La montagna d’acqua

il primo romanzo di Cristina Ricci*


 Questo libro è molto, e tutto il suo contrario. Non è una storia vera, anche se si ispira ad essa. Non è un romanzo storico, perché la sentenza che ne scioglie il nodo è stata emessa solo nel 2006. Non è autobiografico, anche se è scritto in prima persona. Non è politico, anche se affronta lo scottante tema di un disastro ecologico sventato. Non parla di cose dimenticate, perché sempre più le popolazioni insorgono a difesa del territorio. Non è un saggio, anche se riporta e cita leggi e decreti. Non è un libro sulla condizione femminile, anche se la protagonista si dibatte in un matrimonio in crisi. Non è un romanzo d’amore, anche se il sentimento incalza pagina dopo pagina, tessendo la rete di una complicità irresistibile.

La montagna d’acqua è la storia della lotta di un popolo che vede la propria terra minacciata da un’incombente cascata di cemento. Storia di ch vuole mantenere vive le proprie tradizioni; storia di chi vuole innaffiare le proprie radici; storia di chi non sa dire di no al proprio cuore.

 

Recensione di Silvia Campese (Spotorno informa )

Esordio letterario per Cristina Ricci che, per le edizioni il Filo, ha pubblicato il suo primo romanzo:”La montagna d’acqua”. La storia, ispirata ad avvenimenti realmente acceduti tratta un tema di scottante attualità: uno sventato disastro ecologico. Come si legge nel retro copertina, “Questo libro è molto e tutto il suo contrario. Non è una storia vera, anche se si ispira ad essa. Non è autobiografico, anche se è scritto in prima persona è la storia della lotta di un popolo che vede la propria terra minacciata da un’incombente cascata di cemento. Storia di chi vuole mantenere vive le proprie tradizioni; storia di chi vuole innaffiare le proprie radici; storia di chi non sa dire di no al proprio cuore”. All’impegno socio-politico, l’autrice unisce un’abile capacità narrativa coinvolgendo i lettori nella vita dei personaggi. Ad essere toccati sono anche i temi delle difficili relazioni all’interno di un matrimonio, visto dalla parte delle donne ma sono affrontati anche i sentimenti d’amore e di passione. In fine, in appendice, una serie di sentenze relative al fatto di cronaca, puntuali e precise. Al suo esordio, l’autrice, nata a Savona nel 1968, Spotornese, attiva da anni nel volontariato, rivela una maturità stilistica notevole, unita ad una passione e un impegno che fanno del romanzo un testo forte e dirompente. Un’opera che vale la pena leggere per conoscere e approfondire realtà attuali ma anche per il semplice gusto di accostarsi a pagine ricche di sentimento e coinvolgenti.

*Cristina Ricci, quarantun anni, abita a Spotorno,  ha  pubblicato il suo primo romanzo (La montagna d’acqua – ed. Il Filo, Roma), un altro recentemente finito e tanta voglia di scrivere.

A questo “scarno” curriculum si può aggiungere la collaborazione con il blog dell’Udi Savonese per il quale Cristina Ricci ha scritto alcuni pezzi. 

A settembre pubblicheremo alcuni suoi raconti

SINOSSI

 

Storia reale – Appendice pag. 121. Contiene la sentenza n. 2001 dell’11 aprile 2006 passata in giudicato.

 

Benedicta - Altra tappa altra storia. Siamo nelle vicinanze del Sacrario della Benedicta; è qui che Maria racconterà la sua storia.

                     

La Benedicta ora non esiste più. Era la cascina dove trovavano rifugio i partigiani. Dopo il loro eccidio i tedeschi la distrussero minandola. Dopo la liberazione i patrioti tornarono per costruire il monumento.

La figura di Maria risalta sul plaid steso nel prato. Tutti noi ci sediamo in cerchio.

