TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
L’opinione/ La millenaria
capacità della chiesa cattolica con l’ultima enciclica Il
papato di Benedetto XVI e il
“socialismo cristiano” La fase
del post-liberismo e della globalizzazione alla luce di “Caritas
in veritate” di Franco Astengo Nei
giorni dell'inutile G8 il più alto magistero della Chiesa Cattolica,
confermandosi nella grande capacità di intervenire a tempo nelle attuali
e vitali questioni del secolo, interviene attraverso una importante
enciclica papale dedicata ai temi della globalizzazione, dell'economia,
della società e dei risvolti etici che interessano l' iniziativa
pastorale ed il rapporto di questa con gli stati, i sistemi politici, la
società moderna in generale. Emerge,
da questo testo, curiosamente, una contraddizione che si potrebbe
definire “ciclica”: da un papato, come quello di Benedetto XVI
che ben si può definire, sul piano strettamente religioso (semplificando
molto, in verità), come “integralista” emerge una
angolazione sui problemi dell'economia, del lavoro, della convivenza
sociale di apertura intellettuale e di analisi complessiva, (c'è chi,
nei commenti, colloca il testo di questa “Caritas in Veritate”
sul solco della montiniana “Populorum progressio”): una
presunta contraddizione che era emersa anche oltre un secolo fa, nel
1891, quando Leone XIII, il papa che aveva assunto (per la
prima volta nella storia) la filosofia tomistica come filosofia
ufficiale della Chiesa cattolica, emanò l'enciclica “Rerum Novarum”,
che rappresentò la base su cui elaborare una vera e propria dottrina
sociale, sulla cui base costruirono i propri presupposti teorici le
future forze politiche di ispirazione cattolica che stavano per scendere
in campo, nella vita politica dell'Europa, per contrastare, proprio sul
terreno del confronto di massa, i partiti socialisti che, in quel
momento stavano organizzandosi, per reclamare, oltre a diverse
condizioni materiali di vita, anche un mutamento radicale nella
concezione della vita politica e istituzionale dei diversi paesi, con
l'estensione, graduale e contrastata, del suffragio universale. Oggi “mutatis
mutandis” la Chiesa Cattolica si trova di fronte ad un problema, per
certi versi analogo: in un clima complessivo di secolarizzazione che ha
contrassegnato l'avanzata tecnologica delle seconda metà del '900
la crisi, prima finanziaria poi economica globale, ha posto in evidenza
l'impossibilità di procedere con il liberismo
reaganian-tachteriano che ha caratterizzato l'ultimo ventennio;
si affermano nuove grandi nazioni formidabili sul piano economico e
poste assai contraddittoriamente sul piano politico (dittature
centralizzate, democrazie “aperte”, ecc) mentre crescono le
diseguaglianze di fondo, a livello di continenti. La
Chiesa Cattolica, o meglio l'enciclica papale, non recita
sicuramente il “de profundis” del capitalismo e, sicuramente, non ne
progetta il superamento, pur ponendo al centro il tema del lavoro
(distinguendo molto bene da una qualsiasi idea di recupero della
contraddizione di classe) .
Sicuramente, nel testo papale, ci si misura con l'ipotesi di tracciare
la strada per una “torsione” verso il bene comune ancorato saldamente ad
un'etica della responsabilità e della giustizia sociale, in un contesto
complessivo (e qui la contraddizione che si segnalava poc'anzi, stride
molto meno ed il solco appare davvero essere quello di Leone XIII)
di “adesione ai valori del cristianesimo, quale elemento
indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero
sviluppo umano integrale”. Il punto
più importante che l'enciclica affronta è quello di un “nuovo
governo mondiale”, fondato su di una sorta di ideale “socialismo
cristiano”: un'utopia, un sogno, oppure un modo per dirottare
forze capaci di raccogliere le tensioni, liberate dalla crisi delle
grandi ideologie, e ricondurle dentro il recinto del magistero
universale della Chiesa? La
risposta a questi interrogativi, dato e non concesso che questi siano
posti correttamente, non è semplice: ma si tratta, comunque, di un
terreno di sfida per chi pensa di andare avanti nell'idea di una
radicale trasformazione degli equilibri sociali e politici, partendo da
una visione dell'economia e dello sviluppo sulla base dell'intervento
collettivo, dell'equilibrio, di nuove relazioni tra gli Stati, di
diverse aggregazioni geo-politiche a partire da quella europea. Nel testo
di “Caritas in veritate” si fissano i paletti di una
visione morale della Chiesa nella fase del “post – liberismo”
e della crisi della globalizzazione, reclamando per la religione uno
“spazio pubblico”, reclamando il rapporto tra la scienza e la
metafisica, la protezione della vita, il dialogo tra politica e
teologia. Una
proposta insidiosa per quanti intendono reclamare la laicità del governo
dello sviluppo, la democrazia quale fattore di eguaglianza e di
affrontamento concreto delle contraddizioni sociali e, necessariamente,
si trovano nella condizione di esercitare una pratica “dialogante”. Abbiamo
bisogno, assoluto, di un utilizzo diverso delle fonti energetiche, di
uno sviluppo della tecnica quale fattore di miglioramento progressivo
della condizione umana, di un primato dell'etica laica rispetto alle
grandi questioni economiche. Non c'è
oscurantismo nelle parole dell'enciclica, anzi emerge una sorprendente
modernità: proprio per questo, però, dal nostro punto di vista risalta
l'esigenza di un ritorno all'illuminismo, al protagonismo della
politica, alla funzione dello Stato separato con grande precisione e
grande capacità di confronto culturale, da tensioni etiche che
appartengono ad una altra sfera. Abbiamo
bisogno di tornare al pieno esercizio di una democrazia intesa in
funzione di “liberazione dei popoli”. Savona,
li 8 Luglio 2009
Franco Astengo |