Premessa 2/nota
di pessimismo:
ricordate che,
sempre parlando
di
menefreghismo,
citavo l’esempio
di chi non cerca
i cassonetti
della
differenziata
perché sono
troppo lontani,
ecc. ecc.? Bene,
siamo messi
anche peggio di
così. L’altro
giorno ho visto,
sul lungomare di
Vado ligure, un
ragazzo uscire
da uno degli
esercizi
commerciali di
fronte
trasportando
rifiuti,
attraversare la
strada, gettare
senza alcuna
esitazione sia
una borsa
rigonfia, sia
alcuni flaconi
di plastica che
aveva da parte
nello stesso
cassonetto
dell’indifferenziata,
ignorando gli
altri a
fianco.
Ecco, siamo a
questi punti di
indifferenza.
Credo che tali
comportamenti
andrebbero
sanzionati. Non
c’è altra via,
anche se per
natura
preferirei
sempre il
rinforzo
positivo (sconti
sulla tassa
rifiuti per i
virtuosi).
Il
famoso degrado
Ma veniamo a
noi. Ero
arrivata, a fine
discorso, ad
alcuni concetti
che ho in mente
e che forse
meriterebbero di
spenderci
qualche frase in
più. Sulla
bellezza come
armonia, come
atmosfera che ci
fa stare meglio,
viene in qualche
modo assorbita
dall’anima e
migliora la
qualità della
nostra vita.
Prima però
bisognerebbe
capirsi.
Bisognerebbe
mettersi
d’accordo sul
significato
delle parole.
Il linguaggio
non è una
scienza esatta.
Sappiamo
benissimo che
quando due
persone
pronunciano
frasi identiche
non è detto che
intendano
proprio la
stessa cosa. Che
questo ha
causato e causa,
nel corso della
storia,
fraintendimenti
anche piuttosto
incresciosi, dal
lancio di piatti
in famiglia alle
guerre epocali.
Eppure, c’è
chi ignora tutto
questo. C’è chi
tratta le
parole, le
frasi, come
fossero univoche
e lapidarie,
identiche per
tutti. Adottando
la tattica di
ripeterle fino
alla nausea, per
far sì che
quest’unico
significato,
quello inteso
dal proponente,
sia dato per
scontato, entri
nella testa
delle persone
come unico e
ovvio. Fino a
trasformare la
frase, la
parola, in un
rito, una
litania
cerimoniale, una
formula
convenzionale e
vuota.
Prendiamo per
esempio l’odiosa
espressione “non
arrivare alla
fine del mese.”
Quante volte
l’avete sentita
ripetere da
politici
compunti, di
ogni colore? Poi
ci sono le
varianti, a
seconda
dell’enfasi e
della
drammaticità.
Ultimamente non
si arriva alla
terza settimana,
poi alla
seconda.
E non sembra
forse che tanto
più la si
pronuncia
ossessivamente,
come premessa di
ogni discorso,
come retorica,
come formulario,
senza peraltro
fare alcunché di
concreto per le
tante persone
che appunto si
trovano in tale
difficile
condizione,
anzi,
continuando a
ignorarle e a
peggiorare le
cose, tanto più
assume sapore di
beffa, di presa
in giro e di
offesa? Visto
che a ripeterla
sono coloro che
proprio no, il
problema non lo
conoscono e non
hanno alcun
pudore. E
scusate se è
qualunquista
dirlo.
Allo stesso
modo sentiamo
ripetere il
termine
“degrado”,
riferito a
qualunque zona
che conservi
ancora
miracolosamente
tracce di
ambiente
originario o di
vestigia
storiche.
