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Un anno fa rovente polemica: Caldana, Scrivano, Boffredo. Cosa è cambiato?

La frittata delle sagre

in salsa “riso amaro

Rane, anguille, lumache sono piatti nostrani? E le forniture di quintali di prodotti dei pastifici? E le tonnellate di “surgelati”, spesso fondi di magazzino? 240 feste in estate

di Luciano Corrado

 

Lettera aperta all’assessore Scrivano”. La data è del 17 agosto 2008. La firma è di Aldo Caldana, albergatore a Pietra Ligure e ristoratore, a Borgio, in quello che per anni fu il tempio della cucina tipica di Verezzi. Specialità: lumache nostrane alla verezzina, soprattutto. Con l’inimitabile scià Gina, Virginia Balocco storica titolare del Bergallo, oggi “Antica Osteria Saracena” Bergallo. Con nuovi proprietari.

I buongustai arrivavano da mezza Liguria, dal Piemonte, dalla Lombardia. Nei fine settimana senza prenotazione non si trovava posto. In estate era ressa. Il menù offriva altre prelibatezze casalinghe: ciupin, minestrone di fettuccine al pesto, risotto con sugo di arselle.

I profumi, entrando in quel santuario di pietre a vista, erano invitanti, da acquolina in bocca. Poi il vinello, l’ormai rarissimo Barbarossa, o Lumassina (Buzzettu) e nostralino locale. Bei tempi da ricordare per chi ha avuto la fortuna di viverli!

Cosa chiedeva, un anno fa, Caldana, famiglia di operatori alberghieri che hanno dimostrato sul campo, col lavoro, l’intraprendenza, il rischio, il sacrificio, di non appartenere alla truppa dei  parolai?

Aldo Caldana, nella educata e costruttiva missiva (vedi…) ringraziava l’assessore provinciale Carlo Scrivano al quale chiedeva di conoscere  l’elenco di tutte le sagre fatte o da fare in provincia di Savona. Con un finale: <Per rendere conto anche agli altri ristoratori visto che non esiste nessuna associazione>.

All’origine della richiesta, l’imprenditore pietrese spiegava: <Sto combattendo una battaglia contro i mulini a vento.  Tutto l’anno si aspetta la stagione estiva e con essa un incremento di lavoro che non arriva, anzi siamo danneggiati da un proliferare di sagre con varie denominazioni ed a beneficio di enti ed associazioni non meglio identificate che comunque non creano posti di lavoro. Rispetto le Sagre che hanno una loro cultura culinaria ed una propria storia, vedi i “Gunbi” di Toirano, quella di Ranzi, di Verezzi e poche altre, ma a vedere  i menù con le più variegate ricette che vanno dall’antipasto al caffè, a volte di qualità scadente, sono uno schiaffo morale per noi ristoratori che cerchiamo di presentare ai residenti e ai turisti la tradizione culinaria della nostra terra, senza tralasciare il fatto che tasse ed imposte  sono solo a nostro carico ed i dipendenti devono essere retribuiti tutto l’anno>.

Un discorso che, visto dalla parte degli operatori del settore, e non solo, è la fotografia reale. Senza esagerazioni, senza estremizzazioni.

Da vecchi cronisti la memoria ci porta indietro nel tempo. All’esordio delle prime sagre, anni ’50. Avevano un unico scopo: valorizzare, in estate, un piatto, una specialità della storia e tradizione culinaria. Nella zona andava per la maggiore, quanto ad affluenza e “venduto”: la Sagra del Crostolo a Borgo Castello di Loano. Oppure del “Pigato” a Salea d’Albenga. Quella del “nostralino” a Ranzi; delle Lumache a Verezzi.

Con gli anni iniziò una vera e propria inflazione, con le denominazioni più stravaganti, bislacche. Ma di questo parleremo più avanti.

La lettera di Caldana, ripetendo un vecchio copione, aveva riacceso la miccia. Si susseguirono prese di posizione, spesso senza capo né coda. Un minestrone ribollito, con una finale scontato. Non è cambiato nulla. Tutto come prima, all’italiana.

Qualche giorno dopo (vedi….) in pompa magna ha risposto l’assessore Scrivano. Ecco la sua puntuale e precisa “analisi-ricetta”, destinata manco a dirlo a restare tale: <Basta sagre a go-gò. Codice di autoregolamentazione ed un accordo provinciale per le sagre gastronomiche>.

