Gli “ominicchi” della politica nostrana trascurano un tesoro-risorsa ligure

Bianchetti Dop a tavola

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La storia esemplare di una proposta ignorata. Partita da Loano, si è persa… 


Loano – La politica decisionista, concreta, che sa decidere in tempi rapidi soprattutto quando non c’è da spendere nulla, ma solo valorizzare, non abita in Liguria.

Politica con la P maiuscola: discute, ascolta, si confronta, parla di problemi dei cittadini, anziché di spartizione di posti e poltrone.

Quella con la p minuscola preferisce invadere i giornali di sterili polemiche e guerre da pollaio, di campanile. Insomma, incapace di andare incontro alle aspettative della comunità sempre più disorientata.

   Impaurita. Con un’impennata del qualunquismo.

Vi raccontiamo una storia esemplare. Il 19 aprile 2008 sulle pagine del Secolo XIX, a firma della corrispondente di zona, Silvia Andreetto, è apparso un interessante (per contenuto e proposta) articolo dal titolo (vedi…): < Un marchio Dop per i bianchetti pescati in Liguria- La proposta  è del comandante della Guardia costiera> che aggiungeva: <Solo cosi si possono arginare le frodi dalla Cina>.

E’ trascorso un anno. La stagione dei bianchetti è ripresa dai primi di febbraio. Chi non deve tirare la cinghia e non ha problemi di bilancio famigliare di fine mese, può gustare i sempre squisiti “bianchetti del nostro mare”. Notti di burrasca, a parte. Quelli pescati tra il savonese e l’imperiese, a 30-40 metri da riva. Il prezzo in questo periodo, nelle pescherie, si aggira sui 35 euro. Il primato dei listini tocca sempre ad Alassio. Costano, invece, tra i 20-25 euro quelli provenienti dalla Puglia, Manfredonia in particolare. Due prodotti diversi sul fronte della qualità e della freschezza.

C’è qualche pescheria “storica”, come “Mariolino” sul lungomare di Borghetto (il titolare ha fatto per una vita il pescatore), che ha scelto di non vendere “bianchetti di Manfredonia”. Solo locali, e nel porto di Loano c’è la barca di un pescatore professionista che detiene quasi in monopolio.

Quella del comandante Raffone ha tutte le caratteristiche di una proposta saggia, di buon senso, che non costerebbe nulla alle casse pubbliche, quindi ai cittadini contribuenti.

Che fine ha fatto? E’ finita in soffitta? C’è stato qualche politico “nostrano”, pubblico amministratore savonese, che abbia preso a cuore il tema, coalizzato forze e convergenze, per realizzare, diciamo avviare, il percorso “Bianchetti Dop di Liguria”?

Non ne siamo a conoscenza, magari qualcuno può aiutarci, indicarci che ci sono politici attenti, si sono fatti carico del suggerimento di Raffone e si sta procedendo a passi decisi verso una soluzione.

Antonio Raffone , tuttora comandante, aveva fatto un ragionamento semplice. La Liguria, le due Riviere di Ponente, possiedono una caratteristica unica almeno in Italia. Due mesi all’anno, febbraio e marzo, ma a volte la proroga arriva a fine aprile, sono in grado di offrire un “piatto-prodotto” squisito, genuino, al naturale. Perfino promozionale sul piano turistico.

Non solo, il costante impoverimento della fauna marina, per una serie infinita di ragioni, soprattutto a causa delle “violenze” dell’uomo e della nostra civiltà, i bianchetti  nostrani sono diventati “cari e molto ricercati”. Merce rara. Tanto è vero che il prezzo resta, per l’intera stagione, alla portata di tasche non proprio proletarie, mentre solo 20-30 anni fa era un piatto popolare.