E di
“risanamento”
“riqualificazione”
per i progetti,
di solito
spaventosamente
devastanti e
cementizi, che
dovrebbero
seppellire tutto
questo sotto
un‘unica grigia
colata.
|
Palazzo costruito al posto del cinema Astor all'inizio di via Pia |
Il passo
successivo è
l’abbandono
coatto, impedire
qualsiasi
miglioria o
conservazione,
in modo da
trasformare
quello che si
presuppone
(incuria,
sporcizia,
rovina) in
realtà. Una
specie di alibi
a posteriori, in
modo che la
formuletta a
forza di
ripeterla si
trasformi in
definizione
esatta. Un po’
come un
incantesimo di
Harry Potter.
Solo che i
nostri maghetti
hanno ben altro
in mente che far
volare piume. O
forse sono al
diretto servizio
di Voldemort,
chissà.
E così le
persone si
convincono. Che
schifo, che
indecenza quel
posto, cade a
pezzi. Bisogna
intervenire. Se
ci sono i
progetti, che,
ci assicurano,
porteranno
lavoro,
prestigio,
sviluppo…
Al solito,
classicamente,
questo si
trasforma nella
trappola per gli
ambientalisti,
già visti dai
più come il fumo
negli occhi. (Pseudoambientalisti
contrari al
progresso,
fautori della
decadenza, e
tante altre
belle formulette
anche quelle).
Gli
ambientalisti
che intervengono
a difesa
di quello
spicchio di
ambiente, di
quelle vestigia,
sono
rompiscatole,
mettono i
bastoni fra le
ruote, sono
velleitari,
oppure, udite
udite, “hanno
degli interessi
dietro”.
Bellissimo
accusare gli
altri delle
proprie colpe.
Come se i
cementizi, loro,
di lucrosi
interessi non ne
avessero affatto |
Non vale l’ovvia
considerazione che, se davvero quei progetti
fossero la panacea che ci promettono, non ci
sarebbe bisogno di imbonirci, insistere e di
metterci di fronte al fatto compiuto: si
sosterrebbero da soli. Niente, non si ragiona.
Insofferenza o indifferenza.
Non c’è altra via per uscire
da questo vicolo cieco se non evitare la
trappola. O almeno provarci.
Partire da ragioni logiche
che non possano essere tacciate di ambientalismo
tout court.
A partire, appunto, dal
significato vero e profondo delle parole.
“Degrado”: sul Garzanti non
lo troviamo neppure. Esiste degradare, il verbo,
di chiara derivazione militare, oppure nel senso
traslato di umiliare, con la specifica che l’uso
in questo significato è riprovato dai puristi.
Idem per lo Zanichelli, dove è riportato un raro
“deteriorarsi“.
Cominciamo bene: non è sul
vocabolario. Ma sono edizioni vecchie, magari
adesso esiste. Adesso che hanno scoperto questa
stupenda etichetta propedeutica al cemento.
“Riqualificazione”: niente
sul Garzanti. Zanichelli:
“acquisto di una qualificazione superiore da
parte di un lavoratore, mediante appositi
corsi”.
Un lavoratore?
“Risanamento”: Garzanti:
“demolizione di vecchi quartieri malsani e privi
di impianti igienici e loro ricostruzione
secondo i nuovi criteri dell’urbanistica”.
Zanichelli: “miglioramento del tessuto urbano
mediante l’eliminazione di vecchi quartieri”.
Attenzione: eliminazione, non aggiunta.
E da quando la Madonnetta
sarebbe un vecchio quartiere privo di impianti
igienici? Ma mi interessa più il significato
profondo: rendere di nuovo sano, guarire.
Ora basta, o trascrivo tutto
il vocabolario. Ma già questi esempi dimostrano
che i significati non sono affatto scontati.
Ora mi
chiedo e vi chiedo, tenendo a
mente quanto sopra: un
ragazzino che si tuffa da uno scoglio vi appare
degrado, umiliazione, deteriorarsi di qualcosa?
Lo scoglio avrebbe bisogno di demolizioni e
nuovi impianti igienici?
