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L’opinione/ Quel “liberi tutti”, dalla scuola del Pci ai nostri giorni col Pd

Il comico Grillo, società televisiva, populismo

E …<Vien da dire, mal scavato vecchia talpa>

  di Franco Astengo

La candidatura del comico Grillo alla segreteria del PD, al di là della sua proponibilità materiale, offre lo spunto per una riflessione di carattere generale collocata anche al di là delle consuete annotazioni sul populismo, che partono da Giannini e l”Uomo Qualunque”, passano per Poujade ed approdano ai modelli dominanti, attualmente, nel sistema politico italiano, impersonificati dall'attuale Presidente del Consiglio e dal suo contraltare ex-magistrato, mentre la Lega Nord ha preso la via del partito etnoregionalista di massa e dentro il partito ( o meglio la “coalizione dominante”) del già citato Presidente del Consiglio albergano ancora consistenti settori ad “integrazione sociale” (populismo che, come ha fatto notare Galli della Loggia, ha piena cittadinanza, ed anzi può essere utile, in una sistema politico articolato come il nostro, nel suo rapporto complessivo con la società civile).

Il PD sfugge a questo tipo di catalogazioni, più o meno “classiche”, da manuale di scienza politica, ad appunto per questo è oggetto di questo tipo di assalti che dimostrano, peraltro, l'assoluta fragilità del soggetto più rappresentativo di quella che fu una presunta “area riformista” e che oggi pare non possedere più alcuna identità, ed alcun titolo di presenza nella già citata complessità del sistema politico.

Come si è arrivati a questo punto?

L'itinerario è quello della grande crisi dei corpi intermedi che ha agitato la società italiana a partire dai primi anni'90 del secolo scorso, allorquando ai fattori internazionali di crisi sistemica ( parametri di Maastricht, caduta del muro di Berlino, cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”) si aggiunsero gli elementi di una particolare crisi interna, dovuta alla crescita esponenziale del debito pubblico e alla scoperta di un vasto intreccio di corruzione tra partiti e settori “forti” dell'economia nazionale ( ricordiamo la tangente “Montedison”, madre di tutte le tangenti e, in principio, il meccanismo messo in atto dal processo di nazionalizzazione dell'energia elettrica. Una vicenda proveniente da lontano, esplosa in varie forme, a partire da quello scandalo dei petroli, all'inizio degli anni '70, cui i partiti cercarono di porre argine, alcuni furbescamente, altri ingenuamente, con il finanziamento pubblico: strumento assolutamente impopolare, che ha contribuito fortemente alla crisi di credibilità dei partiti stessi, ricordando anche l'esito del primo referendum sulla materia, svoltosi nel 1978, che ebbe sì un esito positivo per i partiti, ma per il rotto della cuffia, facendo suonare un fortissimo campanello d'allarme: si rovesciava, a partire da quel momento, il rapporto di egemonia tra partiti e società civile, a favore di quest'ultima dopo che, per trent'anni, era stata saldamente in mano – appunto – ai partiti stessi).

Una crisi che i partiti hanno creduto, anche qui un furbescamente, creduto di compensare esaltando il proprio potere di nomina, diventato quasi esclusivo al riguardo della scelta dei componenti del Parlamento.

In questo quadro è avvenuta la trasformazione del PCI, non tanto in PDS, DS “o come si chiama adesso”, ma da partito ad integrazione di massa, a partito “elettorale” fino a partito egemonizzato dalla “società televisiva”, elemento ben diverso dalla “società civile” (proprio perché il rapporto con la “società televisiva” è unidirezionale, mentre quello con la società civile complesso ed articolato, al di fuori della portata della ricerca “ossessiva”  del “nuovismo” che caratterizza questa fase, da parte del PD).