Lei inizia. “Erano i giorni che precedono la Pasqua. Le donne lasciate a valle pregustavano già la festa. Nel loro piccolo si organizzavano per dare una degna accoglienza a quell’uomo che sarebbe certamente sceso a valle per un frettoloso saluto. Dal canto mio da settimane cercavo di risparmiare su quel che passava la tessera. Con enorme fatica ero riuscita a procurarmi qualche grammo di caffè barattato al mercato nero. Le uova per fortuna non erano un problema, nessuno aveva ancora deciso di requisirmi le galline. Sapevo che Peppin sarebbe sceso; se non lo avesse fatto avrei portato io in montagna qualcosa di speciale per festeggiare la Pasqua. I contatti tra valle e collina non si erano mai interrotti e neppure i rifornimenti. Non erano molte le donne pronte a correre il rischio ma io ero tra loro. All’alba, o sul far della sera lasciavamo la sicurezza della casa e ci incamminavamo per i boschi. Nella borsa poche cose, giusto qualcosa da poter barattare in cambio della tua sicurezza. Ben nascoste, tra gli abiti, portavamo invece un po’ di speranza. Poche righe dalla famiglia, spesso viveri,  più raramente dispacci militari e pezzi di armi.

 L’inverno era passato. La neve era stata copiosa e vivere nelle baite utilizzate l’estate dai pastori all’alpeggio non era stato facile. I nostri uomini si ritrovavano in questi boschi. Il loro comando era proprio laggiù; dove adesso vedete quell’ammasso di pietre. Quelli sono i ruderi della Benedicta”. Nonna Salice si asciuga gli occhi con il dorso della mano “Scusate. Mi riposo un attimo.” Silenzio.

“Ogni volta che vengo qui penso che poso i piedi dove camminava lui; dove magari è caduto, ucciso dalla pallottola.”

Beve un sorso d’acqua e lentamente ricomincia. “Dicevo, là c’era il comando partigiano. Voi non dovete immaginare un esercito. Li  dovete vedere per quel che erano. Ragazzi di città, studenti scappati da casa per evitare la leva. Pochi raggiungevano i venticinque anni. Tra loro qualche uomo. Alcuni idealisti venivano addirittura dall’estero. Quasi tutti erano disarmati. Da queste parti era facile possedere fucili da caccia ma non erano certo adatti alla guerriglia. Occorrevano armi vere: mitragliette, bombe a mano e magari qualche piccolo obice. Solo così si poteva contrastare la potenza dei blindati, scendere a valle e ricacciare i tedeschi a casa loro.”

Si ferma, accarezza un cane che si accovaccia ai suoi piedi. Tira il fiato e riprende “Era l’inizio della primavera; il momento adatto per acquisire nuove armi da utilizzare nella controffensiva estiva. Ma come procurarsele? I lanci alleati non erano sufficienti così, armati di enorme coraggio, scendevano a fare razzia nelle caserme. Il rischio era alto ma non si poteva altrimenti. Accadde anche in quei primi maledetti giorni d’aprile.”

Le donne presenti, quelle che possono ricordare annuiscono col capo. Si avvicinano tra loro, quasi a compattarsi, e come una nenia ripetono “Maledetto aprile”.  Maria sembra non  farci caso. Il ruolo di narratore l’assorbe ormai completamente “Certo non si aspettavano una reazione così massiccia e violenta. I libri di storia dicono che poco meno di cinquemila uomini furono impegnati nell’azione di rappresaglia. Fascisti e tedeschi circondarono non solo la nostra valle ma anche quelle vicine. Impiegarono autoblindo e carri armati”.

Anch’io ricordo le parole dei miei vecchi, che raccontavano di giorni e giorni chiusi in casa per il terrore delle frequenti rappresaglie contro i civili.

