratica quotidiana del “menù ligure”. Con la becera propaganda-patacca della promozione di “ricette con prodotti tipici”.

La Lega Nord, da sempre impegnata sul tema emigrazione, sulla difesa della tradizione, della cultura, usanze, persino del dialetto a scuola e negli enti pubblici, cosa  propone (cosa ha fatto di concreto)  per aiutare albergatori, esercenti, titolari di esercizi pubblici a non perseguire la strada di un degrado qualitativo e della tradizione?

Ci lamentiamo perchè diminuiscono gli stranieri, diamo la colpa alla crisi (bravo direttore Berlangieri)!

Il sospetto che la demagogia della Lega Nord non porti da nessuna parte è più che fondato e provato dai fatti.

Si cavalca e si sbandiera il dialetto a tutela dell’identità, stranamente non si pronuncia parola di fronte al fenomeno dello stravolgimento della “cultura a tavola” della terra ligure. La nostra terra, con la sua storia millenaria. Gli stranieri presidiano ormai i fornelli premiati dalle loro basse pretese, ma a quanto pare nessuno ha qualcosa da dire. Andiamo avanti o procediamo sulla strada del declino?  Dei bluff? Col cerino acceso. Qualche utile confronto.

Scriveva Il Sole 24 Ore, nel maggio scorso, che in Alto Adige sono ormai in stragrande maggioranza gli chef, i cuochi che recuperano le antiche ricette della cucina ladina, cimbra e mochena, riproponendole con successo ai turisti.

E Davide Paolini, esperto e scrittore, scriveva: <Rigoroso rispetto dell’ambiente, ospitalità, cucina locale, vino del posto, E’ in questo poker  il segreto del successo del turismo enogastronomico del Trentino Alto Adige. Certo, il territorio ha contribuito allo sviluppo: si pensi, ad esempio, alla montagna inverno-estate con attività che attraggono  turisti provenienti da ogni luogo>.

E proseguiva: <Ma ciò che ha fatto di questo territorio la chiave del successo, più di ogni altro, è stata la progressiva crescita dell’ospitalità. Alberghi molto curati anche nei dettagli, sicurezza dell’offerta in fatto di prezzi, agriturismi veri (non quelli…) bed&breakfast di livello, moltissima attenzione alla cucina con personale qualificato, proveniente dalle migliori scuole alberghiere, un occhio particolare alla prima colazione del mattino. Un aspetto, questo, molto trascurato nel resto d’Italia, ma un vero e proprio cavallo di battaglia negli hotel del Trentino-Aldo Adige divenuto strumento di tam tam fra i viaggiatori del gusto>.

<…Poi – proseguiva Paolini – la rete delle aziende vinicole “illuminate al turismo”, in sinergia con alberghi e ristoranti, piena collaborazione; vino, cibo, pernottamenti a prezzi ragionevoli e soprattutto qualità del servizio, dell’offerta complessiva…

Ad iniziare dall’attrazione della grande cucina. Con lo sviluppo in questi ultimi anni, incoraggiato dagli enti pubblici, della ristorazione di alto livello, soprattutto negli alberghi, fatto assai raro, e che sta dando ottimi risultati. Un rigoroso rapporto, premiale, qualità/prezzo. Cosi molti hotel sono diventati meta di buongustai, non solo amanti della montagna.  Alcuni locali, poi, hanno dato spazio a piatti appartenenti alla cucina delle minoranze linguistiche (ladini, cimbri, mocheni, eccetera, un fatto culturale di straordinaria importanza>.

Ci sarebbe davvero poco da aggiungere. Mentre la Lega Nord (non è polemica) ci sprona al dialetto ligure, ignora o finge di ignorare cosa sta accadendo alle fondamenta dell’unica industria che ci è rimasta: il turismo.

Parla di difendere i liguri, ci nasconde che abbiamo già il 90 per cento delle cucine in mano a cittadini di cui non conosciamo quali scuole alberghiere abbiano frequentato. E in provincia di Savona ci sono tre istituti, con migliaia di studenti, molti senza futuro.

Ignoriamo o fingiamo di ignorare che sono in maggioranza simpatizzanti leghisti i titolari di questi locali, di aziende agricole, di imprese che si affidano quasi totalmente a stranieri. E non possiamo certo accusarli. Si adeguano all’andazzo. All’imbarbarimento della “civiltà berlusconiana”.

Se nel Trentino Alto Adige la “politica” (non governano né la Lega, né il Pdl, né la sinistra), i rappresentanti nelle istituzioni locali, volano alto, producono risultati, ad iniziare dal turismo, per proseguire con l’enogastronomia, l’agricoltura, il mondo delle cooperative, ci sarà pure una ragione. Troppo facile attribuire il “miracolo” ai contributi, ai privilegi fiscali.

Anche le “minoranze” della Lega Nord sono state sopraffatte dai “bla-bla”, senza arte e ne parte? Banderuole che strillano, non amano parlare dell’Italia dove succedono cose positive. Dove gli albergatori non sono costretti a disfarsi dell’azienda, dove i ristoratori non debbono lavorare affidando le loro cucine alla “cultura” di immigrati disperati, dove l’improvvisazione è un’eccezione, non la regola quotidiana.

Cara Lega Nord torna a camminare con i piedi a terra, prima che sia davvero troppo tardi.

L.Cor.