TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni By J. Bochaca
Questo libro uscì nel 1982,
attingendo e sviluppando le idee di Ezra Pound (Canto XLV
sull’Usura) e Fernando Ritter (Lo pseudo-capitale) sull’usura
bancaria. Dopo oltre un quarto di secolo, il testo mantiene
purtroppo intatta la sua validità. Contro le comuni aspettative,
la critica del sistema bancario, che dissangua i popoli,
soprattutto le sue frange meno abbienti, non è stata sinora
patrimonio delle sinistre, ma anzi una battaglia della destra
più “nobile”. Una battaglia purtroppo sospesa dalla stemperata
destra attuale, confluita in quella “mucillagine politica”, come
la definì De Rita, in cui s’è amalgamato l’intero arco
partitico, e configurabile come un enorme comitato d’affari al
servizio dei banchieri. Una battaglia oggi ereditata, a
sorpresa, da un partito “a sinistra della sinistra smarrita”: il
PCL, Partito Comunista dei Lavoratori, guidato da Marco
Ferrando.
[…] In Europa i banchieri erano già
all'opera al principio del secolo XVII, prima ancora che
esistesse quello che, con un eufemismo, si è chiamato "il
sistema bancario". I possessori di oro o argento lo
consegnavano a un banchiere affinché questi lo custodisse in
cassaforte. Il banchiere non era altri che il guardiano dei
risparmi dei suoi compaesani, il quale, in cambio della
sicurezza fornita come custode dell'oro ed argento altrui,
esigeva un modesto compenso (interesse).
Il banchiere, ovviamente, rilasciava una
ricevuta per i valori affidatigli. Un tizio che depositasse
mille scudi d'oro nella cassaforte di una banca, otteneva dal
banchiere una ricevuta di pari importo. Quando successivamente
il depositario tornava a prendersi il danaro, la banca glielo
restituiva, detraendone l'interesse vigente, a compenso per la
custodia dei valori, e la ricevuta veniva distrutta. Tale ricevuta - documento di per sé
incensurabile -, su cui progressivamente si edificherà la più
colossale truffa di tutti i secoli - non solo di quelli passati,
pure di quelli a venire - era in realtà una semplice promessa di
pagamento, firmata dal proprietario di una cassaforte. Tali "promesse di pagamento" divennero
cedibili e si tramutarono, di fatto, in danaro. Il che si
rivelava affatto logico e conveniente, posto che risultava assai
più comodo e sicuro impiegare un pezzo di carta in luogo di
portarsi appresso bauli di monete d'oro e d'argento. Questi
pezzi di carta, queste "promesse di pagamento" si usarono
infatti come danaro, movendo dal presupposto che il danaro sia
qualcosa di idoneo a ottenere la cessione di mercanzie, o la
prestazione di servizi, o serva a saldare debiti. L'esperienza quotidiana insegnò ai
banchieri una circostanza curiosa. Essi constatarono che solo
raramente i loro depositanti si presentavano a restituire la
ricevuta (le loro "promesse di pagamento") per riprendersi il
metallo prezioso. In generale - e il fenomeno è perdurato
immutato fino ai giorni nostri - i depositanti prelevavano un
dieci per cento sul totale dei valori depositati. Se Caio
depositava, poniamo, mille scudi d'oro, o qualsiasi altra moneta
a corso legale, come l'argento, prelevava poi in media cento
scudi per lo svolgimento della sua attività, il mantenimento, le
spese ordinarie, ecc. - lasciando in giacenza presso la banca i
rimanenti novecento scudi. In altri termini, se un banchiere che
custodisse un deposito di un milione di scudi, ne avesse
perduti, rubati o dilapidati novecentomila, i centomila restanti
sarebbero stati ancora sufficienti a fronteggiare l'usuale
richiesta dei suoi depositanti. Ammaestrati da ciò, i banchieri
iniziarono a porre in circolazione altre ricevute, ossia altre
"promesse" di pagare in oro, sino a decuplicarle rispetto alla
quantità d'oro che realmente custodivano, fornendo tali
"promesse" dietro congruo interesse. Non bisogna mai
dimenticare, neppure per un attimo, che i banchieri prestavano -
e continuano a prestare - qualcosa che essi non possedevano, né
in qualità di proprietari né in qualità di depositari o, al
massimo, in quest'ultima veste, solo per il dieci per cento del
totale da loro "prestato". Di più, come garanzia di solvibilità
dei clienti a cui concedevano prestiti, i banchieri esigevano i
titoli di proprietà delle case, delle officine, dei fondi, dei
raccolti ecc., in guisa che se un prestito, aumentato degli
interessi cumulati, non veniva rimborsato entro una determinata
scadenza, il banchiere diventava proprietario dei beni concessi
in garanzia. Qui è opportuno un inciso. Si richiama
l'attenzione sulla circostanza che il banchiere non prestava -
né presta - danaro bensì semplicemente una promessa di pagarlo.
