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Siamo malati, malati di bruttezza ormai.

 

DEGRADO

di Milena Debenedetti

 

 


Premessa/nota a margine: l’ultima volta facevo qualche considerazione su indifferenza alla bruttezza e collegamento con inciviltà, menefreghismo, egoismo. Non è che riceva molte smentite, guardandomi intorno. E’ stata lanciata una bella iniziativa, ad opera e su suggerimento dell’Associazione Comuni Virtuosi, per sensibilizzare sull’enorme danno ambientale rappresentato dalle borse di plastica. La campagna qui denominata “porta la sporta”, pubblicizzata con iniziative e volantini.  Bene, ci ho fatto caso, ma non è che abbia visto in concomitanza una correzione dei nostri comportamenti in proposito, anche nel mio quartiere.

Anzi. Non solo le persone richiedono borse su borse, al supermercato, ma nei negozi devi lottare con chi ti rifila una borsina floscia e assolutamente monouso per qualsiasi acquisto.

Premessa 2/nota di pessimismo: ricordate che, sempre parlando di menefreghismo, citavo l’esempio di chi non cerca i cassonetti della differenziata perché sono troppo lontani, ecc. ecc.? Bene, siamo messi anche peggio di così. L’altro giorno ho visto, sul lungomare di Vado ligure, un ragazzo uscire da uno degli esercizi commerciali di fronte trasportando rifiuti, attraversare la strada, gettare senza alcuna  esitazione sia una borsa rigonfia, sia alcuni flaconi di plastica che aveva da parte nello stesso cassonetto dell’indifferenziata, ignorando gli altri a fianco. Ecco, siamo a questi punti di indifferenza. Credo che tali comportamenti andrebbero sanzionati. Non c’è altra via, anche se per natura preferirei sempre il rinforzo positivo (sconti sulla tassa rifiuti per i virtuosi).

 

Il famoso degrado

Ma veniamo a noi. Ero arrivata, a fine discorso, ad alcuni concetti che ho in mente e che forse meriterebbero di spenderci qualche frase in più. Sulla bellezza come armonia, come atmosfera che ci fa stare meglio, viene in qualche modo assorbita dall’anima e migliora la qualità della nostra vita.

Prima però bisognerebbe capirsi. Bisognerebbe mettersi d’accordo sul significato delle parole.

Il linguaggio non è una scienza esatta. Sappiamo benissimo che quando due persone pronunciano frasi identiche non è detto che intendano proprio la stessa cosa. Che questo ha causato e causa, nel corso della storia, fraintendimenti anche piuttosto incresciosi, dal lancio di piatti in famiglia alle guerre epocali.

Eppure, c’è chi ignora tutto questo. C’è chi tratta le parole, le frasi, come fossero univoche e lapidarie, identiche per tutti. Adottando la tattica di ripeterle fino alla nausea, per far sì che quest’unico significato, quello inteso dal proponente, sia dato per scontato, entri nella testa delle persone come unico e ovvio. Fino a trasformare la frase, la parola, in un rito, una litania cerimoniale, una formula convenzionale e vuota.

Prendiamo per esempio l’odiosa espressione “non arrivare alla fine del mese.” Quante volte l’avete sentita ripetere da politici compunti, di ogni colore? Poi ci sono le varianti, a seconda dell’enfasi e della drammaticità. Ultimamente non si arriva alla terza settimana, poi alla seconda.

E non sembra forse che tanto più la si pronuncia ossessivamente, come premessa di ogni discorso, come retorica, come formulario, senza peraltro fare alcunché di concreto per le tante persone che appunto si trovano in tale difficile condizione, anzi, continuando a ignorarle e a peggiorare le cose, tanto più assume sapore di beffa, di presa in giro e di offesa? Visto che a ripeterla sono coloro che proprio no, il problema non lo conoscono e non hanno alcun pudore. E scusate se è qualunquista dirlo.

