La scoperta di un ingegnere:
i castagni più vecchi e imponenti d’Italia
Lo studioso savonese ha scritto anche alla Rai per segnalare la presenza della
straordinaria area archeologica vegetale. Un museo a cielo aperto con centinaia
di alberi monumentali. Un bosco unico in Italia ricco di storia
Ormea
è un paese dell’alta val
Tanaro in una delle zone più romantiche d’Italia,
tanto bella quanto poco conosciuta. Solo duemila
abitanti, ma 124 chilometri quadrati di
superficie, dominata dalla prima delle grandi
Alpi, il
Mongioie
(2630 metri), una splendida dolomite nota quasi
solo ai locali, con la prima zona
carsica d’Italia
(il cui complesso di
Piaggia Bella, scoperto meno di cin
quant’anni fa nel massiccio del
Marguareis ha uno sviluppo di 40 km e
una profondità di 900), con una fortezza fatta
saltare in aria dai francesi a fine Settecento
e, soprattutto, con i castagni di
Chioraira.
Per non diffondersi troppo sul fatto che, dal
colle di
Caprauna, a 1379 metri di quota sulla provinciale tra
Ormea e Albenga, si vede l’intero golfo di
Genova fino a
Cannes, inclusi la
Corsica e l’Elba: una vista che toglie
il fiato e che non si può avere da nessun’altra
parte d’Italia, per lo meno nessuna che sia
altrettanto facile da raggiungere.
I castagni di
Chioraira, una frazioncina di
Ormea a più di 1100 metri, abitata
ormai solo d’estate, costituiscono una vera e
propria zona archeologica vegetale
e, insieme, anche un museo a cielo aperto:
almeno un centinaio di alberi monumentali,
alcuni dei quali si stima che abbiano più di
cinquecento anni d’età. Davvero giganteschi,
mostruosi per la loro dimensione, ma anche per
la loro drammaticità.
E il fatto più notevole non sta tanto nella
dimensione, nell’età e nella salute delle
piante, quanto nel fatto che costituiscono un
vero bosco dove le uniche piante importanti sono
proprio loro.
I castagni monumentali di
Ormea
non sono solo a
Chioraira: ce ne sono una
quarantina a
Porcirette, sulla strada che
conduce alle case
Rian e alla chiesetta
della
Madonna della Neve. Ne abbiamo visti
alcuni a
Prale Merlini e chissà
quanti altri ce ne sono che non abbiamo visto o
notato. Ma la concentrazione di
Chioraira
è la più importante.
Alcuni sono davvero immensi, con una
circonferenza di sei o sette metri. Alcuni sono
ridotti a semplici ceppi dai quali escono più di
una diecina di rami – o meglio, tronchi – di
dimensioni minori.
Altri hanno ancora la forma di albero,
nonostante siano bucati, tanto che attraverso
gigantesche fessure si vede una parte di bosco.
Uno, alle porte di
Chioraira, è tanto scavato che al suo
centro sembra ci sia una tana di animali. Ma si
tratta di alberi vivi, spesso con una chioma
folta e pieni di castagne. Salvo una fila di
alberi sul bordo di un prato, subito dopo
Chioraira,
che esibisce una selva di rami scheletriti su
piante che tuttavia sembrano vitali pur avendo
perso buona parte della chioma.
Qualcuno dice che moriranno presto a causa delle
malattie che ai giorni nostri
colpiscono i castagni per via dell’inquinamento
generale. Qualcuno dice che
moriranno presto perché non sono accuditi come
si dovrebbe, perché le loro castagne non
interessano più nessuno e perché quindi non
vengono neppure potati come si dovrebbe. In più,
queste piante appartengono spesso a proprietari
molto piccoli, tanto che qualcuna appartiene
addirittura a due o a tre proprietari, perché
posta sul confine di diversi appezzamenti di
terreno.
Nel passato, quando le castagne avevano
un’importanza molto maggiore dell’attuale,
c’erano molte cautele e liti per dividere
equamente le castagne
di un singolo albero fra i diversi proprietari.
Non va trascurato che le castagne erano un
alimento fondamentale, fresche o
secche che fossero: ne fanno testimonianza i
tanti seccatoi sparsi in tutta la zona e ormai
in disuso, salvo un paio.
Sono cose dei tempi in cui la dieta degli
abitanti delle frazioni era basata proprio sulle
castagne, oltre alle patate e ad altri alimenti
della zona, come le poche uova, gli scarsi polli
e il formaggio prodotto da persone del tutto
inconsapevoli che la vita, altrove, potesse
essere migliore. Così inconsapevoli che, non
appena
hanno capito e si sono trovati una via di fuga,
se ne sono andati: all’estero o in altre parti
d’Italia e, al minimo, nel capoluogo dove la
vita poteva essere diversa.
E siccome nella trasmissione televisiva Rai
avete celebrato alberi monumentali di altre
parti del mondo, incominciando con una quercia
da sughero della
Sardegna
continuando con i
Baobab africani e arrivando alle
sequoie del la
California,
ho pensato che dovreste essere interessati anche
a questi mostri che hanno solo due difetti: uno
è di essere caserecci e non esotici; l’altro è
che pochi, perfino a
Ormea, sembrano davvero consapevoli
del la loro unicità e del loro incredibile
valore, che potrebbe attirare turisti da tutto
il mondo. Forse a causa della lunga convivenza
che fa considerare ovvio tutto ciò a cui si ha
abitudine. Quindi, forse, non sono neppure accuditi come si dovrebbe. Ma certamente non
sono conosciuti e non sono fatti conoscere come
meriterebbero.
Raggiungerli è facile, perché basta seguire le
strade asfaltate che portano a
Chioraira e a
Porcirette, partendo dalla piazza principale di
Ormea. Il primo insieme cospicuo è a
Chioraira,
e s’incontra subito prima del paese. Ma un
gruppo ancora più interessante, per dimensione
degli alberi e per estensione, si trova subito
sopra, in una località chiamata
Rizzi.
Presumo che di
Ormea si sappia poco o nulla e
presumo che ci sia qualcosa in più, nella zona,
che possa italiani, cittadini europei e del
mondo.
Filippo Bonfiglietti
(Originario di Roma, Bonfiglietti è stato
dirigente industriale in grandi aziende
internazionali, uomo di marketing ed esperto di
comunicazione)
Albenga e Corsica dal colle di Caprauna. In attesa di una giornata ancora più limpida
Il Mongioie
Il confronto con la casetta: sembra quella dei sette nani
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