TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
GIURO DI NON DIRE
Chi sceglie di, e riesce a, mettersi al servizio delle istituzioni sa in
partenza o impara cammin facendo che la prima prerogativa cui deve
uniformarsi è quella di astenersi dall’esprimere suoi personali giudizi, ma
di attenersi a quelli che le istituzioni vogliono che ciascuno esprima, a
seconda del ruolo che occupa. Ciò che conta, ai fini del mantenimento del
potere da parte dell’ordine costituito, non è la verità, bensì l’immagine
che se ne trasmette al popolo, ossia a quella massa di individui che si
vuole ragionino secondo gli schemi opportunamente predisposti dal potere e
dai suoi organi d’informazione. Ci sono quindi due “verità” parallele:
quella delle aule e quella dei corridoi, quella dell’informazione
embedded e quella che circola tra
la gente, sempre più attraverso Internet.
Io ho faticato non poco nei ripetuti tentativi di comunicare
coram populo una verità che avevo scoperto proprio attraverso
Internet e canali editoriali minori; una verità oltre ogni immaginazione e
di cui quasi tutti sono completamente ignari: il fatto che il sistema
bancario è un castello di carte, che vanta crediti che non ha, e che su
questa pretesa ingrassa se stesso e chi lo sostiene (la famigerata casta).
Qualcuno, come il prof. Giacinto Auriti, lo ha fatto prima di me
rivolgendosi alla magistratura, col risultato di vedersi infliggere una
condanna pecuniaria e spese di causa. Le banche infatti hanno saputo
erigersi intorno il miglior vallo difensivo: l’incompetenza degli organi
giudiziari a indagare le sue attività, dato il carattere meta-giuridico
dell’ordinamento che ne regola i conteggi e i bilanci;
nonché la generale ignoranza sul
funzionamento dei meccanismi bancari, per carenza di informazione, da parte
del grande pubblico, ma anche degli stessi magistrati.
Visti i precedenti, ho evitato di seguire la stessa strada, e mi sono
rivolto ai partiti. A quasi tutti i partiti. Non dovrebbero svolgere essi la
funzione di recepire le giuste istanze o denunce dei cittadini, veicolandole
in Parlamento affinché leggi adeguate assicurino i rimedi alle disfunzioni
portate alla loro attenzione?
Solo in un paio di casi, e solo in campagna elettorale, contenitore
temporale di promesse & promesse, il discorso sulle banche fu blandamente
inserito nei programmi, per poi metterlo da parte e dare spazio ad “altri
temi più urgenti”. La graduatoria delle urgenze è dettata dai vertici; e
comunque questi non permetteranno mai che il discorso bancario venga
“spontaneamente” alla luce: è anche dalle banche che ricevono i fondi per
vincere le elezioni e mantenere i loro privilegi a scapito di tutti coloro
che devono ingegnarsi 365 giorni all’anno perché lorsignori si occupino dei
nostri problemi, mentre in realtà è il mantenimento a vita degli agi di cui
godono senza vergogna la loro preoccupazione primaria: prova ne sia che,
mentre milioni di italiani stanno per perdere o ridurre all’osso ogni forma
di sostentamento, loro non sentono il dovere morale di tagliare neppure un
euro dai loro grassi e immeritati stipendi.
La deriva verso l’oligarchia plutocratica
Immeritati? Sì, immeritati in quanto è viziata la loro elezione. Non può
chiamarsi democratica l’elezione di persone che dovrebbero rappresentare le
varie istanze popolari, quando:
a)
le campagne elettorali richiedono impegni finanziari al di fuori della
portata di chiunque non sia un miliardario, in proprio o come testa di legno
dei produttori di capitale (peraltro fittizio);
b)
il Parlamento, anziché essere eletto dalla base, è designato dai vertici;
c)
i partiti, previsti dalla Costituzione come veicoli di raccolta e
trasmissione al Parlamento delle istanze popolari, sono ormai come le
chiese: vuoti di gente, ma coi vertici che vorrebbero far credere di
continuare a rappresentarla;
d)
la libertà di critica politica è vieppiù soggetta a minacce e ricatti di
querele, rovinose per chiunque non disponga dell’immunità parlamentare o
delle ingenti somme di denaro necessario a difendersi nelle aule di
giustizia;
e)
i vertici si impegnano affinché non chi tra loro commette reati, ma chi
indaga e li scopre, venga perseguito;
f)
le autorità monetarie sono schermate da ogni indagine giudiziaria; non sono
elette dal popolo e godono del segreto su ogni loro atto;
g)
il punto f) è tanto più grave in quando la politica monetaria non è
prerogativa dello Stato ma di una lobby di banchieri privati.
Queste sono le basi per la costituzione di una
plutocrazia totalitaria, il cui
unico scopo, come in una qualunque azienda privata, è il ricupero, con
abbondanti premi di rischio, degli investimenti fatti. Ricupero che si
materializza nella “riconoscenza” che gli eletti devono tributare ai grandi
elettori (i finanziatori), divenendo di fatto ostaggi di questi ultimi.
Ergo, rappresentanza popolare e libertà di manovra politica = zero.
Questo discorso vale per i partiti maggiori, quelli cioè sui quali valga la
pena puntare dei soldi; quelli, per intendersi, del “voto utile”. Quelli
piccoli vengono messi nel limbo grazie alle barriere di accesso al potere.