Un pescatore che cammina
sulla spiaggia, una baracca di legno arrampicata
su un costone e magari dipinta a colori vivaci,
bambini che corrono, le onde che fanno un rumore
leggero all’alba quando la spiaggia è deserta,
sono squallore, malattia?
Una serie di moli grigi con
grandi barche vuote parcheggiate e silenziose
renderebbe “di nuovo sano” tutto questo?
Pensiamo alla zona del porto.
Limitarsi a ristrutturare, o demolire e
ricostruire le casette esistenti, aggiungerne
qualcuna in stile, buttar giù i vecchi svincoli,
favorire insediamenti commerciali, piazzarci
magari un piccolo parco, un mercatino, qualcosa
di tipico, aver salvato il Costa del Sol,
valorizzare il lavatoio, recuperare le vestigia
archeologiche a beneficio dei residenti e dei
crocieristi, mantenere l’anima del quartiere,
non sarebbe stato risanare? Per “migliorare il
tessuto urbano” bisognava
aggiungerci una torre incombente, fredda, tanto
fredda anche a ferragosto
solo a guardarla, e vuota, tanto vuota come dopo
una catastrofe epocale, inanimata, estranea, e
un palazzone-minaccia che pare la grande
muraglia cinese? Non avrebbe potuto,
l’insaziabile avidità degli speculatori,
accontentarsi di qualcosa di meno, invece di
tutto questo trionfale niente?
Così alla foce del Letimbro,
con la sua vecchia centrale sventrata, c’era
proprio bisogno di aggiungere quel palazzone
rosa che si tenta falsamente di far apparire più
piccolo? Non bastava ristrutturare quelli che
c’erano? Si guadagnava troppo poco, non si
faceva fruttare il terreno e la concessione?
Il vecchio ospedale, con i
suoi cortili, gli alberi, i passaggi aerei e i
tralicci, con il suo carico di antica sofferenza
che pure è dignità, rispetto, di tante
generazioni di savonesi, bisognerà proprio
involgarirlo con gallerie commerciali,
profanarlo, lastricarlo magari di vetrate,
acciaio, rampe di cemento, (eliminando gli
alberi dei cortili interni, ovvio, questa sarà
la prima cosa). Oppure lasciarlo ancora e ancora
marcire?
Via Pia aveva proprio bisogno
di sostituire uno scempio con un altro, molto
più inutile, negozi e appartamenti probabilmente
semivuoti, di aggredire e incrinare antichi
palazzi, di oscurare nuovamente stupende
facciate miracolosamente tornate alla luce, di
suggellare con il solito vetro e acciaio, pietra
tombale di qualsiasi vita e bellezza passata,
l’ingresso alla nostra via carica di tutto il
passato e il ricordo di un tempo?
Siamo malati, malati di
bruttezza ormai.
Dirlo non è da ambientalisti.
Il rispetto, la sensibilità, la bellezza, non e’
da fanatici conservatori, ma è vera modernità,
valore, lungimiranza. Siamo partiti dal
vocabolario, ricordatelo, che non è politica o
ideologia. Non è essere
contrari al progresso e al benessere economico,
a meno che qualcuno mi dimostri che tutta questa
insensibilità, questo scempio porta benefici
alla cittadinanza e alla sua economia, e altre
soluzioni no. Che rende di nuovo sano ciò che
non lo era, invece di portare una nuova e più
devastante malattia.
Di toglierci l’anima,
l’armonia appunto, il ricordo, il legame con noi
stessi, la nostra vita, la comunità, il nostro
passato, il nostro futuro minacciato; di
sottrarci irreversibilmente, sprecandole per il
lucro di pochi, risorse preziosissime. Di
rendere il mondo intorno un po’ più grigio,
squallido, uniforme e normalizzato. Di vetro e
acciaio. Lasciandoci solo il miraggio di un
tesserino plastificato, una carta di credito
sempre più sgonfia per acquisti sempre più
inutili.
Milena
Debenedetti
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