“In montagna c’erano meno di mille uomini, per la maggior parte ragazzi. Le armi non bastavano neanche per un decimo di loro. Il rastrellamento fu terribile. Proprio in questo luogo, prima della distruzione del quartier generale furono uccisi un centinaio di partigiani. Altrettanti erano morti poco prima in battaglia. Nei giorni a seguire altri quattrocento giovani vennero arrestati e deportati in Germania. Quasi nessuno ritornò. Per un attimo sembrò che la lotta partigiana fosse finita; paradossalmente fu proprio quell’episodio a far rinascere l’orgoglio; si riorganizzarono e tutto iniziò. I tedeschi fucilarono più di duecento giovani, inesperti e disarmati che non rappresentavano un pericolo ma lo sarebbero diventati in futuro. Pensarono che fosse meglio non correre rischi. Non riuscirono però ad smorzare l’ideale. I pochi sopravvissuti non rinunciarono. Non si lasciarono travolgere dalla paura. Peppin non c’era più, altri presero il suo posto e tennero alta la sua bandiera. Qui c’è un pezzo della nostra storia, qui le nostre radici. Distruggere tutto ciò non è possibile”.

Nonna Salice è esausta. I ricordi hanno ridestato l’antico dolore. I sentimenti sono vivi come non mai. Un fiasco passa di mano in mano fino a raggiungerla.

Gli anziani che partecipano al lutto intonano il loro inno di battaglia; a poco a poco le strofe di Bella Ciao risuonano nella valle.

 

 

Parte ecologica “…Vado su e giù per i colli ammirando i campi. Il verde intenso dell’erba medica che si alterna all’ocra della terra appena arata, e poi il giallo del grano o i filari ordinati della vigna.

Come sempre le tonde balle di fieno lasciate ad asciugare nei campi attraggono la mia attenzione. Affascinato dalla strana geometria che disegnano sui prati col loro casuale abbandono. Colmano la vista. Passo e le osservo, cercando di distinguere l’intricata mappa tracciata sul terreno; intanto la memoria olfattiva ritorna al passato e risveglia i ricordi dei primi baci rubati…”

“…Dopo la salita, all’uscita dal bosco si apre l’altopiano. Arriviamo al belvedere. Da lassù la valle è ai nostri piedi. Lo sguardo non trova ostacoli. Il panorama è mozzafiato. La pianura è là sotto. A circoscriverla le colline; più oltre si intravedono alte montagne. Sui pendii più vicini ecco i nostri paesi; riconosciamo le nostre case. Mi stupisco di come cambino le cose quando vengono osservate da una prospettiva diversa.

Poi qualche bimbo chiede il perché di quella montagna senza alberi.

Eccola la cava dismessa. Circondata dalle altre cime verdi è ancora più inaccettabile che dal basso. La collina mostra la sua ferita. Dapprima il selvaggio disboscamento. Alberi e alberi tagliati e portati alle segherie. Uccelli e animali sfrattati. La nuda terra si spacca al sole, viene trascinata a valle con le piogge. Il fecondo terriccio trasformato dall’acqua in putrescente fanghiglia scivola via. La collina si inaridisce. Le mine continuano l’opera di distruzione. Botto dopo botto il colle è sventrato. Ruspe e camion  hanno portato via le sue viscere. In quello squarcio innaturale leggo un monito. Odo un gemito di dolore. Sento una corale richiesta di aiuto. “

“…In molti sono arrivati al parco. Famiglie intere, vecchie e giovani coppie innamorate, gruppi di amici ancora troppo  innocenti per misurarsi nel gioco all’amore.

Tutti si accalcano attorno all’improvvisato palco di Trotti. L’indomani la sua foto troneggerà sui quotidiani. Trotti ama il parco. E’ una sua creatura. Ha lottato fortemente affinché la popolazione lo accettasse e, ora che c’è riuscito, non tollera che un’imposizione lo possa mettere in discussione. Una prepotenza che non ha altra giustificazione se non il guadagno di un’azienda privata.

Come un Sioux lascia che i suoi capelli ondeggino nel vento. Sale su una vecchia scala arrugginita ripescata in cantina che funge da palco. La sua figura si staglia contro l’azzurro del cielo e sovrasta tutti noi. La sua voce è squillante.

