TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni COMUNICATO STAMPA Ieri è passato
l’ultimo fotogramma di Mirko Bottero, il Presidente Onorario del
Filmstudio e adesso scorrono i titoli di coda. Dietro questo
immaginario proiettore che per tanti anni lo ha fatto dannare ci siamo
in tanti. Ci siano noi del
C.d. del Filmstudio e tutti i Soci e
ci siamo noi amici di sempre, che contagiati dal suo entusiasmo
c’eravamo promossi “aiutanti”, sentendoci investiti della missione del
fare cultura, anche solo divulgando i fogli della programmazione. Perché tutti,
nell’ambito dei rispettivi posti di lavoro, non potevamo rifiutarci e
gli davamo una mano ad attaccare i suoi programmi fatti scivolare con
mani furtive, manco fossero volantini rivoluzionari, dall’interno degli
inseparabili sacchetti di plastica e accompagnati dalle solite
raccomandazioni. Abbiamo detto amici, anche se vigliaccamente non
abbiamo voluto andare a trovarlo negli ultimi anni, quando i pochi, più
coraggiosi di noi, che lo avevamo visto, ci riferivano del disastro e
dei vincoli della malattia. Perché in gran
parte della nostra attività
non abbiamo mai dimenticato tutti gli anni del suo impegno: dal Calamandrei ed
era il 1958, ad oggi. Oggi, che le serrande del Nuovo Filmstudio
resteranno chiuse, per consentire a tutti di riflettere e ricordare un
grande amico della città, del cinema, della democrazia.
Un ricordo di
quarant'anni fa.
Mirko
febbraio 1969
E’ un freddo e
uggioso pomeriggio di un giovedì. D’altra parte
non avrebbe potuto essere diverso, avevo preso un giorno di ferie.
L’amico tarda all’appuntamento e comincio ad essere nervoso; poi
mi raggiunge con la consueta andatura caracollante, trascinando non
solo i piedi, resi quasi piatti da un passato di ispettore ferroviario, ma
anche da montagne di affannosi problemi :
“Dobbiamo andare
di corsa”.
“E’ tardi e non
mi ricordo come arrivarci, poi dobbiamo lasciare la macchina fuori dalla
“zona”.
“C’è pieno di
fasci stasera e si minacciano disordini.”
Bene: l’inizio
non è certo dei migliori e quella che doveva essere una bella gita minaccia
di trasformarsi in un “allosanfan” più consono al maggio dell’anno
precedente.
Comunque, al
volante della splendida 5oo, partiamo direzione
Milano alla volta della mitica Palazzina Liberty mentre il compagno
di viaggio si accartoccia
sul sedile vicino e mi
ricorda il programma:
1)
Se arriviamo per
tempo andiamo in camerino e anticipiamo il discorso.
2)
In caso
contrario vediamo lo spettacolo e aspettiamo per andare dopo a cena insieme,
ma mi raccomando dammi una mano: dobbiamo convincerlo e parlare con Franca
che in queste cose è sicuramente più concreta.
Il viaggio di
andata tra una chiacchiera e l’altra , a differenza di quello di ritorno,
assume veramente il carattere
di gita, un po’ lunga, la 5oo è un po’ vecchiotta e impiegheremo “solo”
quasi tre ore.
Ma cercare la
zona diventa un’impresa.
Maledetta pianta medievale tutta cerchi concentrici e sensi unici !
Troviamo la zona
e riconosciamo il
quartiere con facilità: è l’unico presidiato da ogni genere di servizio
pubblico: questurini, vigili
urbani, carabinieri a piedi e a cavallo
nonché un reparto della guardia di finanza,
la cui visione ci suggerisce di pagare almeno un biglietto d’ingresso
invece di “imbucarci”,
come al solito, e come ci eravamo augurati (la cena del dopo spettacolo si
stava trasformando
in un modestissimo panino).
Ovviamente siamo
in ritardo anche a causa dei cavalletti di frisia che transennano
completamente l’edificio e costringono tutti gli spettatori ad un ingresso
in fila indiana, mentre, da
neanche molto lontano, ci
vengono rivolte oscure minacce
di aggressioni all’uscita.
Ma dove eravamo
a Milano o a Belfast ?
Non capivo,
d’altra parte, nemmeno chi fossero i cattolici e
i protestanti.
Dentro,
l’atmosfera è quella attesa e già vista in più di una circostanza; si
respira l’aria comune della
solidarietà, che
rafforza le idee di
libertà e amicizia in cui tutti
vengono coinvolti.
Lo spettacolo,
che anche questa sera per buona
parte viene gestito e
improvvisato sulle tracce di un canovaccio scritto solo
nella testa del regista e degli attori,
si conclude col solito tripudio, mentre ci defiliamo, cercando
disperatamente di anticipare tutti per recarci in camerino.
Gli attori sono
stanchi e preoccupati ma ci accordiamo per uscire tutti insieme, non si
sa mai, e facciamo bene
perché le brutte facce, che aspettavano fuori, si dileguano alla vista del
numero degli spettatori
nonché dei rinforzi
del Soccorso Rosso.
(qualcuno vorrebbe
contraccambiare i
saluti )
Ci ritroviamo
poco dopo in una vicina osteria e davanti ad un (forse più di uno) bicchiere
di vino, cominciamo la nostra istanza.
Ci stanno a
sentire, ci sono problemi organizzativi, di tempi, di presenze e di
autorizzazioni e permessi.
Mi impressiona
la vitalità e la pervicacia del mio compagno;
un vecchio quarantenne,
che, dopo un turno di notte, un viaggio tutt’altro che confortevole e
tutta questa sarabanda,
continua a parlare, prendere
appunti, spianare ogni
difficoltà, superando ogni obiezione e alla fine usciamo con risposte
positive e una data
(giugno).
Il viaggio di
ritorno, sotto un temporale infernale, un quasi fuoristrada e la previsione
di solo un paio di ore di sonno , non riescono a
rovinare la missione.
E fu così che un
futuro premio Nobel venne al Palazzetto di
Savona.
Lo spettacolo,
per chi non lo ricorda ( chi non lo
ricorda ??? ) è : “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000 e per questo che è lui il padrone”
Leggetelo o
rileggetelo: E’ sempre più attuale!
r.a.
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