TRUCIOLI SAVONESI spazio di riflessione per Savona e dintorni DESTINO RAZZISTA?
Oggi di razzismo si parla molto, moltissimo, quasi in
continuazione, essenzialmente per condannarlo ed esorcizzarlo.
Non se ne parlerebbe tanto, se non fosse sempre ben presente e
attivo, in diverse forme e con diverse denominazioni. Non se ne
parlerebbe tanto, se non fosse sempre ben presente e attivo, in
diverse forme.
Il razzismo in senso stretto, biologico, è in forte declino, non
ha basi scientifiche, anche perché, biologicamente, non ha senso
parlare di “razze” umane, anche se palesemente esistono
caratteri somatici diversi. Quindi non ha senso parlare di
superiorità razziale, anche se alcuni gruppi etnici mostrano in
Q.I. significativamente più elevato (Ebrei ashkenazi) e altri
significativamente più basso (negri d’Africa) della media. Ma si
tratta di divergenze statistiche legate a migliori condizioni
educative ed alimentari, che si traducono anche in un miglior
sviluppo dell’encefalo e delle sue capacità, nongià di una
superiorità genetica razziale.
Vi sono però diverse forme di para-razzismo ben vitali e
coltivate: il nazionalismo (affermazione della propria nazione e
cultura come superiore alle altre o a certe altre, quindi
legittimata ad imporsi); l’etnicismo (affermazione del proprio
gruppo etnico come superiore ad altri o a certi altri, quindi in
diritto di assoggettarli); il tribalismo (tipicamente africano,
pakistano, afghano e di altre zone sottosviluppate, porta certi
gruppi tribali alla schiavizzazione o allo sterminio di altri
gruppi). Vi era poi il razzismo utilitario e schiavista, tanto
bianco quanto arabo, verso i negri: schiavizzare i negri era
moralmente legittimo perché essi sono subumani, mezze scimmie,
mentalmente ipodotati. Mentre oggi si sa che tutto ciò,
semplicemente, non è vero.
Altre forme di para-razzismo si basano su contrapposizioni e
intolleranze di tipo religioso: solo gli appartenenti alla
propria religione sono puri e buoni; gli altri sono impuri, o
addirittura nemici di dio; in tal caso, se non si convertono,
vanno sterminati (Islam).
Non rientra nel razzismo né nel para-razzismo, invece,
affermare, ad esempio, che gli immigrati clandestini hanno un
tasso di delinquenza dieci volte superiore a quello dei
cittadini nazionali, se è vero che lo hanno. O che il 90% delle
donne nigeriane o albanesi in Italia fanno le prostitute, se
questo dato statistico corrisponde alla realtà.
Se guardiamo alla storia delle civiltà, la presenza di qualche
forma di razzismo o para-razzismo è una costante: la troviamo in
tutte le epoche, a tutte le latitudini e a tutte le longitudini.
Molti popoli si consideravano o si considerano superiori agli
altri perché discendenti dagli dei (della loro religione) o
perché più civili e capaci: così, per esempio, gli Egizi, gli
Indiani (d’India), i Giapponesi, i Cinesi, i Greci, i Romani.
Gli Egizi si reputavano speciali, superiori, abitanti la terra
al centro del mondo. Gli Indiani hanno tutta una loro teoria
razziale con una complicata classificazione per mettere tutti al
loro posto, al loro grado sulla scala gerarchica, che culmina
coi bramini, e scende attraverso i livelli riservati agli
Indiani stessi, fino a quelli dei “mleccha”, dei popoli
inferiori: i gialli (detti “mangiacani” e “senza naso”), i
Persiani, i Greci, etc. La religione hinduista è solo per gli
Indiani, e l’indiano che va all’estero e sta tra i mleccha
diventa impuro. I Greci chiamavano “barbari”, ossia
“farfuglianti”, per il loro modo di parlare, i popoli non greci;
inoltre si consideravano anch’essi abitanti al centro del mondo.
I Giapponesi tradizionalmente si considerano di stirpe divina,
superiori ai Cinesi e ai Coreani, quindi legittimati a
sottometterli, sfruttarli, ucciderli (quando scoprirono antichi
sepolcri di loro imperatori che evidenziavano origini coreane,
li nascosero). Raramente si sposano con non-giapponesi. Ciò vale
pure per i Cinesi, che si considerano pure superiori e preziosi.