“Benvenuti al Parco. Non potete immaginare la gioia di vedervi così numerosi. Mi scuso se ad accogliervi ci sono solo io. Certo qualcuno potrebbe preferire mascotte più simpatiche e avvenenti; ma questo non è ancora diventato un parco divertimenti. E’ l’unico polmone verde della provincia e non svendo la sua dignità. Non la baratto per aumentare il numero dei visitatori. Vorrei che fosse ben chiaro che la scelta di tutelare un territorio non è casuale ma ben ponderata. Ai più superficiali può apparire strano che, con una superficie di 8.215 ettari, ci paiano indispensabili quei 195. Se fanno un calcolo percentuale, come quelli in cui conta solo il profitto, la piccola area del Rio Bo rappresenta poco più del 2% dell’intera riserva. Un’inezia che vale milioni per la Cementi. E allora perché accapigliarsi tanto; dov’è il problema? ”.

Trotti si agita sulla scala. Una mano regge il megafono mentre l’altra rotea nell’area e descrive cerchi sempre più ampi. Non è solo il discorso a tenerci in silenzio; tratteniamo il fiato per timore che possa cadere da un momento all’altro.

Mi guardo intorno.

Bene; un mare di teste.

I bambini sono radunati laggiù; anche loro in silenzio. Stanno ascoltando la favola di Maria.

La voce tonante mette fine alle distrazioni “Il problema ve lo dico io qual è!! Il problema stà nella misura delle cose. Quando si vuole tutelare un’area si tutelano gli ecosistemi che vi risiedono. Questa parola sembra difficile da comprendere; in realtà basta pensarci poco per capirla. In un ecosistema tutto ha una funzione prioritaria; tutto è necessario per mantenere l’equilibrio. Equilibrio significa vita. Se io tolgo l’acqua dal torrente condanno a morte gli anfibi. Forse sono il solo che ha a cuore le sorti del geotritone. Questo piccolo animale vive solo qui; nelle grotte scavate dal torrente. La morte degli anfibi non significa solo l’aumento degli insetti. Le rane sono anche il cibo di altri animali. Cancellare un anello della catena alimentare ha conseguenze inimmaginabili. Passo dopo passo la degenerazione continua all’infinito. Potete immaginare l’ecosistema uomo vivere senza il cuore? Eppure, anch’esso rappresenta meno del 2% del peso corporeo. Perché non vendiamo anche il nostro cuore alle Cementi; e magari anche quello dei nostri figli?”. “

 

Impegno politico: “….Questa volta non ci sono discussioni. La posizione è unanime. C’è determinazione e rabbia. Sentiamo i nostri diritti calpestati. Capiamo che per il mondo del burocrate è facile cambiare le carte in tavola; travisare la realtà…”

“…In Italia la tutela del territorio non è cosa nuova per il legislatore. Il nostro però è uno strano paese dove le leggi esistono, spesso sono emanate anche in anticipo e con maggiori restrizioni rispetto agli altri paesi europei, ma, per strane ragioni, restano parole scritte e non norme da rispettare…”

 

Parte saggistica: “..Il legislatore italiano non si ferma qui, col Decreto legislativo 152 del 1999 ribadisce i criteri per una più rigorosa tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee attraverso elevati standard di qualità sanitari ed ecologici.

Ancora una volta il nostro paese anticipa le norme comunitarie. Solo l’anno successivo la comunità europea con la Direttiva 2000/60 sostiene che “l’acqua non è un prodotto commerciale, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”. Lorenzo inizia a citare le norme ma Gigi è un animo semplice. Basta guardarlo in viso per capire che si è già perso nei sentieri dei commi.

Lorenzo però non demorde, lascia stare il linguaggio tecnico e inizia a spiegare con parole povere ma ugualmente efficaci…”

“…Il 22 dicembre 1992, l’Assemblea Generale dell’ONU adottò una risoluzione che dichiarò il 22 marzo di ogni anno Giornata Mondiale dell’Acqua.

Senz’acqua si muore. Quando i grandi presero coscienza che l’acqua è indispensabile per la vita nacque in loro lo spirito che portò alla risoluzione…”

 

Diario intimo: “… Mi volto e ingenuamente domando “Perché mi hai chiamato quel giorno?”.

