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L’OPINIONE/
A futura memoria prima dei risultati elettorali delle Europee
<Prega e la fede verrà…
ma io non ci credo>
Cosa insegna la sinistra italiana e quella degli altri Paesi.
Teniamone conto
di Franco Astengo |
Mancano pochi giorni alle elezioni europee
e la sinistra italiana ha l'obbligo di interrogarsi in anticipo
sulla prospettiva che la attende, al di là, dell'eventuale
superamento del 4% da parte delle liste in cui risulta
suddivisa, del perpetuarsi delle ambiguità interne al
PD
di cui non si riesce a scorgere l'idea della possibile reazione
ad un risultato che dovesse confermare i sondaggi della vigilia. A nostro giudizio rimane, comunque ed in maniera imprescindibile, la necessità di lavorare per la costruzione di un nuovo soggetto politico, capace di rappresentare il meglio della storia, della tradizione, della realtà della sinistra italiana. |
In Europa, o almeno, nella
sue parti
socialmente ed economicamente più
avanzate, la realtà della crisi ha portato,
invece, ad emergere nuove realtà di una sinistra
di tendenza anticapitalista, in forme nuove come
il
NPA francese (che aggiorna, in
versione movimentista, tradizionali tendenze
“radicali” dell'estrema sinistra francese, ma si
ventila anche una ripresa dello stesso
PCF), ed in Germania, dove ci si fonda sull'intreccio più
“classico” tra socialdemocrazia di sinistra,
sindacalisti e “post-comunisti”, in quella
Linke di cui si pronostica l'approdo al
10%.
In entrambe le situazioni
che con quella britannica (dove il
Labour ma per ragioni anch'esse indipendenti dalla realtà
della crisi, appare in declino: laddove potrebbe
emergere la nuova realtà dei
Green) sarà interessante verificare dove si assesteranno i
partiti socialdemocratici: in forte crisi il
PSF,
data il calo l'SPD.
Nelle situazioni più
importanti apparirebbe dunque importante la
ricerca di una realtà politica nuova, di
collegamento tra i settori più sensibili ad una
idea di chiusura del ciclo neoliberista, in
chiave di crisi complessiva del sistema e quelli
maggiormente orientati a leggere, nella fase, i
tratti di una ristrutturazione capitalistica che
richiama la realtà di elementi di connessione
tra una economia programmata dall'intervento
dello Stato, la riqualificazione del welfare,
una diversa cura del territorio e delle
condizioni di vivibilità nelle metropoli,
l'integrazione dei soggetti protagonisti della
nuova immigrazione, il rilancio della produzione
industriale solo strumento per arrestare il
processo di una nuova disoccupazione di massa
(naturalmente nella produzione industriali ci
stanno innovazione tecnologica e ricerca
scientifica), il progressivo spostamento di
settori dell'economia dalla finanziarizzazione
selvaggia alla produzione di beni e di servizi
comuni, in modo da sconfiggere una idea di
società fondata sull'individualismo
consumistico, anche attraverso una grande
battaglia di rilancio culturale.
Tralasciamo i grandi temi
del quadro internazionale, a partire dalla
situazione del
Medio Oriente e degli equilibri tra
gli
USA e le potenze asiatiche, proprio per
non disperdere troppo il discorso.
Limitiamo il raggio
d'azione a quel quadro europeo cui ci stava
riferendo e che, in questa campagna elettorale,
ha avuto, invece, pochissimo se non alcuno
spazio: ebbene, proprio in questo quadro, emerge
la necessità di una nuova soggettività politica
della sinistra capace di porre in connessione le
diverse parti in cui adesso appare suddivisa,
collegando chi pensa ancora possibile
riallacciarsi alla tradizione della
socialdemocrazia di sinistra a quanti provengono
da storie diverse, in particolare da quella
comunista (non crediamo, a differenza, di
Alain Badiou che il comunismo sia,
ormai, una idea che non ha bisogna di
strutturazione nel rapporto con le masse). E' possibile,
non solo realizzare questa ipotesi come pura
convivenza, ma come luogo di progettazione e di
aggregazione reali, collocandoci fuori da un
semplice richiamo all'unità della sinistra, così
com'è, che rimane una opzione superata dai
fatti. In Italia questa
necessità appare ancora più urgente per la
situazione specifica della nostra democrazia e
per la “torsione” in negativo che, nel corso di
questi anni, ha subito la realtà dei partiti:
ritornano qui i discorsi già usati sulla
governabilità, sulla personalizzazione, sul
Parlamento e sul ruolo dei consessi elettivi,
sulla collocazione teorica del partito nella
dimensione dell' “integrazione di massa”.
Esiste lo spazio politico
reale per una operazione di questo genere,
dotata di carattere assolutamente “non provincialistico”?
Se noi analizziamo
seriamente una ipotesi di costruzione per un
progetto di sbocco, a medio periodo, dalla crisi
del ciclo capitalistico, lavorando per riaprire
un processo di inclusione sociale, economica,
politica, culturale per le grandi masse, a
partire dall'Occidente europeo, ma con un
respiro effettivamente “globale”, nel segno di
un intreccio tra le grandi contraddizioni del
nostro tempo e dell'affermazione dei diritti di
cittadinanza, allora troviamo ragioni per
comprendere come non servano divisioni tra una
sinistra “di progetto”
ed una sinistra “antagonista”: perché, nei
fatti dell'operare politico, per entrambe deve
valere l'idea dell'alternativa di società.
Non ci sono più eresie da
coltivare tra noi: la nostra, comune, eresia è
quella di pensare ancora alle idea di
eguaglianza, solidarietà, libertà. Non è retorica,
non lo crediamo proprio.
Servirà guardare ai
risultati del 6-7 Giugno per prendere atto della
realtà politico – elettorale intorno a noi, ma
anche per comprendere che si tratta di andare
avanti: non sarà utile un atteggiamento
“giansenista” (prega e la fede
verrà); dovremo, invece, lavorare da subito
attorno ai tre grandi nodi:
programma economico; programma
istituzionale, struttura politica.
Savona, 2 Giugno 2009
Franco Astengo
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