RACCONTO
(Nuova versione)
Vittorio Croce fu lieto del diversivo, quando il
suo amico Gianni gli telefonò: era una serata
troppo afosa per rimanere a casa. Indossò il
primo abito estivo capitatogli tra le mani e si
recò all’appuntamento.
Decisero di fare una
capatina in darsena e, appena giunti, scorsero
un vecchio conoscente. Era un ex compagno di
scuola di Gianni, ben noto anche a Vittorio
perché talvolta avevano organizzato uscite a
tre. Il tempo di scambiare due convenevoli e
subito costui iniziò a commiserarsi. |
<<Sapete che Michela mi ha lasciato, povero
me.>> – Lo sapevano, sì: non parlava d’altro. –
<<Sei mesi di felicità cancellati in un
attimo senza una ragione. Ho capito che non sei
la persona giusta per me. Vi rendete conto? Mi
ha detto solo questo: ho capito che non sei la
persona giusta per me.>>
<<Sì
Francesco, lo so.>> – Vittorio lo disse con
rassegnazione. Da tempo l’uomo sfogava le
proprie frustrazioni sulla spalla di chiunque
avesse la ventura d’incontrarlo. – <<Alle volte
succede, purtroppo. Credevo ti stesse passando,
sono trascorse settimane.>>
<<Ah,
ma allora tu ancora non conosci la novità,
Vittorio. Hai ragione, cominciava davvero a
passarmi, te lo giuro, ma l’altro giorno ero
appena rientrato dal lavoro, quando me la vedo
piombare in casa…>>
Le
storie d’amore di Francesco Sassi, questo era il
suo nome, terminavano sempre con una rottura,
perché la sua personalità ingarbugliata lo
rendeva indigesto a qualsiasi donna.
Felice
come un bambino, ogni volta descriveva, aulico e
rapito, la nuova conquista e la presentava come
il grande amore della sua vita:
“Finalmente la ragazza giusta, con cui metterò
su famiglia – era il suo chiodo fisso, la
famiglia – la giovane a cui ho sempre aspirato e
che ora ho trovato, ah Lucia, Lucia, che
incantevole fanciulla sei, Lucia”.
Lucia,
Giovanna, Paola, un'altra Lucia, Samantha, una
seconda Giovanna, Teresa, Deborah, eccetera,
eccetera. Di solito erano relazioni di breve
durata e sei interi mesi rappresentavano quasi
un primato. Un periodo durante il quale la
succitata Michela doveva avergli inviato chissà
quanti segnali, sistematicamente ignorati,
perché lui era incorreggibile. E chi ne faceva
le spese erano amici e conoscenti, destinati a
sopportarne i pianti fino al successivo incontro
affettivo.
Vittorio ascoltava con apparente disponibilità,
tuttavia un sordo magone gli risaliva lentamente
alla superficie dagli abissi della psiche.
Prestargli attenzione gli causava dolore, perché
era scontento della propria vita sentimentale.
Nessuno
però lo capiva. “Per fortuna tu sei forte, non
ti spezzi, hai una personalità rocciosa, tu
superi ogni problema”, gli ripetevano le rare
volte in cui accennava alle proprie
insoddisfazioni. Purtroppo non era vero. Più
semplicemente tendeva a tenersi tutto dentro.
Sbagliava e lo sapeva, ma non poteva farci
nulla, era la sua natura. E anche ammesso che
fosse stato davvero la possente roccia supposta
dagli amici, perfino i macigni più saldi si
sfaldano e franano a valle, dopo millenni
d’infiltrazioni piovose e sbalzi di temperatura.
Intanto
il suo compagno d’uscita serale si era assunto
l’incarico di consolatore:
<<Dai,
non te la prendere. Ho un’amica infermiera di
trenta anni. Si è appena lasciata col fidanzato.
Avrebbe pure lei una gran voglia di sistemarsi.
Magari te la presento, combino un incontro.>>
<<Ehi
Gianni, guarda che Francesco non è l’unico a
essere solo a questo mondo, ci sono anch’io,
perché a me non hai detto nulla?>> Sbottò
Vittorio, incapace di trattenersi.
<<Ma tu
sei forte, tu te la cavi bene e poi lei non è il
tipo giusto per te. Non vi ci vedrei, insieme.>>
Vittorio non rispose, ma udendo l’affermazione
dell’amico provò una rabbia intensa. Almeno
Francesco aveva molteplici opportunità, mentre
l’assurdo preconcetto da cui lui si sentiva
bersagliato contribuiva ad acuirne la
solitudine. Su quale base poi ritenerli
incompatibili, se nemmeno si conoscevano? In
quel mentre rammentò alcune esponenti del
cosiddetto gentil sesso, che alcuni mesi prima
se l’erano presa con “voi uomini, tutti uguali,
inaffidabili.” “Maledetti luoghi comuni. Perché
non mettete alla prova me, per una volta”- aveva
gridato interiormente. - “Non siamo tutti
uguali, noi. Lo siete voi, invece, le
superficiali siete voi donne.”