Sornione ribatte “E tu, perché mi hai risposto?”. Così, mente gira la chiavetta e ci avviamo alla meta, spengo l’autoradio e racconto.”….

“…. Al buio, in quel letto di spine, mi piego su me stessa. Bramo qualcuno che mi possa consolare come hai fatto tu. Cerco dentro di me la tua presenza e mi risponde silenzioso l’urlo della tua assenza. Le lacrime che avevo trattenuto a stento ora sgorgano liberamente. Scivolano dapprima, poi rotolano sulle mie guance. Carlo ha sputato la sua sentenza. Ha trovato una nuova posizione. Il suo respiro è già profondo. Solo io resto inebetita. Il dolore dentro me è così forte che quasi non lo sento. Troppo grande per percepirlo tutto in questo istante. So che coverà in me per giorni e giorni, mesi, forse anni. Sarà parte della mia vita. Resterà lì come il fuoco sotto la cenere, pronto a prendere il sopravvento quando meno te lo aspetti…” 

…Tra poco tornerò a casa. Con dolore mi chiederò perchè il compagno della mia vita non possa capirmi come fai tu. E ancora una volta mi addormenterò senza conoscere la risposta.”

…Impiego il troppo tempo libero passeggiando. Passo ore e ore a camminare, sola con i miei pensieri a cercare di ritrovare il bandolo di una matassa che pare un gomitolo arruffato per gioco dal gatto. Anche il destino sembra essersi divertito. Incurante nell’intrecciare le nostre vite…”

 

Romanzo d’amore: “La gioia arriva all’improvviso, così intensa che quasi non me ne rendo conto. Dura un attimo. Come un miraggio subito si dissolve. La mia coscienza riprende il controllo.

E’ durato un secondo appena.

Stò male.

Rallento il passo. Mi impongo la calma. Respiro più a fondo.

La nebbia svapora, la consapevolezza mi assale all’improvviso e come ogni tiro mancino giocato dal destino ha la meglio sulle mie allentate difese.

Lo choc.

Piano.

Respirare.

Aria dentro.

Adagio.

Aria fuori.

Tutte le tessere del mosaico vanno al posto giusto…”

…Un sorriso ebete si stampa sul mio viso. Scopro  nuove sensazioni. La salivazione aumenta; il desiderio di te si accende. Poi ancora tormento e sensi di colpa. Se innamorarsi significa amare allora io ti amo…”

…mi ritrovo come a quindici anni. Non è la prima volta che capita. Succede ogni volta che ti incontro e, improvvisamente mi ritrovo a girare in un vortice. La razionalità mi abbandona.

Ti vedo: i miei occhi si riempiono della tua immagine; la memoria impegnata a non lasciar sfuggire nessun fotogramma. Devono essere immagazzinati tutti. Attimi da rivedere e rivivere ancora.

Il mondo intorno a me sfuma. Resto lì, dimentica di tutto. Esisti solo tu; solo noi. Le tue parole sono il suono dell’incantatore. Mi  ipnotizzano.

Parole, la tua voce. Fitta allo stomaco, quasi dolorosa. I piedi formicolano. I polpastrelli bruciano. Avvicinarsi. Le tue labbra. Toccarti. Contrazioni continue salgono dal profondo delle budella. I tuoi denti. Le gambe si muovono. Che sapore avrai? La fossetta sul mento. La mia salivazione aumenta.

Ma cosa dici? Lo spazio tra i tuoi incisivi; ci passerà un fiammifero e chissà che altro. Deglutire. Camminare. Altri suoni. Sorridi. Prime rughe ai lati degli occhi; zampette di passerotto.  I miei zigomi si alzano. Le immagini impressionano la pellicola della mia mente. Baciarti: vietato. Le mie labbra si stendono, si alzano; meglio sorridere. “Scusa, puoi ripetere?”. Persa nei tuoi occhi apro bocca solo per dire “Non ho capito nulla.”…”