Forniamo allora qualche cifra di questo passaggio: il punto di passaggio più importante, per quel che riguarda appunto il PCI era rappresentato dalla forza del gruppo dirigente, indipendentemente dalla collocazione istituzionale, e quindi, dalla ricerca del consenso al di fuori dal quadro di partito: era necessario, invece, per essere un dirigente politico, muoversi  in modo da essere rappresentativi degli atteggiamenti etico – politici presenti nelle sezioni e nel partito in generale.

Si tratta di una differenza fondamentale, se pensiamo che dal 1948 al 1979 i membri del Comitato Centrale del Partito e della Commissione Centrale di Controllo membri dei due rami del Parlamento, erano mediamente tra il 20% ed il 30% (29,4% al 1953, 28,7% al 1958, 29,5% al 1963, 27,1% al 1968, 24,5% nel 1972, 22% nel 1979, 22,2% nel 1983).

Parliamo di organismi composti, complessivamente, da circa 200 persone (non certo i 3.000 delle Assemblee Nazionali di adesso).

Si poneva, quindi, un problema di selezione dei quadri dirigenti e di accesso alle istituzioni, attraverso i meccanismi collettivi di costruzione del partito: mera cooptazione e burocratismo?

Non crediamo proprio, ma semplicemente si ravvisavano in allora  margini molto ristretti per qualsiasi ipotetico tentativo di crearsi una legittimità elettorale ai margini del partito, con posizioni artificiosamente differenziate, magari attraverso meccanismi di carattere clientelare.

Rischio di promuovere i “fedeli” e lasciar fuori i “bravi” ed “indisciplinati? Un rischio sicuramente corso e l'accenno al fatto che la garanzia, sotto questo aspetto, avrebbe dovuto venir fuori da una apertura del dibattito che, nel PCI, rappresentò il vero punto di ritardo.

Punto di ritardo che avrebbe ben potuto essere colmato senza azzerare del tutto l'identità organizzativa del partito.

Abbiamo citato il PCI perché, all'interno del sistema politico italiano dell'epoca, rappresentava il modello più importante del partito “ad integrazione di massa”, teorizzato da Duverger: ma è quel modello, in generale, che ci premeva ricordare e mettere a confronto con il vuoto che ci ritroviamo davanti oggi

. Rispetto a ciò che accade oggi, forse sarebbe stato bene riflettere al meglio su quel tipo di partito e sulle modificazioni da apportare alla sua vita interna.

Invece “liberi tutti”, con una ricerca del “nuovo” e di una “legittima esterna”, al riguardo della quale non era contemplata nessuna possibilità di trasmissione dal partito alla società dal punto di vista del sistema dei valori e della linea politica, agendo soltanto in chiave propagandistica e in funzione “governista”, arrivando alla fine, con la gestione più recente del PD, addirittura a confondere i meccanismi di scelta per le cariche pubbliche, con quelli necessari per selezionare i quadri di partito (si veda l'attuale rincorsa alla segreteria, il cui modello appare quello delle primarie USA per la Presidenza, in un contesto come ciascheduno di noi ben comprende, affatto diverso e che ha dato vita ad un meccanismo di andata e ritorno che ci permettiamo, senza offesa per alcuno, di definire almeno “grottesco”).

Si è così smarrito il modello del partito ad integrazione di massa, per approdare ad un esito totalmente incerto e non classificabile sul piano della struttura di un qualsivoglia corpo intermedio (partito, gruppo politico, soggetto politico) di mediazione tra la politica e la società, con ricerche assurde di tipo “giovanilistico” al riguardo delle quali ci permettiamo davvero di dubitare della effettiva genuinità.

Risultato: una perdita totale di egemonia, non compensata dalle apparizioni televisive (come ben sanno anche dalle parti della sinistra ex-”arcobaleno” la cui evoluzione forse è ancora peggiore di quella del PD, ma che non esaminiamo per ragioni di economia del discorso) e, di conseguenza, facilmente esposta agli attacchi provenienti proprio da quella “società televisiva” portatrice del germe del “populismo”.

Verrebbe proprio da concludere: “mal scavato vecchia talpa!”.

Savona, li 14 Luglio 2009                                                                     Franco Astengo