versione stampabile

       BERTINOTTI, PARTITO UNICO

E FRATTURE SOCIALI

                    di Franco Astengo


L'ex-presidente della Camera dei Deputati, Fausto Bertinotti, attraverso una intervista rilasciata a “La Stampa” ha lanciato la proposta di una riunificazione partitica dell'opposizione di centro – sinistra (da Rifondazione Comunista fino al PD) presente in Italia, fuori e dentro al Parlamento.

Inutile dire che le sue parole hanno suscitato notevoli reazioni, animando il dibattito: un dibattito, al riguardo del quale, crediamo valga la pena entrare nel merito.

  Una premessa: sarebbe bene che, ciascheduno di noi, nell'avanzare proposte politiche in questa fase di evidente, forte difficoltà per la sinistra italiana (ed europea) in tutte le sue espressioni, non scambiasse il fallimento della “propria” linea politica, con la chiusura di qualsiasi prospettiva storica, con la cancellazione delle culture politiche esistenti, con la necessità di una vera e propria palingenesi.

L'agire politico procede giorno per giorno, richiede rispetto immediate ai più diversi livelli, reclama -comunque – il riferirsi ad una prospettiva di medio – lungo periodo e, soprattutto, non consente di lasciare vuoti, che immediatamente sono riempiti.

Nella fattispecie , poi, non vorremmo che si scambiasse la necessità di cancellare le culture politiche di un intero secolo (il tanto famigerato '900: lungo o corto?) con il semplice fallimento della linea politica contingente di un piccolo partito in paese di secondaria importanza come l'Italia: un piccolo partito dimostratosi incapace, sul piano strategico, di coniugare un presunto “movimentismo” con un realistico “governativismo”, che lo ha portato ad allevare uno stuolo di “piccoli presidenti e assessori che cresceranno” e che adesso rappresentano, scissioni o non scissioni, un ceto politico “pesante”, capace soltanto di proporre “rinnovamenti e/o arroccamenti” in funzione della conservazione del posto.

Detto questo per la precisione e per puntualizzare al meglio l'avvenire, sembra proprio il caso di affrontare con il massimo della capacità di riflessione la questione di fondo che viene posta: una riunificazione partitica in funzione, appunto, della costruzione di una nuova cultura politica (o viceversa: una nuova cultura politica per la costruzione di una riunificazione partitica?).

I partiti, i grandi partiti di massa nei punti”alti” dell'Occidente si costruirono, all'epoca, attorno a “fratture sociali” ben definite, mentre ad Oriente si verificò invece una accelerazione attraverso un inveramento statuale di fraintendimenti dell'analisi marxiana sui quali non è possibile, a questo punto, soffermarsi.

Rimaniamo, allora, alle “fratture sociali” attive, in allora, in Occidente per chiederci: sono finite, hanno esaurito la loro funzione, oppure sono ancor attive e necessitano di una risposta sul piano politico?

Andiamo per ordine:

1)    La frattura centro – periferia (alla quale andrebbe aggregata quella città – campagna) appare quanto mai viva, non soltanto nell'affermazione dei partiti etnoregionalisti ed euroscettici, ma ben più complessivamente, con l'intera periferia del mondo che si muove verso il centro;

2)    La frattura capitale – lavoro ha certamente mutato di segno, si sono stratificati diversi livelli di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, stanno tornando di moda gli “schiavi” sia nella società “affluenti” sia in quelle povere ed i “liberti” partecipano e concorrono a creare le condizioni di sfruttamento, che permane, eccome se permane;

3)    La frattura Stato – Chiesa: nel “caso italiano” non è mai stata così operante, non è mai avvenuto che la Chiesa (neppure ai tempi della DC, anzi De Gasperi respinse assalti molto pesanti, fino al punto di subire un ostracismo “personale” da parte del Vaticano) sia stata così interferente nelle questioni dello Stato italiano. Tutto ciò non accade soltanto in Italia, pensiamo alla situazione spagnola, dove lo scontro non è mai stato così aspro.

Questa brevissima analisi, se considerata veritiera, ci pare indichi la necessità di aprire un dibattito sulla prospettiva di un rinnovamento nelle forme politiche della sinistra italiana che non sia semplicemente frutto della pressione derivante da episodiche sconfitte elettorali, ma partendo da una condizione di realistica valutazione della situazione sociale, in una dimensione non provincialistica, e la conseguente elaborazione di un quadro teorico – programmatico adeguato.

Non è finita qui: perché se si vuole affrontare per intero questo argomento vanno compiute delle scelte ben precise anche sul terreno della struttura politica (quale partito? Ha ancora un valore il concetto di “integrazione di massa”? Oppure bisogna rifugiarsi nell'americanizzazione compiuta, nella “vocazione maggioritaria”, nel “catch all party”? Come giudichiamo un meccanismo dell'alternanza bipartitico, cosa ben diversa, tra l'altro, dal bipolarismo?) e della costruzione sistematica, a livello nazionale e sovranazionale ( quali poteri da cedere, da parte dello “Stato Nazione” alle evidente ragioni della sovranazionalità, a partire dalla dimensione europea? La Repubblica rimane fondata sul Parlamento e sui consessi elettivi, a livello locale,o lo logiche del maggioritario, del presidenzialismo, dell'elezione diretta, della personalizzazione ormai risultano essere incontrastatamente egemoni?).

Ho elencato soltanto alcune delle domande possibili, ma si potrebbe proseguire a lungo, soltanto allo scopo di individuare il terreno e delimitare il perimetro della discussione: non tanto e non solo rispetto al tema dell'ampia riunificazione partitica proposta nell'occasione, ma anche per quel che riguarda anche altri livelli del dibattito che sta attraversando, sinceramente ancora in una maniera molto confusa, quel che rimane della sinistra italiana.

Se, infine, si pensa che siano, in gioco, nel breve periodo le sorti dell'agibilità democratica in Italia, allora la proposta potrebbe essere quella di formare un “listone” elettorale dell'opposizione, per cercare di battere, alle prossime elezioni politiche, l'attuale maggioranza e, successivamente, modificare la legge elettorale in senso proporzionale “vero”, senza premi o trucchi di sovrappresentazione di minoranze (meccanismi che, la storia insegna, aprono la strada ad avventure autoritarie), e confrontarsi serenamente costruendo nuove, diverse, antagoniste identità.

Savona,  12 Giugno 2009                                                     Franco Astengo