versione stampabile

Se un paese si mobilita solo dopo le stragi. Se il nemico è individuato nei Cobas

<Io pendolare. Oggi la tragedia di Viareggio

domani disastri idrogeologici, sismici, rifiuti>

Alta velocità,Tav, trasporti. La politica deve scegliere tra ”pubblico” e “privato”

  di Franco Astengo

Il luttuoso disastro ferroviario di Viareggio può ben essere catalogato come una vera e propria “tragedia nazionale”, frutto di superficialità e incuria nella gestione di uno dei settori più delicati, come quello dei trasporti, della nostra vita pubblica: è stato facile, da più parti, individuare le cause primarie di questo, come di altri disastri che via, via si sono succeduti nel corso dell'ultimo periodo.
Si è parlato, giustamente, di carenza di risorse, di deficit di personale e di manutenzione, di privilegio di aspetti d'immagine nella gestione delle ferrovie come nel caso dell'Alta Velocità Milano – Roma (una linea che, per diventare redditiva, dovrebbe triplicare i passeggeri: obiettivo per il quale non c'è nessuna speranza), della vicenda della TAV.

Addirittura l'ex-sindacalista che siede ai vertici dell'Azienda ha additato, tra i suoi critici, i COBAS che sarebbero maldisposti soltanto perché non avrebbero firmato l'accordo sul “macchinista unico”: un esempio, davvero, quell'accordo (negativo) di tentare la  sostituzione arbitraria della capacità di decisione dell'uomo con quella della tecnologia.

Una decisione dell'uomo che, è bene ricordarlo, proprio a Viareggio ha consentito, se possiamo permetterci accenni di questo genere, di “limitare il danno” di fronte al rischio, seriamente corso, di un “disastro epocale”.

Meno dibattute, invece, le ragioni di questo stato di cose che “vengono da lontano” e trovano omologati i governi di centro – destra (ovviamente quello attuale si trova, gioco forza, sotto i riflettori della critica) e quelli di centro – sinistra: (come ben dimostra la cronaca dei fatti di un periodo abbastanza recente della nostra storia): è bene ricordare questo punto, non semplicemente per amore di polemica e/o di distinguo.

Il dato di fondo è quello dell'idea del “privato” che prevale sul “pubblico”: questo elemento  ci richiama alla questione vera, quella decisiva.

Il privilegio di un trasporto pubblico su ferro di tipo “appariscente” con il Presidente del Consiglio con in testa il cappello da capotreno, fa  il paio con l'abbandono del resto della rete ai contratti di servizio con le Regioni ( qui ci sarebbe da ragionare sul federalismo, e sull'efficienza delle Regioni a gestire comparti così delicati nella vita di tutti i giorni: una riflessione che dovrebbe accomunare, ad esempio, trasporto e sanità, come i fatti di questi giorni –  anche nel comparto sanitario – ci confermano con forza) che, in nome di un presunto risparmio che invece finisce con il favorire un cumulo di logiche tutte negative, stanno facendo andare definitivamente in malora la rete ferroviaria del paese. Rovinando la vita quotidiana dei poveri pendolari (chi scrive ha esperienza diretta, sotto questo aspetto: una esperienza assolutamente non smentibile) e una gestione “privatistica” del trasporto merci, alla cui acquisizione di particolari, approfondendo semplicemente la lettura dei giornali in occasione dell'episodio di cui ci stiamo occupando, da far davvero rabbrividire (pensiamo al tema dell'autorizzazione a viaggiare per carrozze – merci di proprietà privata al riguardo delle quali lo stesso amministratore delegato delle Ferrovie sa di non poter garantire nulla, proprio in tema di sicurezza).

La politica è un nostro vecchio vizio e allora torniamo alla politica, proprio per affermare che eventi di questo genere richiamano la necessità di esistenza di una sinistra, progettualmente e politicamente autonoma in una sua specifica soggettività,  prendendo le distanze prima di tutto proprio da questo disegno strategico di ingresso del privato e della speculazione in settori strategici, come quello del trasporto pubblico su ferro.

La rete ferroviaria italiana ha bisogno di un intervento di fondo di ristrutturazione, adeguamento, ammodernamento in tutte le sue componenti; ha bisogno di investimenti; dovrebbe essere terreno di un piano strategico di intervento pubblico in economia; di una gestione centrale limpida ed uniforme.

Partire da un piano di intervento pubblico di questo genere, un vero e proprio “piano di settore” (ovviamente ne servirebbero altri, in settori delicatissimi, di messa in sicurezza del territorio: pensiamo all'assetto idrogeologico, ai rischi sismici,alla gestione dei rifiuti ecc,ecc.) significa, in sostanza, prendere le distanze seccamente dall'idea sbagliata della privatizzazione, della concessione acritica a logiche speculative, impostare, finalmente, un diverso metodo di governo che finora è clamorosamente mancato al centro-sinistra racchiuso, appunto, in logiche di privatizzazione e teso ad esaltare valori presuntamente moderni e post – materialisti, poi rivelatisi del tutto illusori. Così come sono illusorie le idee sulla trasformazione della politica in sede separata,  in luogo di esaltazione della personalizzazione, di incredibili scontri falsamente mascherati da conflitti generazionali (chi viene prima, chi viene dopo) come sta tristemente avvenendo nel PD.

Ricostruire l'idea del “pubblico”, dell'interesse collettivo, di un intervento di reale e concreto “governo” del territorio: ecco una missione ben precisa per una sinistra che intenda riattrezzarsi per essere protagonista nello scontro politico e sociale del paese.

Basta strologare a vanvera su “nuovo lavoro” e quisquilie di questo genere, oppure di “ricostruzione morale e civile”, citando a sproposito Gramsci da parte di dirigenti incolti e pressappochisti.

Occorre mettere mano a progetti concreti, che proprio partendo da un punto di fondo che ci permetta di misurarci con un orientamento di tipo generale, vadano alla realtà del Paese.

Questo del trasporto pubblico è soltanto, un esempio, di tragica attualità che ci dice come dovremmo muoverci per reclamare, con una grande campagna politica (che ci troverebbe a fianco dei lavoratori delle ferrovie, al di là di distinzione di sigle o di apparati), una svolta profonda.

Savona, 1 Luglio 2009                                                            Franco Astengo