Infine
Francesco Sassi proseguì per la sua strada. Gli
altri due invece sedettero ad un tavolo
all’aperto di un bar.
Gianni
conduceva la conversazione. Di ottimo umore e
corroborato dalla birra, sprizzava vitalità da
ogni poro, chiacchierava, gesticolava e lanciava
frizzi e facezie su mille argomenti. Temi che a
lui, invece, pur con tutta la buona volontà,
almeno per quella sera non suscitavano alcun
interesse. Ciononostante partecipava alla
conversazione e, in fondo, ascoltarlo gli
giovava, perché gli permetteva di distrarsi.
Forse era proprio quello il guaio: siccome
quando si trovava con amici lasciava da parte
gli assilli, non riusciva mai a sfogarsi ed era
ritenuto saldo e imperturbabile. I problemi
rimanevano però sotto la superficie e tornavano
a galla non appena si ritrovava solo.
Trascorrere le serate in compagnia non
rappresentava
quindi un’autentica soluzione.
Gianni
disquisiva su di un tale e si appassionava nel
narrarne le vicissitudini. Pareva un fiume in
piena:
<<…Ricordi la sera che a momenti lo arrestavano
perché girava seminudo, in mezzo alla strada,
ubriaco fradicio e bloccava il traffico? Te lo
ricordi, eh, te lo ricordi? E ora è vigile
urbano in quello stesso paese e con tanto di
pistola alla fondina…>>
…E,
all’improvviso, Vittorio La vide. Alta, snella e
attraente, almeno ai suoi occhi. Non era sola.
Passeggiava insieme a un robusto bruno sulla
trentina, di media statura, col pizzetto. Chi
poteva essere?
Il suo
primo istinto sarebbe stato di alzarsi, andarle
incontro e salutarla gioiosamente, ma si
trattenne. Per la presenza di quell’uomo. Una
remora immotivata, naturalmente. Di certo lo
sconosciuto era soltanto un amico, nondimeno la
sua presenza lo metteva a disagio.
Parevano entrambi d'umor cupo. Proprio mentre
passavano all’altezza del suo tavolo, i due
incontrarono un tizio e si soffermarono a
salutarlo, offrendo a Vittorio l’opportunità di
osservarla con tutto comodo. La vide parlare al
nuovo venuto, rasserenarsi e sorridere. Era un
sorriso dolcissimo. Quanto gli piaceva! La
sognava da mesi. All’inizio avevano intrattenuto
solo formali rapporti lavorativi e lei non
pareva interessata alla sua persona. Vittorio
era un introverso e gli occorreva tempo per
mostrare il meglio di sé, ma aveva il dono della
pazienza e, poco alla volta, era riuscito ad
attirarne l’attenzione e a farsi apprezzare. Lei
allora si era sciolta, manifestandogli aperta
simpatia.
Le sue
erano più di semplici speranze, tuttavia il
pensiero che all’ultimo momento qualcosa potesse
andare storto lo angosciava. Lei per giunta lo
eludeva da una settimana. Per questo motivo era
nervoso e faticava ad ascoltare i lamenti di
Francesco. Per questo si era arrabbiato, quando
Gianni aveva proposto un aggancio a Francesco
ignorando lui. Aveva paura. Paura di fallire
un'altra volta, di restare ancora solo. Appariva
sereno, ma soffriva. Soprattutto, intuiva che se
si fosse verificato il peggio non lo avrebbe più
sopportato. In effetti, ogni qual volta si
trovava in situazioni analoghe era tentato di
fuggire. Gli accadeva perché da sempre, dovendo
incontrarsi con una donna che gli piaceva, si
sentiva spezzare in due dalla tensione. Quante
volte dopo un fallimento si era sentito meglio,
perfino sollevato, perché così almeno non si era
più dovuto preoccupare e se ne era potuto stare
tranquillo a casa senza pensare più a nulla. Il
suo modo di reagire era figlio delle tante
sconfitte subite, delle troppe delusioni patite.
Non ce
la faceva più, eppure era al contempo conscio
che poteva finalmente essere la volta buona.
Doveva esserlo, tra loro due, infatti, era nata
un’intesa. Si era persuaso che la scintilla
fosse scattata e che qualcosa di meraviglioso
sarebbe presto accaduto. In fondo, le relazioni
sentimentali sono soltanto una questione di
feeling.