Se l’alter ego dell’allora presidente Marco Bertolotto avesse avuto la diligenza di informarsi, si sarebbe reso conto che la sua proposta non era né originale, né inedita. Vecchia di qualche decennio, fine anni settanta. Riproposta a scadenze,  a orologeria. Il problema è che in tutti questi anni solo bla-bla.  Con sagre sempre più inflazionate. Il freno probabilmente sta arrivando solo ora, dalla crisi che colpisce soprattutto la “spesa popolare”. Ammesso che alcuni prezzi praticati fossero diventati un “risparmio” per le famiglie più numerose.

Per Scrivano le oltre 240 sagre della provincia di Savona: <…meritano tutta l’attenzione possibile anche perché riassumono opinioni largamente diffuse tra gli operatori della ristorazione>.

Ma qual è il loro valore, visto che erano nate per valorizzare, mantenere viva la tipicità dei piatti nostrani, tipici,  veicolo di promozione del territorio attraverso il ritorno turistico. Incrementare il nostrano, il genuino. Aiutare la cultura della qualità.

Il vangelo secondo Scrivano recitava: <Le sagre sono espressione di un movimento di volontari che testimoniano con la loro partecipazione l’adesione alle finalità sociali e benefiche a cui sono destinati i proventi delle sagre stesse…Devo riconoscere che in qualche caso le sagre sono andate perdendo il loro spirito originario trasformandosi in meri eventi commerciali. E’ necessario intervenire con precise linee da parte delle istituzioni competenti…come è indispensabile che le associazioni promotrici si dotino di una sorte di codice d’autoregolamentazione e lo osservino>.


Carlo Scrivano

Un colpo al cerchio e l’altro alla botte. In teoria l’assessore Scrivano, già braccio destro del presidente della Provincia, Alessandro Garassini, diceva bene. I risultati pratici? Quelli che ogni operatore privato che paga di tasca propria, deve inesorabilmente raggiungere se vuole mandare avanti l’azienda, pagare stipendi e tasse, investire nel rinnovamento senza il quale non c’è scampo e senza lavorare in ostaggio alle banche.

In un anno non è successo nulla.

E’ vero la crisi della Provincia ha detronizzato tutti. Scrivano, quale esperto di turismo, è stato subito accolto da Massimo Parodi, deus ex macchina dell’Unione provinciale albergatori, affiliata alla Confindustria, che a sua volta è chiamata a tutelare gli interessi delle grandi catene, dei grandi gruppi, quelli edili compresi, con un debole per le seconde case, rivelatesi un’ottima medicina per la qualificazione turistica-alberghiera e soprattutto per le ristrutturazioni alberghiere, come gentile omaggio allo sviluppo armonico.

In seguito alla crisi in Provincia, Parodi, albergatore varazzino di successo, è passato alla presidenza dell’Stl (sistemi turistici locali), ente che ha sostituito Apt Riviera delle Palme, che aveva come direttore generale Emanuele Ravina.

Chissà se Carlo Scrivano quando faceva quelle dichiarazioni ad Augusto Rembado in materia di sagre avrà avuto modo di leggere precedenti prese di posizione della Confcommercio provinciale- sindacato pubblici esercizi. In particolare titolari di ristoranti, pizzeria, bar, capeggiati all’epoca da un battagliero Pasquale Tripodoro.

Elencavano alcuni spaccati non proprio secondari. Il problema igiene, il rispetto delle norme, i controlli. Problemi degli scontrini, la loro disciplina delle feste di piazza. Esplose anche il nodo delle “sagre di partito”. C’erano state lettere al prefetto, esposti alla magistratura, alla Guardia di Finanza. Ci sono nomi e cognomi, articoli di giornale, fotografie. Mezze pagine. La minaccia di rendere pubblici nomi e cognomi.

Tra le “rivelazioni” imbarazzanti una certa sinergia tra organizzatori e grossisti (alcuni) di prodotti alimentari. I fondi di magazzino, ricordavano le contestazioni, finiscono proprio alle sagre dove si distribuisce a migliaia  e migliaia di  consumatori merce superscontata.

Un business perché da una parte il “grossista” e chi lo rifornisce fa un affare, dall’altra chi organizza compra a prezzi da saldo e smercia senza dover rispondere in prima persona della qualità, della fedeltà del cliente. A fine manifestazione le due “convenienze” fanno si che il “profitto” diventi un bel gruzzolo.

E’ possibile che nel 2009 si organizzino ancora “sagre” o se volete “feste” di prodotti letteralmente scomparsi dalla produzione locale? Che significato ha e quale è l’utilità, l’indotto nel  tempo, unico termometro corretto e di buon senso, oltre il buon nome commerciale?