I Romani, più pragmatici, avevano un senso di superiorità e di
diritto di dominare gli altri, legato alla loro superiore
efficienza amministrativa, ingegneristica, militare – senso che
si esprime nel motto virgiliano: Hoc tibi fas, Romane, memento:
parcere subjectis et debellare superbos (ossia: questa è la tua
vocazione, o Romano, rammenta: esser clemente con i sottomessi e
debellare i superbi). Un’analoga forma di para-razzismo troviamo
in altre nazioni imperiali, quali i Francesi, i Britannici e gli
Americani: popoli che sono stati imbevuti di una cultura di
superiorità e di missione civilizzatrice verso il resto del
mondo. La propaganda e la pedagogia scolastica USA sono sempre
molto attive in questo senso, a sostegno della politica estera
condotta da Washington. Francesi e Britannici conservano
l’impianto di questa mentalità imperiale o imperialista anche
ora che non hanno più una statura, una realtà, una potenza,
imperiali; e ciò li rende, talora, ridicoli. Il razzismo
biologico germanico è recente e non è autoctono, ossia non nasce
in Germania, ma deriva da teorie basate sull’evoluzionismo e
sull’ereditarietà, sviluppate e sistematizzate anche attraverso
screening statistici negli USA degli anni ’20 da un certo
Goddard e altri, che “dimostravano” scientificamente la
superiorità intellettiva dei bianchi anglosassoni sulle altre
“razze” anche bianche, come gli Italiani, che a quei tempi
erano, negli USA, equiparati ai negri in quanto a diritti e
paga, erano definiti “negri bianchi” e non pochi locali pubblici
erano interdetti ai negri e agli Italiani (anche nella Francia
di quei tempi avvenivano simili discriminazioni). Il
Nazionalsocialismo riprese, adattò e sviluppò proprio quelle
teorie e ricerche “scientifiche”.
Le culture islamica e israelitica sono fortemente accomunate
(ma Shiva ci scampi dalle generalizzazioni)
dal principio della doppia morale, il quale stabilisce che i
correligionari sono fratelli e vanno rispettati e aiutati;
mentre nei confronti degli altri, dei non fratelli (i bashir, i
goyim), che sono perciostesso inferiori, ci si può comportare
diversamente, sottometterli, sfruttarli con l’usura,
negare loro ogni solidarietà, ucciderli, defraudarli,
depredarli. La radice hrb della parola “arabo” significa
appunto predare, razziare, far guerra; l'Islam ha diretto questa
preesistente tendenza identitaria verso l'esterno, verso gli
infedeli, favorendo la coesione interna. La differenza tra
queste due culture semitiche è che, mentre quella islamica
ammette che tutti possano diventare islamici, cioè fratelli
(salvo dover essere uccisi, se in seguito cambiano idea e
vogliono uscire dall’Islam), quella israelita è una
religione strettamente legata a un popolo specifico – gli Ebrei
– ed adora appunto il dio degli Ebrei, il quale si dichiara,
nella Bibbia (Torà) come l’unico dio dell’unico suo popolo,
che esso assiste contro gli altri popoli; sicché i non ebrei non
sono ammessi, non possono diventare fratelli, e restano “goyim”,
cioè “bestiame”. Rispetto a questi due monoteismi, il
Cristianesimo si contrappone, prescrivendo (analogamente al
Buddhismo) una morale universale, di fratellanza, amore e
rispetto verso tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro
etnia e dalla loro religione.
Le forme di razzismo e di para-razzismo sono numerosissime,
quindi. La loro gamma tipologica va dal fondamento biologico a
quello religioso passando per quelli localistici. Ma tutte hanno
qualcosa che le accomuna. Se le spogliamo dei loro vari pretesti
e vestimenti biologici, religiosi, politici, troviamo che tutte
hanno il medesimo schema ed assolvono la medesima funzione:
creare un’identità interna e unificante di gruppo (nazionale,
etnico, religioso, sportivo, politico), contrapposta agli altri.
Creare coesione e contrapposizione. Solidarietà, fratellanza e
obbedienza verso l’interno del gruppo e i suoi capi; e
proiezione del negativo, dell’aggressività repressa, della
frustrazione, verso gli altri, verso i gruppi avversi o nemici o
inferiori o semplicemente diversi. Sostanzialmente, razzismi e
para-razzismi servono, cioè, a governare i gruppi nazionali,
etnici, religiosi, e a tenerli coesi. A manovrarli. A spingerli,
all’occorrenza, alla guerra. A prevenire le possibilità di
dialogo e scambio interculturali, che allargano gli orizzonti
mentali delle persone e le rendono meno manipolabili. Peraltro,
congiunta a un forte senso di identità nazionale, una certa dose
di razzismo o para-razzismo, un certo senso di superiorità
rispetto agli altri popoli, avvantaggia una nazione nella
competizione con le altre e la aiuta ad affermarsi su di esse e
a mantenersi forte: storicamente, lo constatiamo con gli Ebrei,
i Greci, i Romani, i Giapponesi, i Britannici, i Francesi, gli
Americani etc. Uno scarso o nullo senso identitario nazionale
congiunto a un senso di inferiorità verso gli altri popoli
costituisce, invece, un handicap.
