TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

LETTERA APERTA A GLORIA BARDI E MARCO FERRANDO

 

Scrivo questa lettera aperta ai due candidati alle elezioni europee che più sono vicini alle mie idee; e proprio per questo mi rivolgo a loro e non ad altri del cui silenzio posso ben immaginare i motivi.

Mi riferisco al tema per cui mi sto sgolando ormai da tre anni, sia da queste colonne che in conferenze, email e quant’altro gli odierni mezzi di comunicazione mettono a nostra disposizione: quello bancario. Un tema di cui ho avuto modo di rendere consapevoli anche le due persone ai quali sto ora rivolgendomi.

Non mi riferisco, in termini generici, alle “banche che ti fregano sugli interessi, sulle spese di tenuta conto, sulle commissioni, ecc.”, ma sulle stesse fondamenta strutturali su cui poggia e opera l’apparato bancario nel suo insieme, locale, nazionale e centrale (BCE). Mi riferisco al signoraggio. Che non è, si badi, una mia monomania, ma una procedura attuata in forma sempre più acuta a partire dai primi anni ’90, quando ci si stava attrezzando per il passaggio, prima all’ECU e poi all’euro. Una procedura di cui scrivono su libri e riviste di limitata tiratura o parlano su televisioni minori in orari impossibili persone di grande competenza e intuito, confinate in spazi di scarsa accessibilità, proprio perché non si possa dire che le si censura, ma limitandole a voces clamantes in deserto. Sto parlando di Marco Della Luna, Marco Saba, Maurizio Blondet e pochi altri, che si tengono accuratamente ai bordi della politica: quella politica ridotta a “macchina per la conservazione e la distribuzione del potere” di cui parla la Bardi nella sua, peraltro bellissima, presentazione su Uominiliberi, per motivare la sua candidatura alle europee con l’IdV, aggiungendo che “pochi, perlopiù inascoltati, si preoccupano di essere degni di vincere”. Ecco, appunto. Essere degni di vincere significa additare, promettendo di combatterle, le cause prime della accelerata decadenza della politica a mero “teatrino indegno e rissaiolo”.

E può immaginarsi causa più grande e perversa di una contabilità nazionale che, mentre a livello politico assegna ai suoi rappresentanti gli emolumenti più alti d’Europa da parte della nazione a più basso reddito pro capite, a livello monetario concede a una banca centrale privata (BCE) il privilegio di stampare la sua valuta e prestarla allo Stato, e a quelle commerciali, che della BCE sono proprietarie, l’aggio di fare prestiti in ragione di 50 volte la propria disponibilità, il tutto per giunta a interesse, con tassi arbitrariamente stabiliti dalle banche stesse? Privilegi che fanno delle banche le vere padrone dello Stato, gravato da un crescente quanto fasullo “debito pubblico” e ridotto a rivalersi, con un carico fiscale insopportabile, sui suoi cittadini.

Di questa madre di tutte le ingiustizie, di tutte le tasse, e conseguentemente dello stato penoso in cui versa ormai la stragrande maggioranza degli italiani, non una parola da parte della Bardi. E mi fa specie che l’unico candidato alle europee che faccia proprio il mio discorso sia l’avvocato Alfonso Luigi Marra, fondatore nel 1986 del movimento “Fermiamo le banche”, nelle liste però dell’UDC (!?).

Quanto al Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando, nella cui lista comunale di Finale sono entrato proprio per dar voce a questo scandalo taciuto da tutti, ve ne si parla in termini incompleti, limitandosi a dire che “bisogna nazionalizzare le banche”, senza spiegare i motivi di fondo di questa pur sacrosanta richiesta, mentre, ancor prima delle banche, è la moneta che va nazionalizzata. E non tanto come ripiegamento sulla lira, quanto come euro, che dovrebbe diventare la divisa di tutti gli Stati oggi aderenti, e non delle loro banche centrali, riunite nella BCE.

Sarebbe questo “l’evento rivoluzionario più pacifico della storia”, con la vittoria di quella “ragionevolezza” che la Bardi auspica e che il 6-7 giugno fornisce l’occasione di attuare, in omaggio a quella giustizia che Di Pietro ripete essere nel DNA dell’IdV.

Io stesso ho avuto modo di avvicinarmi a quel partito, quando l’estate scorsa, assieme al suo autore e neosenatore Elio Lannutti, ho presentato il suo libro “La Repubblica delle banche”. Non è stato un incontro felice, in quanto sono stato accusato di “opportunismo”: io, alfiere dell’ecologismo sin dal 1969, senza mai aver approfittato di cavalcarlo a mio vantaggio politico, tacciato per tale da un uomo che ha fatto invece proprio questo, entrando in Senato grazie alle proprie battaglie contro le banche, eludendo però l’attacco frontale contro il signoraggio. Il mio opportunismo, secondo la diagnosi di Lannutti, sarebbe stata la mia richiesta di presentarmi a Di Pietro per perorare le mie idee e per proporre la mia sceneggiatura di un film, guarda caso, intitolato “Bancarotta”, il cui scopo era ed è di diffondere convinzioni che presumevo comuni a me, a lui e al suo partito.

In fatti, lo stesso Di Pietro è perfettamente a conoscenza del fenomeno signoraggio, accuratamente nascosto alla popolazione; ma anch’egli non osa denunciarlo. Così come tacciono i vari Marco Travaglio e Beppe Grillo.

Quando invece l’imbroglio andrebbe gridato a gran voce in questa occasione, che solo ogni lustro ci si presenta.

E invito a farlo anche il fondatore del PCL, Marco Ferrando, visto che sono proprio i lavoratori coloro che pagano lo scotto più alto di questa sistematica e subdola ruberia: sia i dipendenti che gli autonomi, sia i precari che i disoccupati e i pensionati, tutti depredati del frutto del loro lavoro, sia mentre lo svolgono che quando si ritirano dopo una vita lavorativa.

Ecco, questo chiedo a Marco e Gloria, non potendolo io fare in prima persona. E lo chiedo anche da ambientalista convinto sin dalla prima ora, in quanto le colate di cemento che hanno deturpato e promettono di deturpare l’Italia, con Finale in testa alla lista dei paesi in attesa di esecuzione, sono figlie primogenite della speculazione finanziario-immobiliare, che vede le case come un sostituto degli investimenti in attività produttive: puro oro grigio in attesa di acquirenti, a loro volta in cerca di investimenti improduttivi, ossia di rendite. Con la morte finale del lavoro, ossia del valore principe alla base della nostra Costituzione (e del PCL).

I fiumi di denaro che si trasformano in cemento hanno una ben precisa sorgente: i soldi di troppo che le banche internazionali si ritrovano come frutto del signoraggio e che prendono il via, al tocco di un tasto sul computer, verso i paradisi fiscali (vedi il libro “O la banca o la vita” di Marco Saba), da cui ripartono per impieghi speculativi: cemento in primis. Mai per creare lavoro.

Prosciughiamo la sorgente, e vedremo drasticamente ridotti i vani adibiti a seconde case e uffici, che, come tanti disoccupati, restano tristemente in attesa di occupazione.

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                           10 maggio 2009