Si
sentiva bene e male ad un tempo. Troppo a lungo
aveva vissuto di sogni e d’illusioni.
Trascorreva le notti solitarie a fantasticare e…
altro. Di recente lei era divenuta parte
integrante di queste fantasie, la protagonista
principale del suo cinematografo notturno.
Sognava di stringerla tra le braccia, baciarla,
amarla…
Presto
lei s’accomiatò dal conoscente e riprese il
percorso insieme al compagno. Giunse alla fine
della zona porto e poi, subito prima di
attraversare la strada trafficata che l’avrebbe
portata in centro città, fece dietro front e si
avvicinò di nuovo alla sua postazione.
Vittorio non riusciva a distogliere lo sguardo
dalla giovane desiderata e dal suo
accompagnatore. Intanto Gianni beveva e
discorreva senza avvedersi delle emozioni che
squassavano l’interlocutore. Vittorio ogni tanto
annuiva, facendo saltuariamente fuoriuscire
dalla gola qualche inarticolato monosillabo come
risposta all’ininterrotto chiacchiericcio, ma
riusciva ad afferrare solo in grandi linee il
senso delle frasi.
Poco dopo, mentre la coppietta gli giungeva di
nuovo di fronte, l’uomo accarezzò i capelli
della ragazza e poi le avvolse il braccio
intorno alle spalle, senz’altra apparente
reazione da parte sua che un impercettibile
fremito. I due superarono l’angolo, diretti
verso il ponte mobile che univa la vecchia
darsena al centro cittadino, ma in capo a un
paio di minuti riapparvero, ancora abbracciati.
“Possibile, possibile?” Si chiedeva Vittorio.
No, non poteva crederci. Sperava ancora,
nonostante tutto, che tra quei due non ci fosse
nulla, ma allo stesso tempo aveva l’atroce
sospetto di essere preso in giro. Paventava che
lo avessero notato e gli passassero davanti di
continuo apposta per provocarlo perché, avendo
lei forse riferito all’accompagnatore dei
rapporti intercorsi tra loro, quello avesse
deciso di umiliare l’ex pretendente.
Poco dopo, a conferma dei suoi peggiori timori,
avvenne l’irreparabile. Il Bruno col pizzetto
avvicinò le labbra alla bocca della ragazza. I
due si baciarono, con trasporto, più e più
volte. Non si poteva dubitare oltre, circa il
tenore del loro legame. Infine, subito prima di
riprendere il cammino, lei volse lo sguardo
verso Vittorio come per assicurarsi di essere
stata vista e gli rivolse un sorriso ironico,
strafottente. Era lei! Era lei a volerlo
umiliare.
Si sentì cadere il mondo addosso.
L’amava e perciò aveva creduto, confidato… ma
no, a lei piaceva, sapeva di esserle gradito,
nel suo intimo ne era convinto. Per quale motivo
allora subiva questo trattamento? “Non sarò
l’uomo più simpatico della Terra”, ripeteva a se
stesso, “ma neppure il più sgradevole; non sarò
avvenente, ma neppure un mostro. Io non credo di
essere del tutto privo di qualità, perché dunque
mi va sempre a finire male? Cosa ho che non va,
insomma? Perché perfino coloro cui sembro
piacere, alla lunga non vogliono più saperne di
me?” Non se lo spiegava.
Nel
frattempo l’amico, sordo e cieco, continuava a
parlare e a parlare. Talvolta gli esseri umani
paiono universi isole, separati da un intero
oceano d’incomprensione.
“Vorrei
morire”. Il concetto prese a dominare i pensieri
di Vittorio, a giganteggiare nella sua mente,
immenso e opprimente, alla stessa maniera in cui
il pianeta Giove avrebbe occupato l’intera volta
celeste, allo sguardo di un ipotetico spettatore
in osservazione da uno dei suoi satelliti più
prossimi.
Non
volle tuttavia mostrare la propria acuta
sofferenza, in parte perché se ne sarebbe
vergognato e in parte perché detestava rovinare
le serate di chi sceglieva la sua compagnia. In
ciò non era come Francesco Sassi, no davvero. Ne
ebbe infine abbastanza. Nonostante fosse ancora
presto, insistette con Gianni per andarsene,
adducendo come scusa la stanchezza.
Una
volta separatisi, Vittorio non tornò al suo
alloggio. Prese a vagare senza meta per le
strade cittadine. Non provava più nulla. Gli
sembrava di essere uno zombie. Avrebbe pianto
volentieri, ma le lacrime non gli sgorgavano.
Dentro si sentiva vuoto, desolatamente vuoto.