A livello primitivo, tribale, prevale la funzione del razzismo o
para-razzismo che consiste nel mantenere la coesione nel
pensiero e nelle credenze del gruppo, proteggendolo dalle
immissioni di “materiale” estraneo e destabilizzante. Le società
primitive sono molto abitudinarie, ritualistiche, rigide e
fragili, da questo punto di vista. Hanno poche o punte capacità
di elaborare apporti culturali esterni. Sovente temono e
respingono col tabù tutto ciò che è nuovo. Qualcosa del genere
avveniva anche nei regimi totalitari comunisti che si reggevano
su un rigido catechismo che dipingeva come malefico e
distruttivo tutto ciò che non era comunista: quando quei paesi
si dovettero aprire, molti intellettuali di regime, che erano
cresciuti in quella fede, di fronte alla scoperta della
assurdità della loro fede e del loro sistema di valori, ebbero
crisi di identità, disturbi depressivi e non pochi preferirono
togliersi la vita.
Se leggiamo l’Esodo, il Deuteronomio, il Levitico vediamo
direttamente come Mosè costruisce un popolo unitario – Israele –
prima inesistente come tale, proprio adoperando questi
strumenti. Vediamo, cioè, come lo rende coeso, compatto, dotato
di un’identità, differenziato, aggressivo, efficiente, ed
etnicista. Lo fa portando le sue genti nel Sinai e tenendole
colà segregate quaranta anni, in modo che le varie famiglie si
incrocino tra di loro e non con altre genti. E dando loro un dio
unico ed esclusivo per loro, contrapposto agli altri dei; e
uccidendo chi adori altri dei; e imponendo un codice di leggi
basato sulla contrapposizione tra i fratelli e i non fratelli, i
gentili, i Filistei (i Filistei erano i Palestinesi) che vanno
debellati per volere del dio di Israele, che ha promesso loro
proprio la terra dei Filistei. In Deuteronomio 15,6, Jahvé
prescrive addirittura agli Israeliti di praticare l’usura ai non
fratelli per arrivare a dominarli. Forse moralmente non vi
piaceranno, queste cose. Ma Mosè è stato un grande ingegnere
sociale. Possedeva, assieme al suo staff, una grande conoscenza
sociopsicologica. Il suo prodotto
è
mirabile
per qualità, resistenza e durevolezza. Dovete riconoscerlo. Le prediche morali contro il razzismo non tengono presente la realtà, in quanto presuppongono che il razzismo sia una libera scelta dei singoli, e non tengono presenti la sua matrice e la sua funzione pratica nella fisiologia delle società. E’ sciocco trattare il razzismo come un problema etico, o da combattere con norme punitive di questa o quella espressione dispregiativa o discriminante. E’ ipocrita dire che sia razzismo quello dei leghisti o degli Israeliani contro i nordafricani, e non il para-razzismo nazionalista dell’indottrinamento scolastico praticato dalle potenze imperialiste di turno. Il razzismo e il para-razzismo non sono frutto di libere scelte delle singole persone, ma sono spontaneamente e inavvertitamente prodotti dai gruppi per assicurare la coesione interna. Sovente vengono coltivati, diretti, sfruttati dall’alto, dalle classi dirigenti, per scopi imperialistici o semplicemente di potere interno. Questo uso è il razzismo dei potenti, dei governanti – dei governanti dell’antica Roma, della Londra ottocentesca, della Washington odierna. A cui le condanne morali del razzismo ovviamente non interessano– anzi, essi stessi le organizzano, nei debiti termini.
Sotto il livello di questo razzismo, c’è il razzismo dei deboli,
dei governati, delle società locali – i quali si ritrovano
minacciati da flussi di immigrazione destabilizzanti, sovente
collegati (o percepiti tali) alla criminalità, alla
prostituzione, alle malattie infettive, alla perdita del posto
di lavoro. E reagiscono sviluppando una contrapposizione
identitaria, fatta di slogan, di proteste, di nostalgie. Una
protesta talora captata e sfruttata da partiti politici. Ma è
una reazione debole, se non disperata, a dinamiche mondiali
imposte dai poteri veri, dai loro interessi, dai loro disegni.
Una protesta controproducente, perché consente a questi medesimi
poteri di delegittimare, anche moralmente, la resistenza
all’impatto delle loro operazioni, e ad imporre, anche per
legge, i suoi effetti traumatici come valori non criticabili. 30.04.09 Marco Della Luna
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