Allo stesso modo sentiamo ripetere il termine “degrado”, riferito a qualunque zona che conservi ancora miracolosamente tracce di ambiente originario o di vestigia storiche.

E di “risanamento” “riqualificazione” per i progetti, di solito spaventosamente devastanti e cementizi, che dovrebbero seppellire tutto questo sotto un‘unica grigia colata.


Palazzo costruito al posto del cinema Astor all'inizio di via Pia

Il passo successivo è l’abbandono coatto, impedire qualsiasi miglioria o conservazione, in modo da trasformare quello che si presuppone (incuria, sporcizia, rovina) in realtà. Una specie di alibi a posteriori, in modo che la formuletta a forza di ripeterla si trasformi in definizione esatta. Un po’ come un incantesimo di Harry Potter. Solo che i nostri maghetti hanno ben altro in mente che far volare piume. O forse sono al diretto servizio di Voldemort, chissà.     

E così le persone si convincono. Che schifo, che indecenza quel posto, cade a pezzi. Bisogna intervenire. Se ci sono i progetti, che, ci assicurano, porteranno lavoro, prestigio, sviluppo…

Al solito, classicamente, questo si trasforma nella trappola per gli ambientalisti, già visti dai più come il fumo negli occhi. (Pseudoambientalisti contrari al progresso, fautori della decadenza, e tante altre belle formulette anche quelle). Gli ambientalisti che intervengono a difesa  di quello spicchio di ambiente, di quelle vestigia, sono rompiscatole, mettono i bastoni fra le ruote, sono velleitari, oppure, udite udite, “hanno degli interessi dietro”.

Bellissimo accusare gli altri delle proprie colpe. Come se i cementizi, loro, di lucrosi interessi non ne avessero affatto

Non vale l’ovvia considerazione che, se davvero quei progetti fossero la panacea che ci promettono, non ci sarebbe bisogno di imbonirci, insistere e di metterci di fronte al fatto compiuto: si sosterrebbero da soli. Niente, non si ragiona. Insofferenza o indifferenza.

Non c’è altra via per uscire da questo vicolo cieco se non evitare la trappola. O almeno provarci.

Partire da ragioni logiche che non possano essere tacciate di ambientalismo tout court.

A partire, appunto, dal significato vero e profondo delle parole.

“Degrado”: sul Garzanti non lo troviamo neppure. Esiste degradare, il verbo, di chiara derivazione militare, oppure nel senso traslato di umiliare, con la specifica che l’uso in questo significato è riprovato dai puristi. Idem per lo Zanichelli, dove è riportato un raro “deteriorarsi“.

Cominciamo bene: non è sul vocabolario. Ma sono edizioni vecchie, magari adesso esiste. Adesso che hanno scoperto questa stupenda etichetta propedeutica al cemento.

“Riqualificazione”: niente sul Garzanti.  Zanichelli: “acquisto di una qualificazione superiore da parte di un lavoratore, mediante appositi corsi”.

Un lavoratore?

“Risanamento”: Garzanti: “demolizione di vecchi quartieri malsani e privi di impianti igienici e loro ricostruzione secondo i nuovi criteri dell’urbanistica”. Zanichelli: “miglioramento del tessuto urbano mediante l’eliminazione di vecchi quartieri”. Attenzione: eliminazione, non aggiunta.

E da quando la Madonnetta sarebbe un vecchio quartiere privo di impianti igienici? Ma mi interessa più il significato profondo: rendere di nuovo sano, guarire.

Ora basta, o trascrivo tutto il vocabolario. Ma già questi esempi dimostrano che i significati non sono affatto scontati.

Ora  mi chiedo e  vi chiedo, tenendo a mente quanto sopra:  un ragazzino che si tuffa da uno scoglio vi appare degrado, umiliazione, deteriorarsi di qualcosa? Lo scoglio avrebbe bisogno di demolizioni e nuovi impianti igienici?