Facciamo un esempio a caso. A fine luglio c’è la “sagra della lavanda di Nava” (imperiese). Non esiste un solo produttore, né un metro quadrato coltivato a lavanda in quell’area. La merce arriva tutta da fuori, anche dalla Francia.

O ancora quante sono a Loano le panetterie-pasticceria che “producono” i crostoli?

O se volete, le sagre di “cucina saracena” (sic)?

Un elenco che ci porterebbe a diventare noiosi. Basti pensare alle pesche che arrivano da fuori regione, come per le rose o per i frutti di bosco. O la festa della transumanza dove i pastori si sono estinti da qualche anno. Persino della rapa, della trippa, della salciccia.

La vergogna-scandalo è di fare sagre dove di tradizionale non c’è più nulla e dove si smercia una girandola di piatti e prodotti di uso industriale. Non si promuove un prodotto locale che non esiste più. A quale scopo? 

La Sagra di San Giorgio d’Albenga aveva fama di essere un fiore all’occhiello; c’erano mamme e nonne, rigorosamente casalinghe. Riuscirà a resistere alle tentazioni?

Altre sagre, diventate ultrapopolari, si sono trasformate in formidabili macchine di produzione per pastifici vari (senza per questo sindacare sulla leicissima attività di aziende artigianali)  dove si sfornano quintali e quintali di - vengono definite nei manifesti -  “specialità nostrane” della tradizione e della cucina ligure.

Aldo Caldana da operatore turistico che rischia in prima persona, forse continuerà a farsi del nervoso, avrà un’ulteriore conferma che bisogna sempre salire sul carro di chi vince. Le lotte isolate non hanno fortuna, pur se sensate, ragionevoli. Si fa la figura dei marziani.

Le associazioni di categoria finiscono per essere, a loro volta schiacciate, sia dalla diffusa sudditanza ed incapacità (anche per conflitti di interesse diffusi e timori vari) di chi rappresenta i colleghi, sia da un  potere pubblico sempre più occupata da professionisti della politica. Hanno come unico mestiere e fonte di reddito la poltrona, lo stipendio garantito. I gettoni di presenza. Spesso sono anche baciati dalla fortuna, diventano dei benestanti per meritocrazia e capacità sconosciuti.

Nella gestione della “res pubblica” incapaci di decidere, in eterno conflitto con lo strapotere che comanda, a cui bisogna ubbidire.

Con una sistema di informazione sempre più vicino al palazzo e sempre più lontano dalla vita di chi lavora, produce, rischia, si sacrifica.

In un generale clima di sfiducia dove ognuno pensa ai fatti suoi, al tornaconto personale, a sistemare figli e nipoti senza i rischi del precariato.

I mulini a vento di cui parla Aldo Caldana  sono diventati una realtà con cui la stragrande maggioranza dei cittadini e degli operatori commerciali-turistici convivono. Le voci “fuori dal coro” sono sempre più isolate. La memoria storica non serve. Non ci sono solo le vituperate veline. Nessuno parla dei tanti “velini”.

A proposito quando esploderà, se esploderà, la prossima puntata sulle sagre. Con il presidente provinciale dell’Unione Pro Loco Italiane, Gianni Boffredo, che dopo il letargo ci dirà: <Proponiamo piatti tipici con ingredienti genuini, prodotti che è raro trovare nei ristoranti, come rane, anguille, lumache, pan fritto, buridda, senza mai utilizzare cancarone, ma vino locale doc; siamo tutti muniti di permessi sanitari, sottoposti alla commissione di vigilanza, paghiamo la Siae, anche per chi non consuma. La sagra valorizza le bellezze dell’entroterra e spesso restiamo l’unico strumento per invogliare i turisti a visitare i nostri paesi. Siamo tutti volontari. Siamo pronti a sederci attorno ad un tavolo per far cessare queste spiacevoli polemiche…>.

Abbiamo capito tutti bene. Tra le specialità locali nostrane, l’Unione Pro Loco Italiane, si fregia di rane, anguille, lumache.

Meriterebbe una promozione a presidente provinciale degli albergatori, in alternativa dei commercianti, degli esercenti. Finalmente saranno tutelati da un bravo presidente della Pro Loco che può fregiarsi di un meraviglioso entroterra. Non valorizzato, nei fatti, come meriterebbe. E’ per questo che continuano a chiudere alberghi, ristoranti, trattatorie, negozi. E chi ci prova, spesso, ci lascia le “penne”.

Luciano Corrado