Cosa consigliava l’esperto di mare e di legge Antonio Raffone? <Visto che i bianchetti sono molto apprezzati dai Liguri, molto pubblicizzati nei menù di parecchi ristoranti, visto che si vive anche di turismo, sarebbe opportuno  che gli organi competenti (leggi la politica e chi la rappresenta nelle istituzioni ndr) pensassero a creare un marchio “Dop” che garantisca questa specie che viene commercializzata con punte  fino a 50 euro al chilo nei periodi in cui c’è scarsità>.

Una delle caratteristiche dei bianchetti è che si tratta di novellame di sardina, pesce povero, ma ricco di proprietà organolettiche; staziona nei fondali sottocosta (mentre le acciughe hanno il loro habitat negli alti fondali); tra febbraio ed aprile dalle uova si schiude il novellame che, a sciami, segue quasi a galla la corrente da levante a ponente.

Nulla a che vedere, comunque, con i cugini “Rossetti”, pescati soprattutto nello spezzino, qualità specifica di un pesce che mantiene piccole dimensioni.

La pesca dei bianchetti fonte di potenziale  risorsa, dunque, nonostante interessi un numero sempre minore di pescatori e di “addetti”.

C’è  chi ritiene – lo aveva accennato sempre nello stesso articolo de Il Secolo XIX- come il portavoce dei Verdi finalesi, Gabriello Castellazzi, la necessità di vietare la pesca ai bianchetti per scongiurare  un ulteriore depauperamento della fauna ittica del Mar Ligure.

Castellazzi aggiungeva: <Sono sotto gli occhi di tutti le barche che, a circa 20 metri da riva, pescano bianchetti con reti a maglie di pochi millimetri. Continuare a distruggere il primo anello della catena alimentare del nostro mare è un delitto ambientale. E’ pertanto necessario che si vada a modificare la normativa>.

Lo stesso comandante Raffone, a stretto giro di posta, rispondeva: <La pesca ai bianchetti non è assolutamente dannosa rispetto alla pesca a strascico, vero e proprio aratro dei fondali, semmai ci sono difficoltà di controlli e su questo bisognerebbe subito intervenire. Ci sono infatti barche che hanno una doppia autorizzazione. Possono tenere a bordo due tipi di rete, da 3 e da 5 millimetri. Non siamo in grado di sapere se i bianchetti sono stati pescati con la rete regolare o con quella irregolare>.

Sta di fatto che in mancanza di una normativa nazionale e allo stato delle cose non è realisticamente pensabile che il governo di Roma – neppure la Comunità Europea – “vieti la pesca ai bianchetti”, la Liguria e il ponente ligure, il più interessato, si facciano avanti. Senza indugi, senza perdere altro tempo.

Non è soltanto un problema di frodi made in Cina. Lo scorso anno non era difficile trovare, acquistare in provincia di Savona, da alcune pescherie e grossisti “bianchetti cinesi” (di acqua dolce?), con tanto di etichetta. Un mercato che consente lauti guadagni a chi ne fa commercio, dalla pescheria, al ristorante, alla pizzeria.

Del resto c’è chi, senza troppa conoscenza, si fida ad esempio delle frittelle. C’è chi consuma ed utilizza abitualmente i “bianchetti” surgelati nei tunnel del freddo, confezionati in pani, disponibili dai grossisti tutto l’anno. C’è chi pensa che si possano gustare a prezzi abbordabili con la pizza e la farinata.

Mentre il buongustaio consiglia di consumare i bianchetti nostrani nel modo più naturale possibile: crudi, o appena sbollentati, con l’aggiunta di olio e limone. In modo da assaporare il prodotto, non gli ingredienti estranei o gli insaporitori.

Intanto un altro anno è passato. Si è perso tempo. Con la politica del fare che continua a preferire gli annunci. A non realizzare neppure ciò che non costa nulla. Chi sono i catastrofisti di professione? Gli incapaci a “produrre” risultati e benefici concreti, oppure chi non si stanca di denunciare il grande male italiano di questa classe politica, popolata da ominicchi superpagati?