Un pescatore che cammina sulla spiaggia, una baracca di legno arrampicata su un costone e magari dipinta a colori vivaci, bambini che corrono, le onde che fanno un rumore leggero all’alba quando la spiaggia è deserta, sono squallore, malattia?

Una serie di moli grigi con grandi barche vuote parcheggiate e silenziose renderebbe “di nuovo sano” tutto questo?

Pensiamo alla zona del porto. Limitarsi a ristrutturare, o demolire e ricostruire le casette esistenti, aggiungerne qualcuna in stile, buttar giù i vecchi svincoli, favorire insediamenti commerciali, piazzarci magari un piccolo parco, un mercatino, qualcosa di tipico, aver salvato il Costa del Sol, valorizzare il lavatoio, recuperare le vestigia archeologiche a beneficio dei residenti e dei crocieristi, mantenere l’anima del quartiere, non sarebbe stato risanare? Per “migliorare il tessuto urbano”  bisognava aggiungerci una torre incombente, fredda, tanto fredda anche a  ferragosto solo a guardarla, e vuota, tanto vuota come dopo una catastrofe epocale, inanimata, estranea, e un palazzone-minaccia che pare la grande muraglia cinese? Non avrebbe potuto, l’insaziabile avidità degli speculatori, accontentarsi di qualcosa di meno, invece di tutto questo trionfale niente?

Così alla foce del Letimbro, con la sua vecchia centrale sventrata, c’era proprio bisogno di aggiungere quel palazzone rosa che si tenta falsamente di far apparire più piccolo? Non bastava ristrutturare quelli che c’erano? Si guadagnava troppo poco, non si faceva fruttare il terreno e la concessione?

Il vecchio ospedale, con i suoi cortili, gli alberi, i passaggi aerei e i tralicci, con il suo carico di antica sofferenza che pure è dignità, rispetto, di tante generazioni di savonesi, bisognerà proprio involgarirlo con gallerie commerciali, profanarlo, lastricarlo magari di vetrate, acciaio, rampe di cemento, (eliminando gli alberi dei cortili interni, ovvio, questa sarà la prima cosa). Oppure lasciarlo ancora e ancora marcire?

Via Pia aveva proprio bisogno di sostituire uno scempio con un altro, molto più inutile, negozi e appartamenti probabilmente semivuoti, di aggredire e incrinare antichi palazzi, di oscurare nuovamente stupende facciate miracolosamente tornate alla luce, di suggellare con il solito vetro e acciaio, pietra tombale di qualsiasi vita e bellezza passata, l’ingresso alla nostra via carica di tutto il passato e il ricordo di un tempo?

Siamo malati, malati di bruttezza ormai.

Dirlo non è da ambientalisti. Il rispetto, la sensibilità, la bellezza, non e’ da fanatici conservatori, ma è vera modernità, valore, lungimiranza. Siamo partiti dal vocabolario, ricordatelo, che non è politica o ideologia.  Non è essere contrari al progresso e al benessere economico, a meno che qualcuno mi dimostri che tutta questa insensibilità, questo scempio porta benefici alla cittadinanza e alla sua economia, e altre soluzioni no. Che rende di nuovo sano ciò che non lo era, invece di portare una nuova e più devastante malattia.

Di toglierci l’anima, l’armonia appunto, il ricordo, il legame con noi stessi, la nostra vita, la comunità, il nostro passato, il nostro futuro minacciato; di sottrarci irreversibilmente, sprecandole per il lucro di pochi, risorse preziosissime. Di rendere il mondo intorno un po’ più grigio, squallido, uniforme e normalizzato. Di vetro e acciaio. Lasciandoci solo il miraggio di un tesserino plastificato, una carta di credito sempre più sgonfia per acquisti sempre più inutili.

 

Milena Debenedetti 

Il mio nuovo romanzo  I Maghi degli Elementi