TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni Così sintetizzerei la situazione attuale, in
cui da un lato speriamo di uscire da una recessione senza precedenti
negli ultimi 80 anni, e dall’altro avvertiamo che una restaurazione
dello stile di vita sin qui tenuto va ben oltre le capacità naturali di
sostentamento. Tuttavia, la quasi totalità di noi spera nell’avvento
della prima opzione. Chi ha un’attività che langue per la domanda debole
sogna il ripristino della capacità di spesa dei suoi clienti; e
analogamente sperano sia i suoi dipendenti che i clienti stessi, con la
ripresa di sostenuti scambi commerciali e la fine delle ristrettezze. Il nodo è che gli scambi di soldi e di merci
ante-recessione si basavano sulla facile concessione di credito, ossia
attingendo alla futura produzione di ricchezza (addirittura alla follia
di ipotecare la ricchezza eventualmente creata dalle generazioni
future!), creando un debito collettivo che si deve ora cominciare a
ripagare. E qui sta uno del cardini della questione: chi
sta pagando quel debito? Non certo le classi parassitarie della
politica, dei manager di Stato e dei banchieri. Lo paga l’ex classe
media col ridursi o l’annullarsi dei redditi, con tasse e sanzioni
sempre più oppressive, con la stessa casa di proprietà, passata
forzosamente ai concessionari del credito: le banche. Oggi si vedono manifestazioni di protesta a
macchia di leopardo, all’interno di fabbriche a rischio di fallimento o
chiusura, si vedono ex lavoratori fare fagotto e tornare in famiglia
(ossia nell’unico vero ammortizzatore sociale), si vedono saracinesche
di negozi tristemente abbassate o in cessione ad altri speranzosi
gestori, si vedono fiorire società di prestiti a lavoratori e pensionati
che non ce la fanno, si vedono servizi sociali essenziali soggetti a
dolorosi tagli, si vede insomma l’inizio di una lotta in cui ciascuno è
lasciato solo, contro tutti: la strada verso la possibile barbarie
prossima ventura. Traguardando attraverso gli ultimi secoli,
apprendiamo che l’iter del progresso materiale è consistito nel
crescente scarico dei suoi costi sulla natura. Ci si era illusi che, non
avendo la natura esponenti in Parlamento, la si potesse bistrattare a
nostro piacimento. Il problema cruciale odierno sta tutto qui: nel
raggiungere un tenore di vita accettabile (cioè sobrio) senza violentare
la natura. Ora, non violentare la natura significa
prelevare meno risorse, rinnovabili incluse, ossia consumare di meno e
produrre meno rifiuti. Questo però fa a botte con l’intero apparato
produttivo esistente, progettato per sfornare merci in grandi quantità e
con vite sempre più brevi. In media, gli impianti esistenti lavorano a
circa 2/3 delle loro capacità; e questo non ne ammortizza gli
investimenti iniziali, penalizzando sia i capitalisti che li hanno
creati che i loro dipendenti, ormai in crescente esubero. Questi ultimi,
privi dei profitti pregressi accantonati invece dai capitalisti, perdono
col lavoro l’unica fonte di sostentamento; e quindi chiedono che lo
Stato intervenga con adeguati sussidi. Lo Stato però, governato da gente che non ha
rinunciato neppure simbolicamente a un centesimo dei propri emolumenti,
che suonano a insulto di chi non ha più un reddito o ne ha uno da fame,
non può che prelevare dalla frangia produttiva residua. Si allarga così
la fascia parassitaria, strutturale o forzata, che vive alle spalle
della evaporante fascia attiva, tramite due strade: a) tasse e tributi;
b) debito pubblico. Insomma, mentre la natura si prende una pausa,
grazie ai consumi in discesa, crescono sia il debito pubblico (114%
rispetto a un Pil in decrescita) che quello privato, cui la gente
ricorre per far fronte a tasse e sanzioni, e per compensare i redditi
familiari mancanti. Merita sottolineare che le sanzioni crescono a un
ritmo più accelerato delle tasse stesse, in quanto vengono comminate a
fronte di un coacervo di comportamenti imposti per decreto che
avvicinano la nostra vita a quella di robot, governati da telecomandi e
monitor posti per ogni dove, col solito pretesto di garantirci “più
sicurezza”. A questo punto viene da chiedersi, visto che si
è parlato di debiti dello Stato e dei cittadini, chi ne siano i
creditori. La risposta è ovvia: sono le banche, centrale e commerciali,
secondo i perversi e truffaldini meccanismi con cui esse si arrogano
tali diritti creditori e sui quali ho disquisito copiosamente in tanti
miei articoli precedenti. In questi giorni banche (Intesa San Paolo in
testa) e, paradossalmente, Confindustria, hanno elevato alti lamenti al
Parlamento di Bruxelles affinché interceda presso Inoltre: se il costo del denaro che C’è chi invoca, giustamente, un cambio di
governo. Ma le alternative non inducono a ben sperare, se pensiamo
all’effimero governo precedente, che aveva al suo top il “trio
tassametro” di Prodi (fiduciario della grande finanza), Padoa-Schioppa
(emissario della BCE) e Visco (fan delle tasse per l’ingrasso delle
banche). Con simili alternative, davvero non resta che
sperare in un azzeramento dell’attuale dirigenza politica tout court,
collusa coi sedicenti creditori. L’obiettivo è chiaro, i mezzi molto
meno, dopo decenni di condizionamento giovanile tramite media e mode, e
lo screening rovesciato degli aspiranti all’agone
politico. Mentre per varare misure idonee a estirpare l’erba gramigna
della finanza parassitaria servono uomini dotati di chiarezza di
obiettivi, genio e determinazione; certo non gli yesmen delle
attuali corti politiche. Marco Giacinto Pellifroni
13 settembre 2009 |