Quella
sera la giovane donna si era vista con il suo
ragazzo. Ci usciva da quattro anni, ma per
parecchio tempo non l’aveva incontrato e aveva
ripreso a frequentarlo da una settimana. Impegni
di lavoro avevano, infatti, costretto l’uomo
all’estero per tre mesi.
I due
giunsero silenziosi all’ingresso della darsena,
di fronte alla piccola ed elegante torre
medioevale, ultima vestigia delle antiche mura.
Superarono il moderno ponte levatoio e fenderono
la folla di giovani riuniti davanti ai localini
del porto turistico. Lei si guardava intorno
come se sperasse di incontrare qualcuno. Prima
ancora di arrivare davanti al quarto caffè,
aveva già riconosciuto il pallido, smunto e
stempiato Croce, malvestito come al solito, il
nuovo collega da lei avvicinato durante
l’assenza del fidanzato e che le faceva il filo
da mesi. La giovane gli aveva dato spago senza
rivelargli la verità.
Si
sforzò di assumere un’espressione seria e
proseguì il percorso. In seguito si lasciò
cingere le spalle e persistette a restare in
zona. Infine si strusciò in maniera plateale al
fidanzato e, quando lui avvicinò le proprie
labbra alle sue, lo baciò con ostentato
trasporto, più e più volte, facendo ben
attenzione che a Croce non sfuggisse niente.
Infine lanciò alla sua vittima uno sguardo
intenso e sfrontato, quindi gli volse le spalle
e s’allontanò col partner.
Più
tardi l’uomo le chiese spiegazioni, incuriosito
dall’anomalo comportamento.
<<Ah, è
un tuo collega. Beh, mi era parso che ce
l’avessi con lui e non ne capisco il perché. È
così atroce?>>
<<Al
contrario, è un po’ timido, ma è premuroso e
simpatico. All’inizio non lo stimavo, sembrava
talmente noioso e insicuro, ma in fondo non è
malvagio.>>
Lei
guardò il compagno e non poté fare a meno di
pensare a come l’altro, pur con tutti i suoi
limiti, si fosse dimostrato migliore sotto
svariati aspetti. Era fidanzata da quattro anni,
lo giudicava un buon partito e l’avrebbe presto
sposato, eppure non era più del tutto convinta
della loro relazione.
Lui
dovette intuire qualcosa dalla sua espressione,
perché all’improvviso si dimostrò preoccupato.
<<Perché quella sceneggiata, allora? È successo
qualcosa tra voi, mentre non c’ero? Hai un’aria
strana. Devo essere geloso?>>
<<Noo,
tranquillo, non uscirei mai con quello lì.
Quando eri fuori ho giocato un po’ con lui.
Volevo ferirlo.>>
<<Per
quale motivo? Se ho capito bene, fino a qualche
tempo fa non dovevi nemmeno conoscerlo.>>
<<Sua
madre mi fece bocciare in prima magistrale senza
che lo meritassi, ecco perché. Era la mia
insegnante di lettere. Dio come la odio e come
ho odiato lui appena ho saputo chi era, ma alla
fine mi sono vendicata. Avresti dovuto vedere la
sua faccia, quando ci siamo baciati.>>
<<Ah,
ah, ah, sei proprio una bella stronza.>> Rise
lui.
<<Perché mai, la mia è solo una piccola rivalsa.
Lui ci soffrirà qualche settimana, poi si
troverà una ragazza e non ci penserà più. La
madre però sa di avermi bocciato. Lui le
racconta sempre tutto. Scommetto che quando le
riferirà quanto è successo oggi, quella strega
ripenserà a cosa mi ha fatto, comprenderà e si
sentirà in colpa.>>
Francesco Sassi era di buon umore. Sfogarsi con
gli amici gli faceva bene. Peccato solo che
l’effetto non fosse mai duraturo.
Uscito
da casa, rivolse un’occhiata alla locandina dei
giornali: SAVONESE SI GETTA SOTTO IL TRENO,
recitava il titolo più in evidenza.
Una
blanda curiosità lo spinse ad acquistare una
copia del quotidiano. La sfogliò rapidamente,
scorrendo le varie notizie di cronaca, politica,
esteri, economia, sport. Giunse infine alla
pagina locale e s’immobilizzò, sconvolto.
Davanti ai suoi occhi i caratteri del titolo
presero a ballare, impazziti. Non poteva
crederci, proprio lui, una persona tanto solida,
equilibrata. Tuttavia la notizia era lì, nero su
bianco:
Vittorio Croce, savonese di 33 anni impiegato al
catasto, si è tolto la vita gettandosi sotto un
treno. Ignoti i motivi del tragico gesto.
Massimo Bianco
|