In essi, infatti, il cinismo non ha ancora sopraffatto del tutto la spinta
identitaria, al servizio di un distintivo ideale. Stranamente, tuttavia,
neppure in questi riesce ad allignare il rigetto anti-bancario: i militanti
sono così “saturi” dei loro ideali che sembra non rimanere spazio per altro.
Non riescono a vedere che la matrice di tutte le carenze di cui soffre il
Paese risiede proprio nella manovra monetaria, la cui leva è in mani ben
lontane dai luoghi dove essi tuttora credono vengano prese le decisioni
cruciali per la nazione. Discorso valido non solo per l’Italia, ma per tutte
le nazioni “democratiche”, sotto la cappa di paure indotte dallo stesso
sistema che si offre di fugarle; al prezzo della libertà, della
rappresentanza e del nostro tenore di vita.
Infatti, non corrisponde alla descrizione appena data il comportamento dei
governi nei confronti dei grandi complessi bancari? È forse nell’interesse
dei cittadini europei o americani la valanga di migliaia di miliardi di
dollari ed euro prelevati dalle loro tasche e riversati negli agonizzanti
bilanci dei vari colossi del credito? Dopo i fatti degli ultimi mesi penso
sia ormai chiaro a tutti che quanto vado scrivendo, se poteva apparire
paradossale e incredibile sino ad uno o due anni fa, oggi si è dimostrato
veritiero al di là di ogni ragionevole dubbio.
Naturalmente, si è detto che tutti questi maxi-salvataggi non sono stati
fatti tanto per le banche quanto per proteggere gli impoveriti
risparmiatori. Il solito nobile intento a giustificazione di manovre assai
meno nobili. Strano che il buon cuore delle istituzioni si riveli solo in
casi come questo, mai quando si tratta di salvare quegli stessi
risparmiatori da rapine assodate e continuate, signoraggio in testa.
E con questo arriviamo al vero nodo di Gordio. Non si risolvono i guai
economici delle nazioni se prima non si estirpa questo cancro, che premia i
banchieri invisibili con il frutto del lavoro di interi popoli. Primi fra
tutti i Paesi del Terzo Mondo, messi alla fame da decenni di “prestiti”
occidentali a strozzo.
L’Italia si dissangua ogni anno di circa € 80 miliardi per darli ai
banchieri come interesse sull’inesistente debito pubblico. Aggiungeteci il
debito privato, che corrisponde a tutti i soldi che sono entrati in
circolazione attraverso i “prestiti” delle banche commerciali. Tutti soldi
da guadagnare poi col nostro lavoro per “restituirli” ai prestasoldi, che
nulla hanno prodotto per “prestarceli”, avendo il privilegio di crearli
pigiando sui tasti di un PC, sottraendoli
ipso facto al potere d’acquisto di
tutti.
Sfilano a Ballarò, Anno Zero et sim. politici di vario colore, ma unanimi
nel ripetere sconsolate considerazioni sul nostro debito pubblico. Mai che
trapeli su questo punto il minimo dubbio: lo danno per scontato. Ovvio, il
presunto indebitamento giustifica lo Stato anti-sociale che sta prendendo
forma dall’inizio della tempesta finanziaria; giustifica le politiche di
rigore e di austerity (non per loro, però). Agitano lo spettro del debito
pubblico, senza mai spiegarci che cosa lo Stato abbia mai ricevuto, altro
che carta e bit su un PC, dai presunti prestatori.
Si ripete, a livello nazionale, il meccanismo perverso con cui BM e FMI
strangolano i Paesi in difficoltà: in cambio di soldi fasulli impongono le
loro ricette di “lacrime e sangue”, per trascinarli nel mix di miseria e
debito infinito da cui non riusciranno mai più a liberarsi. Ultima vittima,
Un dietro front cui stanno andando incontro, uno per volta, gli anelli più
deboli della catena, Italia compresa. De-globalizzandosi. I nostri politici
vedono ciò come una iattura, mentre potrebbe essere un’opportunità, se la
frantumazione si limitasse ad aree di influenza politica e commerciale più
omogenee, e corrispondenti ai grandi blocchi continentali: americano,
euro-russo, cino-asiatico e africano; con tanti saluti ai grandi trasporti
transoceanici.
Ma il passo decisivo verso un mondo siffatto, con grande respiro ecologico
per una Terra sofferente, è la riduzione delle banche a semplici
intermediari del credito, con l’emissione di moneta di esclusiva pertinenza
dello Stato, sia pure europeo. Con una messa di requiem per debito pubblico
e interessi composti ai banchieri privati che parassitano il mondo con la
creazione di moneta a debito, secondo lo stesso meccanismo che ha permesso
agli USA di inondare di fiat money,
denaro dall’aria, il resto del pianeta, e finanziare così
l’American
way of life e costosissime guerre di rapina. La festa sembra finita
anche per loro. Ma cercheranno di vender cara la pelle, stiamone certi, con
o contro Obama, se non si adeguerà ai desideri dei suoi grandi elettori, che
l’hanno opportunamente circondato dei loro cani da guardia, come il Ministro
della “Difesa”, Gates, e quello dell’Economia, Geithner: il primo per le sue
ottime performances in Iraq e Afghanistan: deve finire il lavoro; il
secondo per aver fornito dal settembre 2007, nella sua qualità di
governatore della Fed di New York,
una capiente discarica per i titoli spazzatura in pancia alle banche contro
denaro contante, frutto del lavoro dei contribuenti americani. Entrambi sono
una garanzia di continuità.
Marco Giacinto Pellifroni
8
febbraio 2009
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