TRUCIOLI SAVONESI spazio di riflessione per Savona e dintorni AREE INDUSTRIALI DISMESSE:
FORTUNA
IMMOBILIARE
OCCASIONE PERDUTA L’Amministrazione di Savona, dopo trentaquattro anni di
“provvidenziale” vuoto normativo, ha finalmente votato il
suo PUC, un Piano Regolatore
molto apprezzato anche da forze politiche della sinistra che si sono
inspiegabilmente astenute sul voto. “ E’ la città in cui ci riconosciamo !!!” ha, infatti, sostenuto Rifondazione Comunista, sostenendo l’assetto progettuale e normativo, incalzati poi dal Consigliere La Rosa,( Comunisti Italiani ) che in piena, quanto scontata e funzionale, polemica sulla mancata compattezza del voto, ricordava il valore di questo straordinario e sospirato Piano Urbanistico, contenente edilizia popolare, cittadelle e zone verdi libere dal traffico.E’ comunque vero che, il piano di Savona, mentre
comprende cementificazioni collinari
chiamate
edilizia popolare, preveda
anche quelle ancor più impattanti del fronte mare, delle aree industriali
dismesse e quelle dell’area della
vecchia stazione ferroviaria, oggi parcheggio, che il Sindaco propina come
area completamente verde. La scelta, poi, di destinare la stessa area a parcheggio
sotterraneo, a dispetto delle convinzioni del giovane Consigliere, non potrà
portare via le automobili dal centro cittadino, ma solo dalla quota stradale
del parcheggio. Un impegno creativo che a Savona, nelle vicine Albissole
e in molti altri Paesi della Provincia avrebbe dovuto essere una scelta
obbligata, proprio per risolvere i vuoti urbani lasciati da quei contenitori
industriali dismessi, che sono diventati invece solo preda di facili e
scontati appetiti immobiliari.
L’AUTOPROCLAMAZIONE DELL’INUTILE A Savona, la progettualità territoriale, si appaga in
un’autoproclamazione costituita da superflui quanto impattanti volumi
edificatori a destinazione inutilmente residenziale, sorti proprio dove era
possibile una reinterpretazione in chiave paesaggistica e, nello stesso
tempo, metropolitana dell’area. La crescita che la città ha subito nel periodo di
espansione industriale ha lasciato, proprio in quello che oggi possiamo
definire il centro cittadino, grossi spazi e volumi un tempo destinati alle
attività produttive. Oggi, tutto si poteva fare meno che permettere che tali
aree diventassero prodotti di mercato e macchine edificatorie a uso
immobiliare, indifferenti al loro legame con i cittadini e l’ambiente
formato dall’interazione geografica, dal clima, dall’attuale economia, dalla
demografia, dall’arte e dalla cultura. Quale potrà essere uno scenario
futuribile in una città che non ha avuto coraggio, che non ha saputo
cogliere l’occasione di una svolta che non è solo quella del RIUSO e
della RIQUALIFICAZIONE intesa in
senso edificatorio. Riqualificare, a Savona, ha voluto e vuol dire cambiare
destinazione d’uso da industriale a residenziale, moltiplicarne la cubatura,
senza tenere conto che ciò non ha nulla a che fare con la qualità abitativa,
con la qualità sociale, con la qualità ambientale del territorio che non
sopporta e non giustifica una richiesta insediativa tale. La “ Riqualificazione” è, invece, spesso stata una buona
opportunità per costruttori e immobiliaristi che nella dismissione
industriale hanno potuto trarne
personale profitto.
La conversione della città, da soggetto produttivo industriale e manifatturiero a oggetto di mercato immobiliare, è stata il prodotto di desideri megalomani di politici e imprenditori e ha già dato frutti certamente non rassicuranti. Quello
sviluppo, in nome del quale è
cominciato, ancor prima della redazione del PUC, il processo edificatorio,
non sembra si possa rilevare nella stagnante desolazione della torre
Bofill o nell’ossessiva ingombrante visione del Crescent. Savona non aveva bisogno di Bofill come non avrà bisogno
di Fuksas, non quando sono mossi dall’ambizione di lasciare un segno
indelebile sulle nostre città. Savona ha bisogno di architetti che abbiano una visione
strategica e che adottino criteri di sensibilità, che siano prima cittadini
e poi architetti. Ci si attendeva un modo diverso di intervenire sulla
città, molto più moderno e contemporaneo che potesse guardare lontano. Ci si attendeva un modo di prevedere lo spazio urbano
riutilizzando e riprogrammando le aree, attuando però una necessaria
rigenerazione del tessuto urbano. Ci si attendeva che fosse previsto un nuovo progetto di
tessuto urbano veramente compatibile, capace di non ingurgitare grandi
spese e risorse, né di produrre tonnellate di scorie. Ci si attendeva un’azione capace di ottenere risposte
dai cittadini , che potessero avere finalmente un ruolo attivo
nell’evoluzione dello spazio pubblico della città.
La competizione
elettorale di questi ultimi giorni, ha spinto il candidato del
centro-destra, il Sen. Orsi, a comunicare pubblicamente le linee del suo
programma che, guarda caso, mettono al primo posto l’utilizzo e la
“riqualificazione”
delle aree industriali dismesse lungo
il Sansobbia. Sulla vasta area, la Giunta attuale, da una decina
d’anni ha mostrato tutta l’incapacità decisionale e la confusione
programmatoria, combattuta sull’opportunità di offrire occasioni di profitto
a immobiliaristi o di perseguire occasioni di utile ridefinizione
urbanistica per la città. Su quell’area oggi regna il nulla, che crea nel tessuto
urbano una “voragine” slegata dal resto dell’abitato e dalle relazioni che
sottintendono alla vita quotidiana della città, una “voragine” che urla
l’annullamento del suo confine che, mentre a ponente è quella Via Casarino,
mai inclusa nel tessuto urbano, a sud è l’Aurelia e il mare e a levante è
proprio il centro cittadino che per anni e anni ne ha costituito la sponda. Nelle diatribe politiche, nelle indecisioni e nel far
prevalere gli opportunismi dei grandi costruttori che, per anni hanno fatto
il bello e il cattivo tempo ad Albisola, si è consumata un’idea di città, di
cui
l’area dismessa Casarino è
l’emblema. Sulle consuete polemiche basate su quanto residenziale,
quanto pubblico e privato l’area dovesse prevedere, sono passati
inoperosamente decine di inutili anni. Oggi, chi si propone alla guida della città, mette
l’operazione al primo posto, conscio della straordinaria opportunità. Un’opportunità che
dovrebbe essere la
realizzazione di una realtà territoriale fluida, attraversabile, reversibile
che possa offrire un supporto per le relazioni tra i cittadini e la loro
città fatta di spazi chiusi e aperti e del loro riuso intelligente. Un’opportunità che non voglia dire, come è già accaduto
nella vicina Albissola Marina, scontato profitto per “altri
pochi” a dispetto del futuro di una città e di chi la abita. Antonia Briuglia
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