Il valore del danaro deriva dal fatto che esso materializza un
servizio, lavoro o altro, reso alla comunità. Per questo dà
diritto a godere di beni o servizi che richiedono una pari
quantità di lavoro. La "promessa di pagamento, al contrario, è
una richiesta di beni in nome di un servizio che non si è ancora
svolto. Questo comporta la sottrazione di beni e servizi a
coloro che hanno compiuto un lavoro utile alla comunità a
vantaggio di chi promette, con un semplice scritto, di compierne
domani. E il fatto che per mezzo di tali
promesse si fornissero beni e servizi, ovvero che esse
funzionassero come denaro, non altera il fatto che danaro non
erano, bensì semplicemente promesse di pagarlo e nulla più. Con
la aggravante che tali "promesse" rimanevano prive di reale
copertura in oro o argento. Promesse create "ex nihilo" e
producenti un lauto interesse. Il prestito è stato anche definito come
uno scambio di debiti. Il banchiere prende la garanzia (titolo
di proprietà d'una casa o fabbrica, per esempio), per la quale
si obbliga verso il proprietario; questi, a sua volta, riceve
dal banchiere le "promesse di pagamento" o, come si suol
chiamarle, il credito, per il cui ammontare, maggiorato degli
interessi, rimane obbligato al banchiere. In realtà quanto è
accaduto risulta un mero scambio di promesse: la promessa del
banchiere di pagare al suo cliente, contro la promessa di questi
di rimborsare il prestito più gli interessi. Il cliente dà, in
garanzia, i titoli di proprietà della sua casa o fabbrica. Il
banchiere non dà un bel nulla. Si potrà obiettare che il
banchiere presta il danaro e che esso costituisce la sua
garanzia. L'obiezione è assolutamente falsa! Il banchiere non
presta danaro; egli ha messo in circolazione "promesse di pagar
danaro" (sono queste che effettivamente ha prestato),
rappresentanti una massa di danaro che è il decuplo [siamo
arrivati a un fattore, non più di 10, ma di 50!] di quanto
realmente ha in cassa. E chi possegga dieci non può, né potrà
mai, prestare cento. In altre parole, mentre le banche
dispongono verso la comunità di garanzie che rappresentano
ricchezze reali, quali sono le case, le fabbriche, i fondi, i
raccolti ecc., la comunità non dispone, nei confronti delle
banche, di alcuna garanzia. Il minimo tentativo che venisse
fatto dai creditori di una banca per esercitare le proprie
"garanzie" verso di essa, dimostrerebbe come dette "garanzie"
non abbiano alcuna consistenza. Se poi tali creditori dovessero
mettere alle strette la banca, porla con le spalle al muro,
verrebbero puniti con la perdita di tutti i loro risparmi. La
banca chiude gli sportelli, dimostrando che le sue "promesse di
pagamento" sono false... salvo che non intervenga, in soccorso
della banca, lo Stato, con una moratoria - moratoria le cui
conseguenze saranno che, alla fine dei conti, sarà stata la
comunità in blocco a pagare per la banca e le sue false
promesse. [frase profetica!] Ma tutto questo equivarrebbe ad
anticipare gli avvenimenti. Torniamo all'epoca in cui il
banchiere sta prestando il suo credito (le sue "promesse di
pagamento") ai suoi concittadini. Ipotizziamo che i suoi
creditori abbiano depositato nella sua banca un miliardo di
lire. Il banchiere ha aperto crediti per dieci miliardi di lire,
distribuendo ai suoi clienti i libretti di assegni bancari.
Questi assegni, che verranno utilizzati per le successive
transazioni, rappresentano del danaro creato con un semplice
tratto di penna sui registri contabili della banca. Essi giocano
esattamente lo stesso ruolo del danaro falso, giacché fanno
aumentare le possibilità di acquisto e, per ovvia conseguenza,
fanno lievitare i prezzi e svalutano il denaro esistente prima
del “prestito”. In altre parole: col produrre nuovo denaro il
banchiere, alla pari di un volgare falsario, ha rubato un po’ a
ciascuno dei suoi connazionali, ottenendo per giunta un
interesse su questo danaro rubato. (Continua sul prossimo numero) |